CONSERVATORISMO, CONSERVAZIONISMO E “CULTURE DA DESTRA”

Abbiamo spesso avuto l’occasione di osservare, senza approfondirla, la distinzione fra “conservatorismo” e “conservazionismo”.  Oggi ci sembra il caso, di fronte ai dibattiti sempre più accesi sul conservatorismo e sulle “culture da destra” (cfr. Francesco Giubilei, Gli Intellettuali di destra), di ritornare su quelle definizioni.

Il conservatorismo è un fenomeno praticamente eterno, in quanto in tutte le epoche una parte della società si è volta con nostalgia ai tempi passati. Basti pensare a Platone, a Tacito, a Dante, a Balzac, a Gandhi…Tuttavia, a mano a mano che si procede nel corso dei secoli “storici”, nasce una forma più consapevole e profonda di conservazione: una riflessione sui caratteri “permanenti” dell’Umanità, minacciati, appunto, dal processo storico, che, in modo speculare all’ avanzamento delle tecniche, induce un depotenziamento dell’uomo rispetto all’ “Uomo Universale” dei primordi: dall’Età dell’ Oro, l’epoca eroica, la “Patrios Politeia”, il “Mos Maiorum”,i Primi Cristiani, l’Età Classica, il Rinascimento, il Risorgimento, lo Spirito Dionisiaco.

Questo  svuotamento dell’Umano  “classico” è stato denunziato in molte delle sue forme: indebolimento dei costumi, varie forme di tirannide, oblio della cultura alta, delle virtù civiche o dell’autenticità delle persone.

Nel 19° e, soprattutto nel 20° secolo, questa disumanizzazione veniva ascritta prioritariamente alla tecnica: l’”alienazione” di Marx, la “gabbia d’acciaio” di Weber,  l’”uomo in provetta” di Huxley. Il Mito del Progresso si rivela come un sostanziale regresso, effetto dell’Eterogenesi dei Fini. Lo riconoscono alla fine personaggi diversi, come Goethe, Freud, Heidegger, Peccei, Anders, Fukuyama… Un’opera che rende bene questo clima culturale è la “Waste Land” fu Th.S. Eliot:

«Where is the wisdom we have lost in knowledge?
Where is the knowledge we have lost in information?»
«Dov’è la saggezza che abbiamo perso nella conoscenza?
Dov’è la conoscenza che abbiamo perso nell’informazione?»
(T.S. Eliot, The Rock, 1934)

Fra il 20° e il 21° secolo, la disillusione per il mito del progresso è oramai generalizzata, anche fra personaggi provenienti da culture progressiste: Pacces, Barcellona,  Compagnon, Arpaia, Krastev.  Solo qualche ostinato nostalgico (p.es. Pinsker) continua a sostenere che l’uomo non sia mai stato felice come oggi.

1.Il volto oscuro del progresso

Tuttavia, solo oggi la vera ragion d’essere dell’opposizione a questo depauperamento dell’ Umano si rivela in tutta la sua drammaticità: sotto le vesti accattivanti della civilizzazione, della moralizzazione, dello Stato, prima etico e poi democratico, della comodità, della filantropia, della ricerca scientifica, del moralismo, si cela l’affermarsi di un Leviatano, prima politico, poi sociale, e, finalmente, tecnologico: l’Anticristo di Soloviov, l’Impero Nascosto delle sette, dei Poteri Forti, del Complesso Informatico-Digitale, del Politicamente Corretto, del conformismo planetario, della Società del Controllo Totale, fino all’ estinzione dell’ Umano, travolto dall’ Intelligenza Artificiale, come denunziano unanimemente e per iscritto gli stessi guru dell’ informatica inventori dei GAFAM e oggi “lobbisti” delle stesse, chiedendo alle Istituzioni di porre un freno alla ricerca sulla stessa.

La Modernità si rivela così più che mai identificarsi con l’ipocrisia puritana, che impone a tutti, nel nome di un’ incombente Parusìa,  la modestia, la trasparenza, l’eguaglianza, la rinunzia, riservando tuttavia ai vertici occulti dei Poteri Forti un potere e un’ambizione senza limiti, quella del Dott. Faustus. L’Umanità non andrebbe avanti senza differenza, gerarchie, pensiero consolidato, ambizione, coercizione, premi e ricompense (in primis, quelle dei tecnocrati e imprenditori); tuttavia, questo non lo si deve dire – anzi, bisogna convincere i più che lì stia il Male Assoluto, in modo che solo i Superiori Sconosciuti, i settari, i “Gatekeepers”, gli agenti segreti, possano imporre la loro volontà a una maggioranza di ebeti che credono nelle favole della Fine della Storia.

