L’UCRAINA NELLA STORIA D’EUROPA.I

Dall’allargamento al completamento dell’ Unione

L’Europa non è un insieme di Stati, bensì un caleidoscopio poliedrico di etnie e di culture.

8 anni fa, la prima crisi ucraina, che ha portato alla trasformazione del Paese in senso filo-occidentale, alla rivolta del Donbass, alla secessione della Crimea e agli Accordi di MInsk.

Oggi, quella crisi, anziché risolversi, si è ulteriormente acuita, fino al rischio della guerra.

In quell’occasione, l’Associazuione Culturale Diàlexis, aveva pubblicato il Quaderno n. 4 del 2014, “No a un inutile strage”, valido ancor oggi. Perciò, in attesa che la crisi attuale si risolva, in un senso o nell’ altro, riteniamo utilissimo ripubblicare almeno qualcuno degl’interventi di allora, ancora pienamente attuali. Ci risrerviamo, una volta che la situazione si sia chiarita, di pubblicare un intervento di attualizzazione.

L’Ucraina potrebbe essere il centro di una grade confederazione eurasiatica

DALL’ “ALLARGAMENTO” AL “COMPLETAMENTO” DELL’ UNIONE

Quest’anno ricorre il 100° anniversario dello scoppio della Ia Guerra Mondiale. I confronti militari che  si stanno sviluppando in tutto il mondo (basti pensare alle improvvise fiammate di guerra in Irak e in Palestina) fanno pensare che, anche contro la stessa volontà dei protagonisti, ne potrebbe scoppiare presto un’altra. Inoltre, data l’esistenza di sistemi sempre più sofisticati di combattimento e di difesa automatizzati, la guerra potrebbe scatenarsi anche per un banale errore.

Per poter prendere posizione seriamente, e tanto più per decidere, occorre avere le idee molto chiare. Il primo compito di questo Quaderno sarà perciò, intanto,  quello di rimediare, a costo di essere pedanti,  alle enormi  carenze informative dei media ufficiali, impegnati, con quelli russi e filo-russi, in una vera guerra mediatica. Riteniamo che questo possa essere il nostro miglior contributo alla commemorazione (e alla critica) della Grande Guerra.

Che la lotta per il controllo dell’Ucraina possa dare eventualmente avvio a una Terza Guerra Mondiale deriva già dal fatto che il controllo di questo territorio costituisce un importante anello delle strategie mondiali di tutte le grandi potenze (il “Grande Gioco” anglo-russo, l’ “Intermarium” di Piłsudski, il “Lebensraum” hitleriano, la “Grande Scacchiera” di Brzezinski). Esso costituiva già, tra l’altro, secondo il Mein Kampf, una delle principali motivazioni, per Hitler, per avviare la IIa Guerra Mondiale.

Si noti che, nell’ ultima sessione della VII Legislatura del Parlamento Europeo, dedicata all’Ucraina, si scontrarono posizioni così consolidate degli schieramenti pro-Russia e Anti-Russia, che qualcuno dei parlamentari aveva commentato che questo era proprio lo spirito con cui era cominciata la 1a Guerra Mondiale. D’altronde, mentre, nel 28 giugno 2014, a Sarajevo, UE, Austriaci, Croati e Mussulmani commemoravano l’ Arciduca Ferdinando, nella Republika Srspska, le Autorità, Kusturica e autorevoli ospiti russi commemoravano Nicola II, Ivo Andrič e Gavrilo Princip. Tutto ciò è l’ ovvio risultato del non aver voluto affrontare la questione dell’ Identità Europea, che non significa affatto un’ Identità Condivisa a forza, bensì un’”élite” capace di comprendere  la storia della cultura europea al di là dei dogmatismi e delle ideologie.

In ogni caso, giacché, in Ucraina, si trova il centro geografico dell’Europa, è evidente l’importanza militare del suo controllo. Un altro aspetto degno di nota è il mancato mantenimento, da parte della NATO, delle promesse fatte a Gorbaciov rispetto al suo non allargamento a Oriente.

Poi, l’Ucraina è un Paese incredibilmente denso di cultura, dove si incrociano e competono molteplici miti politici: il ruolo dell’idea di “patria comune degli Indoeuropei”, posseduto dalla “Madre Russia”,  in quanto luogo da cui sono partite tutte le migrazioni di popoli, ma poi anche l’idea della  Rus’ di Kiev come della “vera” Russia, atta a legittimare la “centralità” , nel mondo slavo, della Federazione Russa o, per altri, della Repubblica Ucraina , e, perché no, del  Regno dei Khazari quale culla dell’ ebraismo Askenazita; oppure, infine, aggiungiamo noi,  il peso misconosciuto dell’eredità culturale di Nikolaj Fiodorov all’interno dell’ attuale movimento post umanista, e, quindi, del “Progetto Incompiuto della Modernità”. Chi controlla Kiev può pretendere di rappresentare “l’ Europa”, ma anche “gli Slavi”, e perfino “la Modernità”. Infine, l’idea di un “Donbass Cuore della Russia” (per altri, “cuore dell’ Ucraina”).

Non va certo dimenticato che in Ucraina passa  il 55-60% del gas fornito dalla Russia all’Europa, che, a sua volta, costituisce il 30% del consumo dell’ Europa stessa. Il resto proviene, tra l’altro, da Paesi medio-orientali, per lo più altamente instabili, e solo un terzo è estratto in territorio europeo, nel Mare del Nord. Per il resto, buona parte del prodotto industriale, e del PIL, dell’ Ucraina, derivano dal Donbass.

Riteniamo pertanto necessario qui, come premessa dei singoli interventi, ricapitolare subito, a beneficio dei più, gli eventi storici e politici relativamente più recenti riguardanti l’Ucraina, che costituiscono le premesse quasi immediate della situazione attuale.

a) L’Ucraina nella IIa Guerra Mondiale

La Russia e l’ Ucraina furono i Paesi che dovettero pagare i maggior contributo di vite umane alla IIa Guerra Mondiale (come già anche nella Ia). Nell’intera URSS, ci furono 27 milioni di vittime, di cui 7 milioni nella sola Ucraina, e furono rase al suolo 1.700 città, di cui 700 solo in Ucraina. Nelle recenti celebrazioni in Normandia, i Russi non hanno certo mancato di ricordare il loro decisivo contributo alla vittoria.

Già l’orientamento verso l’ Est del progetto espansionistico hitleriano indicava, quali prime vittime designate, non solo gli Ebrei (numerosissimi nell’area), ma anche i Polacchi, gli Ucraini e i Russi. Come (parzialmente) per la guerra russo-tedesca, per l’occupazione occidentale dopo la 1° Guerra Mondiale e l’invio in Russia di Lenin e Trockij, e com’è ancor oggi, le poste in gioco erano, e sono,  il controllo delle sterminate pianure agricole della Russia, l’ egemonia sui  popoli che vivono intorno al Caspio, e il possesso di risorse naturali  che, tutte insieme,  possono conferire , in pratica, il controllo sul mondo intero. Tra l’altro, una parte considerevole di queste risorse  si trova proprio fra il Donbass e il Caucaso (i territori ancor oggi più contesi).

Queste aree, strappate ai mongoli e ai Tartari fra il ‘500 e il ‘700, erano state oggetto di una colonizzazione multietnica forzata comparabile a quella del Nord America e dell’ Oceania, che Hitler ambiva a replicare sotto l’egemonia tedesca.

A partire dall’ occupazione austro-tedesca durante la 1a Guerra Mondiale, i contatti fra i nazionalisti ucraini e la politica e l’esercito tedeschi non si erano mai interrotti, sicché Skoropadskij, l’”Etmano”della Repubblica Ucraina, era divenuto addirittura il collaboratore del baltico Rosenberg, a sua volta responsabile del Partito Nazista per l’espansione a Est. Per questo, gli Ucraine speravano che la Germania volesse costituire nuovamente delle repubbliche indipendenti in Europa Orientale, sulla falsariga della Jugoslavia. Tuttavia, Hitler, che aveva in mente di “svuotare” l’ Europa Orientale per far posto ai coloni tedeschi, con metodi simili all’Holodomor staliniano e a quanto stava già attuando in Bielorussia,  riteneva anche, proprio in base all’ esperienza della 1° Guerra Mondiale, che eventuali Repubbliche autonome che la Germania avesse creato, le si sarebbero ribellate al più presto.

