IL PROGETTO DRAGHI PER L’EUROPA

E LO SCETTICISMO DELL’ESTABLISHMENT

IL PROGETTO DRAGHI PER L’EUROPA

E LO SCETTICISMO DELL’ESTABLISHMENT

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Più che l’analisi formulata da Draghi alla presentazione del libro di Cazzullo “Quando eravamo padroni del mondo” – quasi scontata, e condivisa da tutti, secondo la quale l’Unione Europea non funziona più, ed è, perciò,  da reinventare-, stupiscono i commenti dei giornali dell’ “establishment”, e, in primis, quello de “La Repubblica”, che, in altri tempi, si sarebbero limitati ad applaudire. L’articolo di Giovanni Orsina “Perché lo Stato europeo di Draghi è un’idea forte ma irrealizzabile” percorre, sostanzialmente, la strada dell’euroscetticismo,  constatando che l’andamento elettorale in tutta Europa, che premia i partiti definiti impropriamente “sovranisti”, va piuttosto nel senso di una riappropriazione di poteri da parte degli Stati membri. Secondo Orsina, s’imporrebbe un compromesso fra il “razionale” federalismo e il sostanziale micro-nazionalismo (che potrebbe trovare la sua espressione al Parlamento Europeo in un allargamento a destra della “Maggioranza Ursula”, verso l’instabile galassia degli europartiti di destra, che si stanno confrontando al loro interno, nella speranza di essere arrivati finalmente alla “stanza dei bottoni”.

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Più che l’analisi formulata da Draghi alla presentazione del libro di Cazzullo “Quando eravamo padroni del mondo” – quasi scontata, e condivisa da tutti, secondo la quale l’Unione Europea non funziona più, ed è, perciò,  da reinventare-, stupiscono i commenti dei giornali dell’ “establishment”, e, in primis, quello de “La Repubblica”, che, in altri tempi, si sarebbero limitati ad applaudire. L’articolo di Giovanni Orsina “Perché lo Stato europeo di Draghi è un’idea forte ma irrealizzabile” percorre, sostanzialmente, la strada dell’euroscetticismo,  constatando che l’andamento elettorale in tutta Europa, che premia i partiti definiti impropriamente “sovranisti”, va piuttosto nel senso di una riappropriazione di poteri da parte degli Stati membri. Secondo Orsina, s’imporrebbe un compromesso fra il “razionale” federalismo e il sostanziale micro-nazionalismo (che potrebbe trovare la sua espressione al Parlamento Europeo in un allargamento a destra della “Maggioranza Ursula”, verso l’instabile galassia degli europartiti di destra, che si stanno confrontando al loro interno, nella speranza di essere arrivati finalmente alla “stanza dei bottoni”.

1.La federazione europea non è nell’ interesse degli Stati Uniti (ANDREW A. MICHTA, “Politico”)

Una spiegazione esauriente del cambiamento di rotta dell’“establishment” si può trovare nell’ articolo di Michta su “Politico” che abbiamo riportato nel post del 24 Novembre u.s, il rafforzamento dell’ Unione, quale vorrebbero (forse) i Governi francese e tedesco, che ha trovato una sua blanda espressione nel documento del “Gruppo dei 12” franco-tedesco, “non è nell’ interesse degli Stati Uniti”.L’optimum è che l’ Europa non si rafforzi troppo, ma neppure si sgretoli, restando in eterno “né carne, né pesce”. Cosa possibile, ma improbabile.

Viene così al pettine il nodo cruciale dell’Unione Europea: nonostante che uno Stato europeo forte, come invoca Draghi, sia da almeno cent’anni un’esigenza urgente per i popoli d’Europa e per il mondo intero (vedi “Pan-europa”, 1923), le classi dirigenti europee, succubi delle vecchie ideologie sette-ottocentesche, come il neo-liberismo internazionale, l’internazionalismo socialista, la teologia della liberazione, il micro-nazionalismo e perfino il “fardello dell’ Uomo Bianco” (e/o “occidentale” o “ariano”), non vi hanno prestato minimamente attenzione, e, quando l’hanno fatto, l’hanno fatto distrattamente, senza dedicarvi eccessivo impegno.