Il risultato immediato è il dominio dei GAFAM sul mondo, ma, a breve, sarà il dominio sul mondo delle macchine create dai GAFAM: Intelligenza Artificiale; bioingegneria; cyberguerra; impianti cerebrali;  robots; Società del Controllo totale, droni assassini; Fake News, censura automatizzata…

Quello che viene erroneamente definito come “egemonia culturale della sinistra” è, in realtà, la tirannide totalitaria della Modernità Scatenata, che impone ai cittadini un’ agghiacciante  omogeneità ( “i Paesi avanzati”; “non lasciare indietro nessuno”; “la Comunità internazionale”; “i Diritti”), ma, soprattutto, vorrebbe spacciare, come “dialettica democratica”, la presenza, all’ interno di questo quadro omogeneo, di alcune insignificanti  sfumature,  come un liberismo  o un sindacalismo di facciata,  un Cattolicesimo che ha accettato che la salvezza venga dalla Scienza e dalla Tecnica, o un sovranismo che accetta  una occupazione straniera permanente. Invece, le reali alterità, come le culture extraeuropee (come il Confucianesimo e l’Induismo), oppure un autentico relativismo, o ancora la piena rivendicazione delle differenze, vengono ostracizzate al punto da divenire indicibili.

La confusione fra “mainstream” e “sinistra” nesce solo dal fatto che, come giustamente osserva Marcello Foa ne “il sistema (in-)visibile”, vi è stata, negli ultimi decenni, una convergenza, in Occidente, fra i metodi di condizionamento (“propaganda sociologica”) del KGB e della CIA, spesso con la confluenza dello stesso personale politico.

Si spiega così, ad esempio, l’assoluta intercambiabilità fra la “Maggioranza Ursula” e la “Maggioranza Metsola”,visto che le due donne politiche in oggetto, non solo dicono le stesse cose, ma si vestono perfino nello stesso modo.

2.La Dialettica dell’ Illuminismo

Tutto ciò era già stato profetizzato, seppure in forma criptica, nel classico libro di Horkheimer e Adorno “Dialettica dell’ Illuminismo”.

Oggi, il vero problema non è neppure più politico-culturale: è esistenziale. La Fine della Storia si rivela, come ha dovuto riconoscere lo stesso Fukuyama, la Fine dell’Uomo (prevista addirittura entro 10-20 anni a meno che non intervengano eventi drammatici, come la Terza Guerra Mondiale), in cui, di fronte all’ onnipotenza del sistema macchinico, l’Uomo si rivela, come scriveva Anders, antiquato e inutile.

Basti pensare allo scontro oggi in atto in tutto il mondo in corso fra missili ipersonici, sistemi satellitari, droni, servizi segreti e hacker: per esempio, nella guerra in Ucraina, fra Patriot e Kinzhal.

Il “Phylum Macchinico”, come lo chiamava De Landa (cioè l’insieme delle macchine intelligenti operanti come la nuova razza dominatrice del mondo), vero protagonista del XXI° Secolo, appare con il volto accattivante della Libertà, dei Diritti, delle scoperte scientifiche, dell’onnipotenza dell’Uomo, per poi rivelarsi, nei fatti, come l’Anticristo di Soloviov: l’affossatore dell’Umanità. Libertà, Diritti, scoperte scientifiche, onnipotenza dell’Uomo (le “Magnifiche Sorti e Progressive” di Leopardi) sono gli slogan branditi di volta in volta dalle mosche cocchiere delle Macchine Intelligenti (ma, tra l’altro, mai tradotti in pratica), per distruggere il tessuto sociale, trasformando l’Umanità in una massa indifferenziata, debole e instupidita (quella che Tocquevill vedeva sorgere in America), incapace di resistere alla forza delle macchine, uniche adatte a sopravvivere alla Terza Guerra Mondiale. Dove libertà, diritto, dominio dell’ Uomo sulla natura, saranno annientati in una nuova era (la “Posthisthoire” di Gehlen), le cui protagoniste saranno le macchine, almeno fintantoché il software dematerializzato non inghiottirà l‘intero mondo quale noi lo conosciamo, e quindi le macchine stesse (la “Singularity Tecnologica” di Kurzweil).