Per questo conflitto interno, i nazionalisti ucraini dell’ OUN, che partecipavano all’ “Operazione Barbarossa” nell’ ambito della Legione Ucraina (Battalion Nachtigall), organizzata dai servizi segreti tedeschi, anziché discuterne apertamente con i Tedeschi stessi, si affrettarono a proclamare , tramite la radio di Leopoli e d’accordo con la Chiesa Uniate locale,  l’indipendenza dell’ Ucraina, la sua alleanza con la Germania e la nomina a Governatore di Stepan Bandera. Proprio per questo,  i promotori dell’iniziativa furono arrestati e inviati nei campi di concentramento, e la Legione Ucraina totalmente riorganizzata. Ragion per cui, (anche se fu responsabile di gravissimi atti di violenza), l’Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA) ,il braccio armato del nazionalismo ucraino  (OUN), non era stato “tecnicamente “collaborazionista. Hitler aveva creato, in alternativa, proprio a Leopoli, un Distrikt Galizien, che si situava sul territorio del vecchio Regno austro-ungarico di “Galizia e Lodomeria”, come parte del Governatorato Generale di Varsavia, e, nella restante parte dell’ Ucraina, un Reichskommissariat Ukraine, ambedue retti da ufficiali tedeschi. Anche qui, un evidente tentativo di dividere ‘Ucraina (come tutti i paesi occupati) –cosa, questa, che sta accadendo nuovamente ora. Allora, si era detto che i Galiziani, oltre che essere antichi sudditi dell’ Austria, avevano anche qualche po’ di sangue germanico (la “Cultura di Černjiakiv”?), cose che aveva convinto anche i razzisti più estremisti a lasciarli entrare in massa nelle SS. Nel “Distretto”, era stata creata,  dai Tedeschi, la Divisione SS Galizien, forte di 80.000 uomini, che dovette escludere molti fra i moltissimi candidati, data l’ostilità di Hitler ad accrescere il ruolo degli Ucraini. Questa simpatia tedesco-galiziana continua fino ad oggi, quando i giovani galiziani sfilano per Leopoli con la stessa scenografia di allora, sotto le insegne della Division Galizien, e i nazionalisti di Svoboda (oggi al governo) vanno in Sassonia dai Tedeschi dell’ NPD. E’ sconcertante che il Governo Tedesco, che tanto si accanisce sulla NPD, sostenga poi così vigorosamente i suoi alleati ucraini.

La regione di Odessa e la Bucovina venivano assegnate alla Romania, nell’ambito dell’ alleanza con il Generale Antonescu, con il risultato di provocarvi stragi ancora peggiori di quelle dei territori sotto occupazione tedesca (le “Stragi di Odessa”). A partire dal 1942, l’UPA aveva cominciato  a operare nella Volinia, combattendo contemporaneamente contro l’Armija Krajowa polacca, l’ Armata Rossa sovietica e, in molti casi, dopo un’ iniziale collaborazionismo, anche contro le truppe di occupazione tedesche. 

Tutto il variegato mondo dell’ attuale estrema destra ucraina (UNA-UNSO,  Svoboda, Pravi Sektor) si riallaccia, bene o male, a quei partiti e quelle  milizie ucraine della seconda Guerra Mondiale. Gli atteggiamenti  di quelle organizzazioni politiche, e, in particolare, del loro capo  Stepan Bandera,  riguardo alla collaborazione con i Tedeschi,  variarono nel tempo e secondo le circostanze. Ancor oggi, i nazionalisti ucraini tendono a sopravvalutare il ruolo dell’Ucraina nella IIa Guerra Mondiale, sostenendo che la sconfitta della Germania sarebbe derivata dal suo rifiuto di quell’auspicata alleanza “a tutto tondo” con il nazionalismo ucraino.

Non vi è per altro dubbio sul fatto che anche tali formazioni nazionaliste , oltre alle unità tedesche e sovietiche, e allo stesso esercito polacco, si macchiarono, durante la guerra, di atrocità enormi, tanto verso i gruppi etnici rivali, quanto contro le altre fazioni politiche. La valutazione dei comportamenti di tutte le forze in campo  ha continuato a fare  oggetto di  strumentalizzazioni politiche da tutte le parti. Tipica, ad esempio, la risoluzione del 25 febbraio 2010  del  Parlamento Europeo, contro la riabilitazione di Bandera, inspiegabilmente e radicalmente opposta all’attuale atteggiamento della UE.

Il comportamento,  durante la IIa Guerra Mondiale,  dei Tartari di Crimea (un miscuglio di tutti gli antichi abitanti dell’Ucraina Sud-Occidentale, accomunati dall’ uso di una lingua turcica e dalla religione islamica, e giustamente amareggiati per la perdita delle loro terre) fu qualificato, a torto o a ragione,  come “collaborazionistico” da parte di Stalin, il quale, nel 1944, li deportò in massa nell’Asia Centrale, dalla quale sono ritornati fino ad ora solo in minima parte. Non v’è dubbio che ai Tartari abbia nuociuto l’”attestato di fedeltà” loro rilasciato da Hitler. In occasione della recente annessione della Crimea alla Russia, il Presidente Putin ha firmato una legge che riabilita i Tartari di Crimea e prevede un risarcimento per il danno subito con la loro deportazione. I pochi Italiani residenti ancora in Crimea dai tempi delle Repubbliche Marinare erano stati anch’essi deportati con i Tartari, in quanto sospettati di complicità con le truppe dell’ Asse (Tedeschi, Italiani, ma anche Rumeni, Ungheresi, Croati, Slovacchi, Spagnoli e Portoghesi), che stavano invadendo l’Ucraina (e, in particolare, attaccarono e occuparono il Donbass, distruggendo Donetsk).

Gli Ebrei ucraini pagarono un notevole tributo di sangue alla Shoah (700.000, su 1.000.000 nell’ intera URSS), sotto la forma di enormi pogrom di dimensioni incredibili, come quelli nei villaggi della Volinia, a Leopoli e a Odessa, perpetrato dalle truppe rumene, e, infine,   quello di Babyj Yar, eternato dalla musica di Šostakovič e dai versi di Evtušenko, e con la deportazione nei ghetti e nei lager in Polonia e in Germania. Attualmente, la questione ucraina è divenuta un tema caldissimo nella politica israeliana.

Interessante il fatto che, per un certo periodo, il fronte fra, da una parte, la Germania e i suoi alleati, e, dall’ altro, le truppe sovietiche, corse proprio attraverso il Donbass  (la “Sacca del Don”- anche se in Russo si parla piuttosto del “Bacino carbosiderurgico del Donetz” e se le città si chiamavano allora diversamente da oggi-es.: Donetzk=Stalino, da “Stal”= “acciaio”; prima, si chiamava Juzovka, dal nome dell’industriale gallese Hughes, un “self made man” che, nel  1869, aveva fondato l’industria carbosiderurgica intorno a cui nacque la città). All’avanzata verso la città di Stalino , aveva partecipatp  la Divisione italiana “Celere”,  con i suoi reggimenti di cavalleria e bersaglieri. La città fu quasi completamente distrutta e spopolata, trasformata in un ghetto e in un campo di concentramento. Fu ricostruita da prigionieri catturati dai Sovietici fra le minoranze tedesche dell’ Est Europa (“Volksdeutsche”),  e ripopolata da immigrati, fino a raggiungere poi l’attuale popolazione di 1.200.000 abitanti. Ciò   costituisce un ulteriore elemento dell’ identità di Donetsk, divenuta sempre più “pansovietica” dopo la sua industrializzazione, l’Holodomor e la IIa Guerra Mondiale, fatto che l’ha resa la capitale ideale  per l’autoproclamata “Repubblica del Donbass”. L’”identità del Donbass” passa anche attraverso la congiunzione di uno spirito “di frontiera”, una “tradizione di classe” dei minatori (“šakhtëri”, “šakhtari”, da cui la squadra di calcio “Šakhtar” di Donetsk), e, infine, la forza delle sue lobby all’ interno del Partito delle regioni.