Basti riandare al quasi dilettantistico, anche se sofisticato, progetto di Coudenhove Kalergi, alle oscillazioni di Spinelli fra un federalismo rivoluzionario come quello di Ventotene e un inserimento di fatto nell’establishment funzionalistico ( come commissario ed europarlamentare), e, infine, alla facile liquidazione dei conati europeistici della Francia post-gollista (Giscard d’Estaing, Mitterrand), nonché di Gorbaciov, e perfino del progetto di federazione sotto l’Asse, subito bloccatosi al “Nein” stilato da Hitler al margine dell’ apposito documento di Ribbentrop.

In realtà, come scrivevamo nel post del 24/11, le Comunità Europee avevano esordito nientemeno che con un ordine del giorno approvato dal Senato americano su proposta del Senatore Fulbright, con l’American Commission for a United Europe e con una Dichiarazione Schuman in realtà approntata da Monnet a quattr’occhi con il Segretario di Sato americano Dean Atcheson, sbarcato con un blitz a Parigi il giorno prima dell’ annunzio al Quai d’Orsai.

Le Comunità Europee erano quindi nate da cerchie ristrettissime, più americane che europee, e non avevano mai posseduto, né la ricchezza intellettuale, ne lo spirito combattivo, non diciamo per discostarsi dai desiderata americani, ma neppure per pensare a un proprio autonomo percorso culturale.

2. Sconvolgimento degli equilibri post-1945

Oggi, di fronte al mutamento drammatico dello scenario mondiale, dominato da un’ Intelligenza Artificiale che, sole, possono permettersi le Grandi Potenze; dinanzi allo sconvolgimento del potere di fatto all’ interno degli USA per via della crescente maggioranza “non WASP” (cioè Latinos, Afroamericani, Nativi Americani, Asiatici, più Cattolici, Irlandesi, Gallesi, Scozzesi, Tedeschi, Italiani, Polacchi, Ebrei…), e del conseguente peso della cultura “woke”, e, infine, dinanzi al prevalere economico dell’ Asia e dei BRICS, una nuova ondata in Europa è inevitabile, con o senza l’ Unione Europea.

Tutto ciò rende, da un lato, più urgente che mai, e, dall’ altro, finalmente possibile, un’Europa forte come indicato da Draghi, a patto, però, di abbandonare la cultura “mainstream” del nostro “establishment”,  ponendosi come obiettivo, non già di supportare da un ruolo ancillare la prosecuzione del tentativo di presa di controllo sul  mondo dei GAFAM, bensì di costruire un’alternativa agli stessi, fondata sulla cultura tradizionale europea, che è critica, elitaria e sociale.

Accertato infatti (come implicitamente fanno tanto Draghi quanto Orsina) che le classi dirigenti europee attuali non sono in grado di esprimere alcun progetto sui temi più importanti, come la sopravvivenza dell’ Umanità, il dialogo multiculturale e la Guerra Mondiale a Pezzi, occorrerebbe partire da una seppur modesta élite capace di pensiero autonomo, che si dedicasse alla comparazione senza pregiudizi con gli altri Continenti, alla risposta alle domande irrisolte dei nostri filosofi e delle diverse confessioni religiose europee, e, infine, all’ educazione degli Europei per il XXI Secolo. Solo una siffatta classe dirigente potrebbe volere, e tentare di realizzare , un’Europa più compatta, talmente sicura di sé da poter permettere senza pericolo alle sue regioni di esprimere quelle distinte identità che contrassegnano il nostro Continente, soddisfacendo così nello stesso tempo le esigenze dei federalisti europei e quelle dei  micronazionalisti.

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