Per questo, s’ impone oggi più che mai, quale necessaria antitesi, quella “Forza che Trattiene”, quel misterioso Katèchon, di cui parlava San Paolo senza poterlo, né volerlo, spiegare, il quale si oppone alla Fine dell’ Uomo, almeno fintantoché questa non coinciderà con il Giorno del Giudizio. Per via di quest’ultimo inciso, anche il Katèchon si rivela duplice e ambiguo, e, se Sant’Agostino affermava di non comprenderlo, i suoi successivi cultori, dalle Hadith mussulmane a Ottone di Frisinga, da von Bader a Carl Schmitt, fino a Pietro Barcellona e Aleksandr Dugin,  sono, su questo punto,  almeno altrettanto oscuri e sfuggenti di San Paolo.

Comunque sia, quella dialettica fra l’Anticristo e il Katèchon (la “Dialettica dell’ Illuminismo”) è al cuore stesso della storia contemporanea, come dimostrano le numerosissime prese di posizione contro l’Intelligenza Artificiale, interpretata  come fine dell’ Umanità, da parte degli stessi inventori e cultori della stessa.

Essa costituisce lo sbocco finale di una lotta incessante nel corso della storia: fra i Persiani chiliasti e i Greci “catecontici” (basti pensare all’Oracolo di Delfo su Leonida e al Sogno di Dario); fra il nichilistico Buddhismo Hinayana e quello Chan, costruttivo e combattente (per esempio, Bodhidharma e il Monastero di Shaolin); fra l’ansia di Apocalisse degli Anabattisti (vedi la bandiera arcobaleno issata per la prima voltanella battaglia di Frankenhausen, ed ora ripresa da tutti i movimenti progressisti) e il discorso di Lutero ai Principi Tedeschi; fra la Pasionarnost’ dell’Eurasiatismo e il postumanesimo dei Cosmisti russi…

Non per nulla il Pontefice Romano, massima espressione delle religioni mondiali, ha incitato le Istituzioni Europee (per quanto inutilmente) alla resistenza agli “Imperi Sconosciuti” (i GAFAM, le società segrete e, soprattutto, l’”Impero Nascosto” americano).  

Contrariamente a questi ultimi,  i grandi imperi della Storia  ancora sopravvissuti (in concreto, le potenze dell’Eurasia), pure nella grande varietà e confusione delle loro posizioni, si richiamano a un’idea di conservazione. Il marxismo cinese non riesce a soffocare l’emergere del linguaggio confuciano, là dove si propone, quale obiettivo strategico per i 100 anni della Repubblica Popolare, non già il Comunismo, né il DaTong, mitico ideale normativo del Confucianesimo, bensì il più equilibrato Xiaokang (la “Società Moderatamente Prospera”) .Il Janata Party, riallacciandosi con ciò al Gandhi di “Hind Swaraj”, esalta “le Dee e gli Dei dell’ India”, lo Yoga e le medicine tradizionali. Ma perfino nell’Occidente anglosassone, roccaforte dei GAFAM e della NSA, e quindi , del Progetto Incompiuto della Modernità erede di tutti i chiliasmi, vi sono personaggi come Assange e Snowden che si battono eroicamente contro gl’ Imperi Sconosciuti.

3.Cos’è il “Conservazionismo”?

Chiamiamo “conservazionismo” questa resistenza trasversale contro gli esiti ultimi del mito del Progresso. Essa si oppone non già in modo episodico (come facevano  i vari conservatorismi del passato ) alle successive “derive” dei mondi “tradizionali” (la democrazia ateniese,  il despotato romano, la “gente nova” di Dante, la Rivoluzione Francese, il macchinismo dei Luddisti, il marxismo degli anticomunisti),- idolatrando invece, chi lo Stato di Natura,chi l’Età dell’ Oro,chi  il Mos Maiorum,chi l’Ancien Régime, chi la società borghese, chi i regimi totalitari, chi le “Trente Glorieuses, –  bensì all’attuale distruzione dell’uomo  quale noi lo conosciamo (quello dell’ Epoca Assiale, che nasce con le grandi culture della scrittura e dura fino a noi), senza avere per altro intanto costruito nulla di veramente alternativo (quella che avrebbe dovuto essere la Nuova Società Organica lanciata da Saint-Simon e al centro di tutte le utopie ottocentesche, ma mai realizzata).