Dopo la IIa Guerra Mondiale, le organizzazioni militari anticomuniste operanti in Ucraina continuarono a condurre una lotta di guerriglia almeno fino al 1947, non differentemente, per altro, da quello che accadeva negli ex-Paesi orientali dell’ Asse  (altro elemento essenziale per comprendere le vicende attuali).

Formazione dell’ Ucraina

b) L’Ucraina di Khrušćev e di Brežnev

E’ paradossale che il consolidamento di una nazione ucraina sia avvenuto, a dispetto di quanto potrebbe immaginarsi,  soprattutto ad opera dell’ Unione Sovietica. La Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, sotto Khrušćev, molto legato al paese e prima segretario del Partito Comunista Ucraino, poi di quello sovietico, fu ingrandita a spese dei Paesi confinanti (Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania), e potenziata dal punto di vista economico, per costituire una specie di “vetrina” dell’ URSS (la seconda fra le Repubbliche Federate) , rafforzando la credibilità della sua struttura istituzionale. Addirittura, Stalin ottenne che,  non solo l’URSS in quanto tale, ma anche l’Ucraina e la Bielorussia come singole Repubbliche, fossero fra i membri fondatori  delle Nazioni Unite, dando loro, già così, uno “status” di sovranità superiore addirittura a quello della Russia. Si realizzò poi, con mezzi violenti, un impressionante spostamento “a catena” di popolazioni dall’Ucraina Occidentale  (Galizia, Volinia, Podolia), verso la Polonia (e di qui verso la Germania), poi, con l’”Operazione Vistola”, un grandioso “scambio di popolazioni” con la Polonia. Inoltre, si  attribuirono all’Ucraina la Bessarabia, la Bucovina, e, infine, la Rutenia Transcarpatica. Per ultimo, come noto,  la Crimea,  nel  1954, da lungo tempo russa, fu, come si dice, “regalata” all’ Ucraina da Khrušćev per commemorare il trattato di Perejaslav, del 1654, con cui  l’Atamano cosacco aveva riconosciuto la sovranità dell’ Impero Moscovita. Questa complessa genesi dell’attuale Stato spiega il carattere eterogeneo delle sue regioni,  aventi legami tradizionali strettissimi con moltissimi Paesi vicini e lontani.  Quest’eterogeneità è stata complicata dalle politiche sovietiche delle nazionalità, che hanno favorito, a corrente alternata, l’”ucrainizzazione” e la “russificazione”, nel quadro di un equilibrio instabile fra la “nazionalità titolare”, quella ucraina, che dà il nome alla Repubblica, e le altre. Anche  la storia dell’ Ucraina indipendente sarà quindi  segnata dall’alternarsi del federalismo, sostenuto dalle etnie minoritarie, e del centralismo, sostenuto dalla “nazionalità titolare”.

L’Ucraina sovietica  era anche un’importante  realtà industriale, possedendo, oltre a una florida agricoltura (“il Granaio d’ Europa”), anche il bacino carbosiderurgico del Donbass e importanti industrie aerospaziali, come il centro di progettazione e due stabilimenti aeronautici della Antonov, e l’intera città militare di Dniepropetrovsk, sede del complesso  missilistico Juzhnoe (poi,  “Pivdenne”) e delle produzioni nucleari sovietiche. Infine, la Crimea era  divenuta “la California dell’ Urss” per la sua industria turistica. Già la Conferenza di Pace, tenutasi a Jalta nel 1944 fra USA, Gran Bretagna e URSS quando la guerra era ancora in corso,  ebbe un significato storico eccezionale, gettando le basi di un equilibrio mondiale  mantenutosi inalterato per 45 anni, e che ancor oggi non è totalmente superato, come ben si vede dall’ attuale conflitto. Il leader comunista italiano Togliatti morì a Jalta, scrivendovi il suo testamento politico (il “Memoriale di Jalta”), che è stato alla base dell’occidentalizzazione dei movimenti comunisti europei. Il Governo russo, dopo l’annessione della Crimea, conta di svilupparla ulteriormente in senso turistico.

Anche durante il periodo sovietico, le tensioni nazionali furono importanti. Dopo un iniziale periodo di obbligatorietà dell’ Ucraino, la liberalizzazione delle scelte delle famiglie nella decisione sulla scuola per i figli portò a un’ulteriore ondata di russificazione, denunziata da Ivan Dziuba.

Solzhenitsin, nel proporre lo scioglimento dell’Unione Sovietica, chiedeva di mantenere uniti gli Slavi Orientali.

c)L’Ucraina indipendente

Il leader ucraino di allora era stato tra i firmatari, con Elcin, degli accordi che avevano portato alla trasformazione  dell’ Unione Sovietica nella più “leggera” “Comunità di Stati Indipendenti”: da una federazione a una confederazione, la quale ultima, a sua volta, non ha mai cessato di  tentare, seppur   faticosamente, di ridarsi una maggiore funzionalità, mutuando le forme delle organizzazioni internazionali proprie dell’Europa Occidentale (in particolare, dell’Unione Europea). Mentre, infatti, da un lato si voleva smantellare l’apparato totalitario dell’ URSS, dall’altro, ci si rendeva conto che, in un mondo sempre più integrato, occorreva mantenere i legami giuridici, economici, militari e culturali preesistenti da secoli. Ed è questa la ragione di sostanza per cui continua a essere così difficile scardinare l’esistente “Comunità Eurasiatica”, come vorrebbe, invece, la politica americana.

Questa complessa attività diplomatica volta a consolidare e modernizzare le forma di collaborazione fra gli Stati dell’ ex-Unione Sovietica, e  fra questi e l’Europa Occidentale,    deliberatamente ignorata in Occidente,  mira invece proprio a rendere possibile l’integrazione fra le due Europe, in linea con le proposte della “Casa Comune Europea”, formulata da Gorbačëv, e  di una Federazione UE-Russia, formulata da Mitterrand. Come si sono ignorati, in Occidente,  i conflitti esistenti fin dall’ inizio, in tutte le Repubbliche, fra la “nazionalità” delle repubbliche stesse,come se il pericolo fosse solo quello di una Russia che aspira ad una forma di egemonia nella propria area, e non soprattutto quello delle ex-Repubbliche che mirano all’annientamento delle loro minoranze etniche. Nel caso della Georgia, le etnie minoritarie (Abkhazia e Ossetia) hanno fatto oggetto di veri e propri pogrom (come quelli di Tskhinval), con il successivo massiccio intervento russo. Nel caso dell’Estonia e della Lettonia, dove, la minoranza russa non ha fatto oggetto di forme violente di repressione, ma le è stata negata, in pratica,  la cittadinanza (i cosiddetti “non-cittadini”; nepilsoņi”,”välismaalase”), un atteggiamento verso le minoranze etniche che non ha precedenti se non nelle legislazioni ultranazionalistiche dell’epoca delle Guerre Mondiali. Tra l’altro, l’espressione “non-cittadino” era quella adottata, per indicare gli Ebrei, nell’ URSS occupata dall’ Asse.

L’Unione Europea, dopo aver ammesso i Paesi Baltici che praticano politiche siffatte, e rifiutato per un decennio  di ammettere la Russia e la Turchia su un piede di parità,  ha voluto inquadrare i propri rapporti con le ex-repubbliche nel concetto dell’ “Allargamento”, partendo dal presupposto che le  stesse (ma non la Russia e la Turchia) dovessero essere “assorbite” nell’“acquis communautaire” e nell’“Occidente” come già gli ex-“satelliti” dell’ URSS, perdendo, così, molta parte della loro individualità, mentre invece, le minoranze etniche ivi esistenti, come, ma non soltanto, quella russofona, non conterebbero nulla, sicché potrebbero essere ad esse negati i diritti usuali in tutta l’ Unione Europea. Russia e Turchia non dovrebbero  essere ammesse proprio perché non suscettibili di essere “assorbite”. Paradossalmente, sono invece proprio i Governi della Russia e della Turchia quelli che, nell’ ultimo decennio, hanno assunto le posizioni più nettamente europeistiche, come quando Putin aveva scritto su “La Stampa” di Torino, per i 50 anni dei Trattati di Roma, che “l’Unione Europea costituisce la maggiore realizzazione politica dell’ ultimo secolo”, o quando, dinanzi alla Confindustria tedesca, si era proposto per portare a termine l’opera di Kohl: dall’ unificazione della Germania a quella dell’ Europa. Quanto a Erdoğan, è nota la sua affermazione secondo cui, se tutti gli Europei si convertissero all’ Islam, nessuno se ne accorgerebbe, perché Europei e Turchi già ora sono eguali.

Le vicende di questa primavera costituiscono il logico sbocco di questo ventennale conflitto. Infatti, come noto, l’Ucraina, tradizionalmente impegnata nella CSI e nella Comunità di Stati Indipendenti, stava  negoziando con l’Unione Europea un Trattato di Associazione, che, in teoria e nel lungo periodo, avrebbe dovuto portare alla sua  adesione alla UE. Tuttavia, all’ ultimo momento, la Russia, facendo leva sugli aiuti economici che solo essa, non già la UE, è in grado di fornire, aveva convinto l’allora Presidente Janukovič, a firmare, invece, un accordo finanziario con la Russia, dilazionando così  l’associazione alla UE.

Recentissimamente, nonostante la crisi ucraina, i presidenti di Russia, Bielorussia e Kazakistan hanno comunque firmato, il  29 maggio, a Astana (Kazakhstan), il Trattato Istitutivo  dell’Unione Economica Eurasiatica (UEE), che si riallaccia quasi pedissequamente a quello di Lisbona istitutivo della UE. In tal modo,  essi hanno reagito all’accelerazione, da parte della EU, degli Accordi di Associazione con l’Ucraina e la Moldova, firmati a Gennaio al Consiglio di Vilnius. Tra l’altro, il Ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Libermann, nato nell’ URSS e veterano dell’Armata Rossa, ha dichiarato che, entro il 2014, sarà firmato il Trattato Istitutivo della Zona di Libero Scambio fra Israele, la Russia e il Kazakhstan, che costituirà anche l’avvio di una nuova fase di cooperazione politica.

Infine, il 27 giugno 2014, l’Unione Europea ha formalizzato la firma degli Accordi di Associazione con Ucraina, Moldova e Georgia.

Alla radice dell’attuale conflitto, e a monte dell’apparente competizione  fra le due unioni economiche confinanti e concorrenti, si situa la contrapposizione, oramai venticinquennale, fra le strategie geopolitiche degli USA e quelle della nuova Repubblica Federativa Russa, che ha sostituito la vecchia contrapposizione sovietico-americana. Esse sono oramai cristallizzate, in quanto  formalizzate da più di 20 anni in documenti ufficiali quali il “Rapporto Wolfowitz” e il “Rapporto Surikov”, nonché in libri come “La Grande Scacchiera” di Brzezinski.

Come ribadito ancora recentissimamente da Obama con il suo discorso all’ Accademia di West Point, gli USA intendono restare l’unico polo di riferimento culturale, politico, militare, economico e sociale del mondo intero (“la Guida”), a cui tutte le Potenze regionali, le Organizzazioni Internazionali e gli Stati dovrebbero fare, in ultima analisi, riferimento. La Russia non cessa, invece,  di sostenere che il mondo debba essere organizzato in forma multipolare, attraverso organizzazioni regionali e  potenze regionali.

Fra queste due posizioni, fondate su radicate ed opposte tradizioni nazionali, non è stato fino ad ora possibile, in assenza di un’adeguata riflessione sulla Modernità, proporre alcuna forma di mediazione. Ci proponiamo, tra l’altro, di fornire elementi per questa riflessione, che spetterebbe all’ Europa stimolare.

Nello specifico , mentre, per gli Stati Uniti, come sostenuto da sempre da Brzezinski, l’Ucraina dovrebb’essere essere “la punta di diamante verso l’ Europa Orientale” dell’ Unione Europea, e quest’ultima dovrebbe  concepirsi a sua volta come  “ l’ avamposto dell’ Occidente sul Continente Eurasiatico”, per la Russia , il paese dovrebbe costituire una parte di quell’organizzazione regionale euroasiatica, che aveva trovato il suo primo teorizzatore in Sol’ženitsin. Faticosa, però, come si vedrà, anche la definizione di quersta “Eurasia”.

All’inizio della vita dell’Ucraina indipendente, la conflittualità con la Russia era ridotta. Erano invece forti le tendenze federalistiche e separatistiche, non solo nel Sud Est, ma anche a Odessa, in Bukovina e in Carpazia. Il Partito delle Regioni del Presidente Janukovič, cacciato da Kiev dalla piazza alla fine di gennaio, rappresentava, appunto, una coalizione di forze autonomistiche locali, così forte da essere risultato, alle ultime elezioni, il maggiore partito (30%).

Dal canto loro, le organizzazioni politiche del nazionalismo ucraino sono esistite fin dal primo Ottocento. L’UNA (Ukrainian National Association) esisteva in America già dalla fine del secolo, mentre UPA e l’OUN sopravvissero in Cecoslovacchia fra le due Guerre Mondiali. L’ UNA-UNSO, che si riallacciava, da un lato, all’Armata Insurrezionale Ucraina (l’“UPA” di Bandera), tramite il figlio del Comandante  Shukhevich)  e, dall’altra, all’ emigrazione ucraina in America, tramite Valeriy Bobrovych, veterano del Vietnam, aveva partecipato militarmente a tutti i maggiori conflitti dello spazio post-sovietico:  la difesa del Parlamento di Vilnius; quella del Parlamento russo contro il colpo di stato del 1991; le guerre della Cecenia, del Kossovo e della Georgia. Inoltre, il movimento aveva partecipato “manu militari” come oggi, fin dagli anni ’90 – tollerato, e, anzi, sostenuto, dal Governo di Kiev- ,  alla repressione dei vari movimenti separatisti delle regioni ucraine: quelli del Donbass, di Odessa, della Bucovina e dellaTranscarpazia.

La storia dell’ UNA-UNSO getta nuova luce sugli eventi post-sovietici, uniti da una sorta di “filo rosso”, in cui si formano e si disfano alleanze e inimicizie. Per esempio, l’UNA-UNSO ha combattuto in Cecenia accanto ai wahhabiti filo-saudiani, e, in Georgia, accanto alle truppe governative, e, quindi,  continua a vantare e a promuovere amicizie con i terroristi ceceni;  in tal modo, i Ceceni filorussi, nonché gli Osseti  vittime delle stragi di Beslan e di Tskhinval, si ritengono più che mai loro nemici giurati, e pertanto tendono a  simpatizzare per i separatisti. In generale, si intensificano le voci di volontari e mercenari di tutti i Paesi, che starebbero affluendo nei gruppi paramilitari dei Governativi e dei ribelli, come del resto è già successo in tutte le guerre postsovietiche.

Cosa che corrisponde anche alla strategia dichiarata da  Obama, il quale, pur ribadendo con un’ energia senza pari il concetto della “leadership americana”, anziché impegnare direttanente sul campo le truppe regolari, preferisce limitarsi a quel sostegno alla “lotta anti-terroristica” dei Governi locali e dei “contractors”, che ha caratterizzato sempre le politiche americane (dalle Rivoluzioni Atlantiche, al “filibustering” in Sud America ai rapporti con gli Stati totalitari). Trasformando, così, ogni guerra in guerra civile e in “covert operation”( per le quali non c’è più bisogno, né dell’ approvazione del Congresso, né di quella delle Nazioni Unite).  Non per nulla, il nuovo Governo di Kiev si è affrettato a battezzare la guerra civile nel Sud-Est come “Operazione Antiterroristica”.