In termini nietzscheani, in conservatorismo rappresenta l’ “Uomo più Brutto”, quello che ha ucciso Dio ma se ne vergogna perché non è all’altezza di sopportare l’ateismo. Di qui il senso di disorientamento generalizzato che pervade la società comntemporanea.

Anche in Europa, s’impone comunque una qualche forma di Katèchon, una forza spirituale capace di trattenere la “transizione” dall’ Umano al Post-Umano. Secondo molti, da Heidegger a Jünger, da Teilhard de Chardin a De Benoist, questa resistenza sarebbe vana (un “mito incapacitante”), perché le stesse tradizioni ancestrali degli Europei porterebbero, attraverso un “piano inclinato”, verso l’Apocalisse. Ma noi obiettiamo, con Dostojevskij, Pannwitz e Daniel A. Bell, che, se la dialettica interna della cultura europea (e soprattutto americana) ha come sbocco fatale l’autodistruzione dell’Umanità, soccorreranno ben presto le altre tradizioni culturali mondiali, che, con la rinnovata forza dei popoli afro-asiatici, impediranno l’autodistruzione provocata dall’ Europa e soprattutto dalla sua postuma estensione. E’ da almeno un secolo che  molti intellettuali europei, da Guénon a Hesse, da Rerih a Jung, da Evola a Panikkar, ci invitano a questa mossa.

In effetti, alla luce del Dubbio del Moderno, risultato della “Vergleichende Epoche” che tutto confronta, -antico e moderno, sacro e profano, Oriente e Occidente-, anche la scelta fra Anticristo e Katèchon, o fra Buddismo e Confucianesimo,  appare esposta al massimo della soggettività.  E, questo, ben si addice, innanzitutto, ai cultori del Katèchon, che si oppongono al mito del Progresso proprio per il suo determinismo, mentre invece essi si ostinano a credere che, come ha detto recentemente De Benoist, “la Storia è aperta”. Se così è, la “de-cisione” di ciascuno di noi può contare nella Storia del Mondo (grazie al “libero arbitrio”). Nello stesso modo, già Matteo Ricci, nella sua opera “Il vero significato del Signore del Cielo”, aveva chiarito come la scelta fra un Buddhismo nichilistico e un Confucianesimo costruttivo è una scelta individuale.  Per altro, quasi tutti  i grandi pensatori europei furono  solidali nella sostanza con la posizione dei Gesuiti. Basti pensare  a tutti coloro che si sono battuti contro lo Zeitgeist: non soltanto ai Novissima Sinica di Leibniz e al Rescrit de l’Empereur de la Chine di Voltaire, ma, anche   alla più tarda critica di Kierkegaaard al Vescovo Mynster,  a quella anti-egualitaria di Tocqueville e di Nietzsche, e a quella anti-irenistica di Freud. Per non parlare poi di Simone Weil che cercava l’”Enracinement” o di Saint Exupéry che voleva “costruire la Cittadella nel cuore dell’Uomo”.

3.Anticristo o Katechon? Una de-cisione esistenziale.

Certo, anche la scelta opposta al Conservazionismo avrebbe , dalla sua parte, delle buone ragioni, dall’ansia di Bene dei chiliasti al desiderio di infinito di Nietzsche, alla volontà di attuare le Scritture, propria di Fiodorov e dei Cosmisti Russi, fino alla religiosità universale di Teilhard de Chardin e di Raimon Panikkar. E proprio per questo, pure in presenza di una lotta mortale per la vita e per la morte, i Conservazionisti debbono mantenere il totale rispetto per i loro, pur mortali, avversari, pretendendo lo stesso da questi ultimi. Anche e soprattutto perché raramente sono del tutto tali, come il Goethe di An die Vereinigten Staaten e del secondo Wilhelm Meister, come il Marx dei Grundrisse. Questa, e non una pretesa tolleranza che sarebbe propria della “democrazia”, costituisce la vera base di una sana dialettica culturale e poltica, diversa dal “pensiero unico” che domina oramai da decenni la scena in Occidente.

Come si vede, non c’è proprio bisogno di andare alla ricerca di nuove strane ideologie, quando siamo immersi fino al collo in una fondamentale lotta culturale, che non verte su vane parole o mode, bensì sulla nostra sopravvivenza esistenziale.