Sotto un questo profilo,  “Euromaidan” è stata una sorta di “ripetizione” della “Rivoluzione Arancione”, la quale, a sua volta, ricalcava l’”Alternativa Arancione”, il movimento politico-artistico surrealistico dell’eccentrico “Maggiore Frydrykh”, che si muoveva al margine  di Solidarność, e delle successive  “rivoluzioni colorate”.

A costo di essere tacciati di seguaci della “teoria del complotto”, a noi sembra che, da sempre, ma, soprattutto, nell’ultimo secolo, tutte legran di trasformazioni politiche siano state preparate con estrema cura da un intenso lavorio sotterraneo delle grandi potenze e di altre organizzazioni internazionali: basti pensare al passaggio di Mussolini all’interventismo, all’arrivo di Lenin e di Trotskij in Russia, alla presa del potere da parte di Hitler, alla rivolta di Solidarność, ecc.. Non è perciò credibile voler negare il sostegno diretto degli Stati Uniti alle Rivoluzioni Colorate (testimoniato da tutti i documenti ufficiali americani), né quello russo alle repubbliche autonome separatiste, che hanno potuto sopravvivere contro quelle “titolari” solo grazie all’ appoggio russo. Nello specifico, come illustrato nel dettaglio dal documentario “Lotta per l’ Ucraina” di Končalovskij e come descritto tecnicamente da Alfredo Macchi in Limes del Luglio 2014, la “Rivoluzione Arancione” è stata preparata “ a tavolino” sulla base di precedenti esperienze analoghe, e realizzata da  organizzazioni internazionali specializzate, come   Otpor,PORA, UNA-UNSO, CANVAS, IRI, NED,  Academi, sostenute dai molti milioni di dollari del Governo e delle ONG americane, e da questi rivendicati con orgoglio . Addirittura, il simbolo delle pretese rivoluzioni “antisovietiche” serba, georgiana e ucraina è stato sempre, misteriosamente, lo stesso:, il “pugno chiuso”, a suo tempo, saluto comunista quant’altri mai. C’è qualche legame fra gli “antisovietici” di oggi e fazioni comuniste riciclate?  Come affermato esplicitamente da queste stesse organizzazioni, quella della rivolta di piazza è divenuta oramai una tecnologia, che richiede manuali operativi, istruttori specializzati e una non indifferente infrastruttura informatica. Basti consultare a questo proposito la “vetrina” pubblicitaria delle “covert operations”sul sito di “Google Ideas” (http://www.google.com/ideas/projects/network-mapper/).

Lingue in Ucraina: Ucraino, Russo, Surzyk, Ruteno, Ungherese, Polesiano…

4. Kiev contro il Donbass?

Come oramai arcinoto,  vi è stata, nell’ ultimo secolo, anche una contrapposizione di carattere geografico fra il Nord-Ovest “Ucraino” e il Sud-Est “Russo”, con l’effetto, tra l’altro, che “la piazza” è, a Kiev, ucrainofona e “filooccidentale”, e dall’altra, quella delle città del Sudest, è inequivocabilmente russofona e russofila.Come abbiamo incominciato a vedere, le radici storiche di questa contrapposizione sono risalenti e complesse.

Secondo la tesi di Rycak e Liasz,che ricalca quella dei nazionalisti baltici,  esse non sarebbero solo etniche, ma perfino esistenziali: In primo luogo, l’Ucraina non è soltanto un paese postcomunista, ma è anche un paese postcoloniale, abitato in parti più o meno uguali da comunità di ‘aborigeni’ e di ‘coloni’, ognuna con i propri miti, simboli, narrazioni storiche, eroi, culture e lingue.”.Tuttavia, proprio mentre il fatto linguistico viene assunto come riferimento per la definizione delle “nazionalità”,   non vengono invece, mai ricordati, come dovrebbero, alcuni fatti fondamentali, quali, innanzitutto:

-l’esistenza di dialetti intermedi: il Suržyk in Ucraina, e il Balačka inRussia, due “lingue franche” russo-ucraine che, come in tutte le ex-repubbliche sovietiche (e in tutti i paesi post-imperiali),  permettono di passare agevolmente da una lingua all’ altra;

-il prevalere in pratica del Russo  nell’uso familiare e nei media,  tanto che perfino  i più intransigenti sostenitori della supremazia ucraina (e perfino la Guardia Nazionale)  proprio mentre esprimono i loro progetti più estremi, e addirittura al comando delle truppe in combattimento, lo fanno, paradossalmente, in Russo (che, in fondo, dimostrano di considerare, nonostante tutto, come la loro “vera” lingua);

-l’esistenza di un’intera “Kulturnation” russo-ucraina (“piccolo russa”), che va ben al di là della Crimea e del Donbass, comprendendo più della metà degli scrittori e intellettuali di lingua russa fra l’Ottocento e il Novecento – una ricchezza culturale superiore, da sola, per esempio, a quella della maggior parte delle culture europee dello stesso periodo;

-il vero ruolo esercitato dal Russo, che è, o pretende di essere, una lingua di comunicazione interculturale, come l’Inglese, il Mandarino, l’Arabo Classico o l’Hindi, e può (anzi, deve) coesistere tranquillamente con le altre diverse lingue dei suoi parlanti all’interno del “Russkij Mir” (il “Mondo Russo”), siano esse l’Inglese o il Tedesco, l’Ebraico o il Francese, le lingue baltiche, quelle slave, quelle turciche, iraniche o cartveliche. Esso ambisce, quindi, ad essere in competizione, non già con l’Ucraino, bensì con l’ Inglese;

-infine, la non corrispondenza fra l’uso delle due lingue, la scelta della “lingua nazionale”, le preferenze geopolitiche e l’adesione a una determinata etnia, tutte le combinazioni essendo possibili e documentate, tan’è vero che, per esempio,  i Cosacchi del Don e del Kuban, assolutamente filorussi, parlano in Balačka, ma lo considerano un dialetto russo;

-ma, soprattutto, il fatto che, se rapporto coloniale vi è stato, esso non è stato tanto fra Russi e Ucraini, bensì fra gli Slavi Orientali nel loro insieme e i precedenti abitanti dell’Ucraina (Tartari, Polacchi, Ebrei, ecc..), che sono stati cacciati e decimati negli ultimi tre secoli, fino a rappresentare una quota modesta dell’ attuale popolazione, e, se vi è ancora, è con gli USA, che, come si è visto, decidono direttamente la formazione dei Governi.

Infatti, se il presente conflitto ha già motivazioni storiche e ideologiche importanti, tuttavia, il coinvolgimento, in questa fase di crisi, dei Governi esteri,  e, in particolare, del Governo e del mondo politico americano,  è stato così pesante da esasperarlo fino all’inverosimile, ridicolizzando addirittura  l’idea di un’asserita ”indipendenza” ucraina, che, invece, ha costituito il Leimotiv dell’“Euromaidan”.  Basti vedere l’atteggiamento tenuto dal Sottosegretario Nuland (quella del “Fuck the EU”) e dall’Ambasciatore Pyatt, che hanno attuato, senza nasconderlo, un piano ideato a Washington fin nei minimi dettagli.  Pravi Sektor e Svoboda  hanno ricevuto così, nel nuovo Governo Jatseniuk, vari posti ministeriali, mentre, per esempio, il partito UDAR  di Vitali Kličko, sostenuto dalla Germania ma osteggiato dalla Nuland, non ne ha ricevuto, nonostante il suo grande impegno,  nessuno. Tra l’altro, anche l’appoggio tedesco a Kličko era stato senza veli, con finanziamenti vantati perfino sul sito web, con “corsi” per gli attivisti sulla propaganda e sul Trattato di Associazione, con una “consulenza” sulla gestione delle attività parlamentari e dell’attività legislativa.

Gli Slavi Orientali sono
il blocco viola a destra

d)La posizione della Russia

A sua volta, l’ Occidente accusa la Russia:

-di avere creato e sospinto il separatismo della Crimea, fino all’ annessione della stessa;

-d’incoraggiare e sostenere i separatisti del Donbass

Occorre ricordare che, al di là del merito della questione ucraina, la Russia ha, con gli Stati Uniti, contenziosi ben più ampi e più vasti, che si inquadrano all’ interno delle loro opposte visioni strategiche, come quelli sulla difesa nucleare e sui rapporti con l’Europa, all’ interno dei quali soltanto può interpretare e gestire la crisi ucraina. Ai suoi occhi, la crisi ucraina non deve, innanzitutto, né indebolire l’equilibrio strategico con la NATO, né i suoi rapporti commerciali con l’ Europa. Solo dopo possono  venire in considerazione le singole questioni specifiche.

Ammesso poi che si potesse, e si volesse  veramente, motivare la Russia, anche in base a quesì suoi interessi globali,   a modificare sostanzialmente il proprio atteggiamento, e quello dei Russofoni del Sud-Est, sulla questione ucraina,  quest’ultimo, comunque lo si definisca, ha più di 10  milioni di abitanti, e la stessa Donetzk  più di un milione di abitanti: uno Stato delle dimensioni di un’ Ungheria, di un Portogallo o di una Grecia, che non è certo facile per nessuno controllare come se si trattasse di un teatro di burattini. Tant’è vero che Putin sta rischiando molto della sua popolarità con la sua attuale relativa presa di distanza dalla Repubblica del Donbass.

Infine, non si può neppure dimenticare che la politica di “de-russificazione”, obiettivamente  perseguita, sulla falsariga di altre Repubbliche, dal nuovo governo ucraino e, prima ancora, dalle tendenze politiche che lo compongono, è nel più totale   contrasto con i principi stabiliti in materia linguistica, ma anche proprio istituzionale, dall’Unione Europea, alla quale, invece,  il nuovo Governo ucraino pretenderebbe di riallacciarsi (cfr. la Carta Europea per le lingue regionali o minoritarie – All.1-). Essa mira infatti, addirittura, a delegittimare e a vanificare quello russofono dell’Ucraina (i “Piccoli Russi”) quale gruppo etno-culturale specifico, nonostante che esso possegga dimensioni demografiche superiori a quelle, per esempio,  dei Catalani, e abbia un suo intrinseco valore nella storia della cultura europea, degradandolo indebitamente a “lingua regionale”, a cui viene sostituita,poi, in pratica, quella Inglese (che infatti compare in tutte le targhe segnaletiche accanto all’Ucraino). Ricordiamo che, invece, la Finlandia, il Belgio e la Svizzera, in casi esattamente analoghi, hanno, non solo realizzato una forma praticamente perfetta di plurilinguismo, ma anche fatta salva la diversità delle tradizioni culturali dei loro territori. Accettare l’attuale politica giacobina sulle minoranze dei Paesi est-europei significherebbe perciò rinnegare tutta la logica delle Organizzazioni Internazionali, e dell’Unione Europea in particolare, che è quella della tutela delle identità storiche, non già dell’ appiattimento sulla cultura “mainstream” .

Victoria Nuland distribuisce sandwiches ai manifestanti

e) Dall’Euromaidan a oggi.

Lo scenario ucraino attuale, che viene degnato finalmente, seppure “in extremis”,  di un minimo di attenzione da parte dall’opinione pubblica mondiale , riprende un circolo vizioso già più volte ripetutosi negli ultimi dieci anni:

-la piazza di Kiev reclama un governo più filo-occidentale, che viene effettivamente nominato, se necessario forzando, poco o molto, le leggi;

-con il passar del tempo, l’intensità dei rapporti con la Russia e il peso elettorale delle etnie minoritarie provoca l’emergere, da parte degli stessi governi, o da parte dell’elettorato,  di tendenze più filorusse;

la piazza ricomincia a protestare.

La novità degli ultimi mesi consiste, semmai, nel carattere più aperto  che hanno assunto, sotto la spinta di una generalizzata conflittualità a livello mondiale , i giochi di tutti gli attori coinvolti. Sotto un certo  punto di vista, le vicende ucraine richiamano oramai alla mente, più ancora di tanti altri aspetti del conflitto fra Russia e America, una “partita di scacchi”, in linea con l’idea cara a Brzezinski, della “Grande Scacchiera” (ove, per altro, come si vedrà, le mosse dei giocatori sono in gran parte prevedibili, grazie ai “rapporti” pubblicati da gran tempo dai vari politici e politologhi) .

Alla fine del 2013, era sostanzialmente già pronto per la firma il Trattato Istitutivo della Comunità Economica Eurasiatica. Sotto l’ influenza della Presidenza lituana ,caratterizzata in senso fortemente antirusso,  l’ Unione Europea quest’ultima decideva di stipulare anche con l’Ucraina l’Accordo di Associazione, che, secondo le prassi comunitarie, preluderebbe (anche se i tempi sono tutt’altro che definiti) all’adesione all’ Unione Europea (e perfino alla NATO). Nonostante l’impossibilità, in tempi brevi, di un’adesione che comporterebbe comunque un forte impegno economico, l’accordo aveva un importante significato politico, trattandosi, addirittura, della scelta fra due “sfere d’influenza”.

Tradizionalmente, si affermava che la Russia avesse avuto sempre un atteggiamento in ultima analisi difensivo in politica internazionale (una “potenza-status quo”). Dovendo difendere il territorio più vasto del mondo, e memore delle invasioni “barbariche”, mongole, polacca, svedese, napoleonica, della Crimea,  occidentale e nazista, la Russia tiene una politica apparentemente militaristica, ma in realtà attenta soprattutto a circondarsi di “stati-cuscinetto”. Se compie dei “salti in avanti”, come ai tempi della Santa Alleanza, del Patto Ribbentrop-Molotov, della “Corsa verso Berlino” o della “Corsa agli Armamenti”, lo fa soprattutto per precostituirsi delle difese (con il cosiddetto “Approccio Survivalista”, come la chiamato Fiona Hill).

Anche nel nostro caso, il Presidente russo Putin, pur non obiettando formalmente, né allora, né oggi,  alla possibile firma del Trattato con la UE, aveva già segnalato profili di contraddizione fra l’adesione alla UE e la permanenza dell’Ucraina nel mercato comune eurasiatico, ed espresso, soprattutto, già a fine dicembre, la propria convinzione che l’Occidente fosse intenzionato, in concomitanza con i Giochi Olimpici di Soči, fondamentali per il prestigio della Russia, a favorire azioni ostili, come preannunziato, per esempio,  dalle polemiche sulle leggi russe in materia di pedofilia, e dall’invio di navi militari americane davanti alle coste del Mar Nero. Queste nuove strategie di destabilizzazione avevano suggerito alla Russia nuovi tipi di reazione (quella che Fiona Hill ha definito “Difesa Offensiva”). Il 13 dicembre 2013, Putin, nella sua annuale allocuzione di fine anno, aveva annunziato infatti un più assertivo  corso di politica estera, fondato su due presupposti assolutamente nuovi: il progetto di riunire, intorno alla Russia, un movimento internazionale di orientamento conservatore (cosa che sta già ora avvenendo), e la decisione di compiere una serie di importanti investimenti tecnologici per evitare il crearsi di qualsiasi dislivello di carattere militare con gli Stati Uniti (cosa che sta già anch’essa oggi verificandosi con la sperimentazione di nuovi missili balistici e di nuovi modelli di androidi).

Da parte sua,  a  causa della perdurante crisi economica dell’Unione Europea, l’Unione non poteva, di fatto, concedere, a Kiev, neanche una quota, seppur  modesta, del pesante supporto economico che questa necessita, e che invece la Russia le stava di fatto già dando (già solo sotto la forma di sconti e pagamenti sul gas), visto soprattutto che, addirittura, l’Unione  sta richiedendo, perfino  ai propri Stati fondatori, sacrifici ch’essi non sono in grado di sostenere. A sua volta, la Russia non era disponibile a continuare a sostenere economicamente un’Ucraina che, con  la sua  “scelta occidentale”, indebolisse obiettivamente il movimento, attualmente in corso, verso l’allargamento, a ulteriori Stati, del Trattato Istitutivo  dell’Unione Economica  Eurasiatica.Tant’è che, ora, Gazprom pretende, per le prossime forniture di gas, il pagamento anticipato.

Per questi motivi, l’allora presidente ucraino Janukovič, dopo trattative tanto con la UE quanto con la Russia, aveva rifiutato (come d’altronde anche quello armeno) di siglare a Vilnius, a Gennaio , il Trattato di Associazione, come avevano invece fatto la Georgia e la Moldova, e aveva invece firmato, con la Russia, un accordo di emergenza, con cui questa si impegnava a intervenire con un sostanzioso aiuto finanziario, e, soprattutto, la proroga dei pagamenti per il gas. Ciò aveva comportato la ripresa, da parte dei partiti allora di opposizione (e, oggi, di governo), di manifestazioni di piazza sul modello della “Rivoluzione Arancione”, ma che, questa volta, si svolgevano con una violenza particolare, nei confronti di un sistema di ordine pubblico caratterizzato da una inspiegabile tolleranza).

Con un certo stravolgimento del senso del Trattato, si pretendeva che lo scopo dello stesso fosse non già un ben delimitato accordo doganale, bensì una pretesa “scelta di civiltà”.

Non dimentichiamo che, allora, il Governo ucraino era sostenuto dalla maggioranza parlamentare delle ultime elezioni, basata sulla coalizione, intorno al “Partito delle Regioni”, di tutte le forze che si identificano con il federalismo e le minoranze etniche, le quali, nel loro complesso, prima della recentissima secessione della Crimea e del Sud-Est, costituivano, con il 30%, il maggior partito del Paese, leader della coalizione di governo.

Essendo inoltre in corso proprio allora, in territorio russo, ma  alla frontiera  con l’ Ucraina e la Georgia,  le Olimpiadi di Soči, il Governo ucraino non riteneva, probabilmente, opportuno adottare, nei confronti dei manifestanti, misure impopolari come per esempio  la dichiarazione dello stato di emergenza,).

Nel frattempo, il mondo politico europeo e americano si esibiva, a Kiev,  in uno show politico mai visto prima d’allora: ministri (come Westerwelle, Fabius e Sikorski), europarlamentari (come Verhofstadt), sottosegretari (come Nuland), leaders dell’ opposizione (come Mc Cain e Kaczinski), che vanno in delegazione a Kiev, danno ordini al Presidente e all’ opposizione, arringano la folla, distribuiscono perfino personalmente panini agli attivisti.

Particolarmente inconsistente  è stato il ruolo della UE. Nonostante che i manifestanti , in condizioni analoghe , in vari  Paesi dell’ Unione , e, in particolare, proprio in Germania e in Polonia, sarebbero stati passibili di scioglimento, se non di arresto, sotto vari capi d’accusa, dal porto d’armi abusivo  alla ricostituzione del partito fascista (vedi NPD), all’esibizione di simboli vietati (come il pugno chiuso dell’ UDAR e le rune naziste di Pravi Sektor, vedi leggi polacche in materia), e, inoltre, dimostrassero un’assoluta indifferenza per le iniziative europee, i politici della UE si presentavano sul Maidan a braccetto dei leader estremisti che avevano fino ad allora condannato, e pretendevano perfino di  dettare delle soluzioni, mentre, invece, quelle “vere” risulteranno poi essere quelle comunicate telefonicamente da Washington. Di fatto, il documento firmato (ma con quale legittimità?) dai Ministri degli Esteri polacco, francese e tedesco, con il Presidente e con i capi dell’ opposizione, che prevedeva un Governo di unità nazionale e le elezioni a Dicembre, poté durare appena alcuni minuti (come, a suo tempo, lo Stato ucraino indipendente di Bandera), poiché,  uscito dal palazzo del governo, il Presidente Janukovič  (che pure aveva vinto le elezioni) fu fatto oggetto di colpi d’arma da fuoco, e non poté fare a meno, prima, di nascondersi, e, poi, di fuggire in Russia.

A questo punto, i manifestanti assalivano alcuni deputati del partito di maggioranza relativa, costringendoli con la forza a votare a favore della decadenza del Presidente per abbandono del suo posto, nonché a nominare come presidente ad interim quello del Parlamento, in quale in  poche ore sostituì tutte le massime cariche dello Stato, mentre il Parlamento stesso adottava norme draconiane, come quella che aboliva l’uso del Russo perfino come lingua regionale. Il tutto ovviamente senza un gran rispetto delle norme costituzionali, a cominciare, ovviamente, dalla “vacatio legis”. Per concludere in bellezza, come primo ministro veniva nominato Jatseniuk, designato ufficiosamente per telefono dal sottosegretario americano Nuland, mentre invece Vitali Kličko, creatura dalla Germania e favorito da Angela Merkel (parla solo Russo e Tedesco, e male l’ Ucraino) veniva puntualmente tenuto fuori dal governo, come imposto sempre dalla Nuland. Alla faccia delle bandiere blustellate.

Il tutto durante la cerimonia di chiusura dei giochi di Soči, esattamente nello stesso modo in cui , nel 2008, l’attacco georgiano all’Ossetia  era avvenuto poco prima della cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Pechino, quando i leaders erano in aereo . E dire che gli antichi Greci, durante le Olimpiadi, interrompevano invece qualunque guerra!

Inutile dire che, non diversamente da quanto accaduto nel 2008, non appena conclusasi la cerimonia, i Russi e gli Ucraini filogovernativi o filorussi (che conoscevano benissimo il trucco) si mettevano immediatamente in moto (come i loro colleghi nel 2008, che si erano precipitati con i blindati attraverso il tunnel di Roki)  per rovesciare la situazione creatasi qualche minuto prima a Kiev. Il giorno dopo, infatti, al Palazzo dello Sport di Kharkov, il sindaco di quella città riuniva alcune migliaia di amministratori locali in una riunione in cui si decideva, sostanzialmente,  che gli Enti Locali arruolassero  milizie di autodifesa dell’Ucraina Orientale (cosa che è oramai chiaramente sotto i nostri occhi). Si noti che il sindaco fu poi oggetto di un grave attentato, e se ne andò a farsi curare. A scanso di equivoci, in Israele.

Nel 1969, a Praga, Mitterrand aveva proposto una confederazione europea comprendente la Russia

Il giorno dopo, il parlamento della Repubblica Autonoma della Crimea deliberava la secessione della penisola dall’ Ucraina. Poco dopo, mentre milizie sconosciute (crimeane, russe?) prendevano il controllo dei punti strategici della penisola, il Parlamento annunziava l’ intenzione di indire un referendum, che si è poi effettivamente svolto il 16 aprile. Il resto è ben noto: l’annessione della Crimea alla Russia, la costituzione, in tutto il Donbass, di milizie di autodifesa che presidiano gli edifici pubblici e l’ingresso delle città, il rogo di Odessa, gli scontri armati e i referendum, la proclamazione delle Repubbliche di Donetzk e di Lugansk e la loro fusione in una nuova Repubblica del Donbass, le sanzioni contro la Russia, la campagna militare del Governo centrale contro i secessionisti, le interminabili trattative per il “cessate il fuoco”.

Certamente, l’avere, se non assecondato, almeno non sconfessato, il separatismo della “Nuova Russia”, cioè un movimento secessionistico, per quanto praticamente unanime e con solide giustificazioni culturali e storiche, costituisce uno strappo ai principi del “Diritto Internazionale Classico”, di cui normalmente proprio la Russia postsovietica è stata la più accanita fautrice, mentre gli “occidentali” in genere lo hanno contestato in nome dei diritti inalienabili dei popoli, che renderebbero lecite guerriglie, insurrezioni, guerre civili e “interventi umanitari” (come in Kossovo, in Libia, in Siria e nelle “rivoluzioni colorate”). Tant’è vero che, in ossequio a quei criteri, la Russia si rifiuta da più di 20 anni di ammettere nella sua Federazione le Repubbliche della Transnistria, dell’Ossetia e dell’ Abkhazia, che sono in una situazione analoga a quella della Crimea. Ma potrebbe la Russia ragionevolmente,  in nome di un  rigoroso puntiglio formale, mettere a serio repentaglio il suo equilibrio strategico, la sicurezza dei suoi connazionali e la diffusione della sua cultura nel suo habitat naturale, di fronte a una coalizione multiforme che non nasconde in alcun modo la propria intenzione di cancellare il ruolo dei Russi su ciascuno di questi fronti? Sotto un certo punto di vista, l’atteggiamento russo ha costituito dunque una forma inevitabile di adeguamento alla nuova, ancor più radicale, strategia americana per gestire le crisi internazionali, non più negando, come fino ad ora, bensì aggirando, il diritto internazionale, mediante la creazione accelerata di movimenti politici artificiali. I comportamenti dei separatisti del Donbass sono stati non casualmente  esattamente speculari a quelli dell’Euromaidan, nella loro organizzazione paramilitare, nell’occupazione degli spazi pubblici, nelle tattiche di guerriglia, nella ritualità,  ecc..D’altro canto, già anche le prime Rivoluzioni Atlantiche e le “guerre d’indipendenza” dell’Ottocento, a cui si rifà la maggior parte dei nostri Stati,  erano incominciate proprio con la creazione di movimenti culturali alternativi (i patrioti italiani concentrati da Cavour a Torino), azioni dimostrative provocatorie (il “Tea Party”), l’ occupazione di edifici pubblici (la “Presa della Bastiglia”), e guerre insurrezionali (i “Mille”).

Perchè tutti hanno dimenticato la
Conferenza di Praga?

e) Tornare alla proposta di Mitterrand del 1989.

La soluzione  pratica da darsi alla discussione circa l’associazione   dell’ Ucraina all’ UE (che, ricordiamolo, è stata, per tutte le parti in causa, il pretesto scatenante del conflitto), che vorremmo esplorare con questo Quaderno, sarebbe quella, apparentemente più semplice e più risalente, verso la quale, paradossalmente, nessuno ha più indirizzato, da tempo, la propria attenzione: una qualche forma di confederazione fra l’Unione Europea e l’Unione Eurasiatica, all’interno della quale l’Ucraina potrebbe trovare un suo ruolo di “cerniera”, se non addirittura di “centro”. Si tratterebbe, come proposto nell’ intervento di Lucio Levi, di “evitare lo smembramento dell’Ucraina”, eventualmente garantendo a quest’ultima, come proposto da alcuni autorevoli commentatori, uno status simile a quello della neutralità finlandese (e perché non svizzera?). Sul piano del Federalismo Interno, non mancano precedenti in tutta Europa.Dal punto di vista giuridico e doganale, poi, i rapporti “a più velocità” sono oramai la regola in tutto il mondo.

Tale soluzione avrebbe anche, a nostro avviso,  il vantaggio di rovesciare l’impostazione sempre più sbilanciata che si sta dando, negli ultimi anni, all’integrazione europea, riportandola  alle idee originarie del federalismo mondiale, inteso quale associazione paritetica fra organizzazioni regionali, anche quando animate da visioni culturali diverse.

Quindi, non più una megalomane “politica di allargamento”, di natura  imperialistica e di estensione   indefinita, volta a ”manipolare” i nuovi Stati Membri a propria immagine e somiglianza, bensì un “completamento” dell’Europa, comprendente, su un piede di parità, tutti i suoi popoli.

Essa altro non sarebbe che la continuazione della proposta formulata a suo tempo da Mitterrand, che prevedeva, a una parte, l’Unione Europea, e, dall’ altra, l’allora  Unione Sovietica (oggi, l’Unione Economica Eurasiatica).  Da quell’idea era poi nato il cosiddetto “Partenariato Russia-UE” (1997), a cui aveva fatto seguito il “Consiglio Russia-NATO” di Pratica di Mare (2002), di cui non si sono visti i risultati pratici. La  proposta di Mitterrand non aveva avuto infatti seguito per il già descritto atteggiamento strumentale dei Paesi Occidentali. Si era preferìto adottare il macchinoso meccanismo dei “partenariati orientali”, della “politica di vicinato”, dei trattati di associazione e di adesione, che ha provocato la progressiva disgregazione dell’URSS e della Jugoslavia, e le relative guerre, oltre che una sempre crescente alienazione reciproca fra Russia e UE, le quali invece, nel 1989, si consideravano ancora  “dalla stessa parte della barricata”.

Con questa proposta, sarebbe forse ancora possibile sanare quella frattura che sta portando a uno scontro frontale a Est e Ovest, secondo la linea che parrebbe essere quella dello stesso Governo Italiano.  La soluzione concreta verso cui tendere pare dunque, agli Autori dei vari contributi quella di puntare su un’organizzazione (per esempio, il Consiglio d’Europa), che, raggruppando l’ Unione Europea, l’Unione Eurasiatica, la Turchia e altre controparti nel Medio Oriente, fornisca la base per la collaborazione culturale, politica, economica e finanziaria in Europa, associandosi, per esempio all’ interno dell’OSCE, agli Stati Uniti, per creare un ampio “Sistema Europeo di Sicurezza”.

In questo contesto, l’Ucraina, o, almeno, la sua parte centrale, potrebbe costituire il “Territorio Federale” di questa confederazione, così come Ginevra è sede di varie Organizzazioni specialistiche delle Nazioni Unite, e Bruxelles di varie istituzioni europee. Tra l’altro, solo una soluzione come questa  potrebbe  rappresentare un’attuazione quasi  “alla lettera” dell’idea originaria dell’“Euromaidan” (cioè, in Arabo, Turco, Persiano, ecc.., una “piazza”, un’ “agorà” europeo), dove si incontrino e dove dibattano tutti gli Europei.

Insistiamo che, perché questa proposta possa essere accettata a livello politico, occorrerebbe innanzitutto, “a monte”, una riflessione comune fra le grandi culture del mondo sui rischi della Postmedernità, e, in particolare, sulla deriva totalitaria del Sistema Informatico-militare, e, in particolare, all’ interno dell’Europa, sulla sulla missione delle diverse tradizioni culturali all’ interno della Dialettica dell’ Illuminismo, riflessione a cui questi Quaderni vorrebbero essere propedeutici.    

Questa nostra opera collettiva affronta il tema sotto punti di vista differenti, che saranno trattati nei diversi contributi:

-una riflessione in ottica paneuropea sui rapporti fra la Russia e l’ Europa, da un lato, e la Cina, dall’ altro, quale quella contenuta nell’ intervento di Giovanni Martinetto;

-un esame “tecnico” delle proposte politiche sul tappeto, e, in particolare, della confederazione che andiamo discutendo fa oggetto dell’ intervento diLucio Levi, Presidente del Movimento Federalista Europeo;

una rapida “corsa” attraverso la storia della cultura ucraina, quale quella contenuta nell’intervento di Riccardo Lala, volta a dimostrare che non stiamo qui parlando di astruse questioni circa un paese lontano ed esotico, bensì di sfide centrali per tutti noi, che riguardano un Paese a soli 850 chilometri dall’Italia, ma, soprattutto, cercando, come ci ricorda il Sommo Pontefice, di  evitare una guerra oramai incombente nel cuore stesso dell’ Europa;

-un contributo dello storico Franco Cardini circa l’attualità del dibattito sul califfato, per ricordare che , fra le varie identità che si scontrano in Ucraina, c’è anche quella islamica (tant’è vero che l’ISIS sta rtivendicando l’ Ucraina meridionale, già ottomana);

-una valutazione politica complessiva da parte di Alfonso Sabatino, Segretario piemontese dell’Associazione Comuni e Regioni d’ Europa (AICCRE);

-il documento sulla crisi ucraina del Movimento Federalista Europeo;

-l’Allegato n. 1, contenente la Carta Europea delle Lingue e dei Popoli Minoritari, approvata dal Consiglio d’ Europa

Tutte le parti dell’ Europa possono
(e debbono) avere un loro ruolo

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