La lotta culturale per e contro il Postumano, così come quella fra le varie versioni dello stesso e della opposizione ad esso, sta sostituendo quella fra le obsolete ideologie sette-ottocentesche. Le “ideologie” del 21° secolo nascono intorno alle modalità con cui opporsi alla Fine dell’ Umano.

Coloro che vorrebbero ri-dare un’anima ai partiti, non hanno, quindi, che l’imbarazzo della scelta. Infatti, a nostro avviso, tutte le aspirazioni tradizionali dei singoli partiti, libertà, solidarietà, tradizione, patria, ambiente, vengono oggi negate dal politicamente corretto, dall’egemonia delle multinazionali, dalla “cancel culture”, dall’omologazione occidentale, dalle retoriche pseudo-ambientaliste delle lobbies “verdi”. Ogni partito potrebbe, e, a nostro avviso, dovrebbe, mettere al primo posto del proprio programma, una di queste battaglie: contro la censura, per l’upgrading delle imprese nazionali e per la partecipazione dei lavoratori,  per la difesa delle culture religiose contro l’adorazione della tecnica, per una vera “sovranità strategica”, per una “ecologia dell’ anima”.

Quello che non è ammissibile è, invece, ciò che succede oggi tutti i giorni, con le varie fazioni dell’”establishment” che fingono (sorridendo o addirittura ridendo in faccia ai cittadini) di azzuffarsi su questioni futili, camuffando o nascondendo l’importanza vitale della questione della Fine dell’ Uomo in nome di un ottimismo idiota in mala fede, che maschera semplicemente la loro felicità per gl’indebiti privilegi ottenuti in cambio della loro connivenza.

4.Il conservazionismo ha a che fare con le “culture da destra”?

Esiste un concetto politico, seppure vago, chiamato “destra”, ma su cui i membri dell’ “establishment” dei più vari orientamenti non cessano di ricamare nell’ ambito dei loro eterni teatrini. Esso trae la sua origine dalla collocazione in parlamento dei diversi gruppi politici, ed ha quale presupposto l’idea ch’essi si distinguano per la loro più calda, o più fredda, adesione al “Progetto Incompiuto della Modernità”, un “pacchetto” che si pretenderebbe unitario di gnoseologia, teologia, filosofia, cultura, etica, politica, economia, tecnologia e società (la “concezione assiale della politica”).

Si tratta di un concetto utile dal punto di vista euristico, visto che normalmente la politica parlamentare si è basata su alleanze fra partiti vicini nello spettro destra-sinistra. Ne consegue che esistano, come oggi in Italia, goverrni di destra, che hanno i loro sostenitori, anche fra gl’intellettuali, e che questo renda opportuna, se non necessaria, una “politica culturale di destra”.

Come è stato rilevato quasi unanimemente, non esiste neppure un’ unica “cultura di destra”, bensì, semmai, una serie di “culture di destra”. Esse hanno una qualche affinità con il conservazionismo, ma non vi si sovrappongono. Da un lato, vi sono delle “culture di destra” come il Futurismo, che sono piuttosto omogenee al Mito del Progresso. Ma anche le altre hanno semmai molto in comune con i Conservatorismi, vale a dire esprimono la nostalgia per questo o per quel periodo storico, ma nessuno la consapevolezza della prossima fine dell’Umanità, e dell’urgenza di opporvisi. Questa consapevolezza, pur essendo alla base delle politiche della maggior parte dei Governi del mondo (Asia, Africa, America Latina), è condivisa da appena qualche decina di intellettuali in tutto il mondo non cooptati dal “mainstream”,  e, nonostante la cogenza delle loro argomentazioni non trova un unitario veicolo politico attraverso cui esprimersi.

Non si può accettare un siffatto isolamento degl’intellettuali “conservazionisti”. Da un lato, occorre ricercare dei momenti di incontro fra di essi ed altre culture, che anche le discusse politiche culturali della destra potrebbero fornire, e, dall’ altro, occorre, da parte di essi, un maggiore attivismo: pubblicistico, politico e di ricerca, tecnologica e pedagogica.

Per ora, constatiamo che gli autori definiti “di destra”, per quanto, teoricamente “vocati” a un compito di critica particolarmente aspra della Modernità, non si sono discostati da quella critica garbata al Postmoderno che accomuna oggi un po’ tutti, da progressisti come Morozov e Zuboff a prelati come Benanti e Peyron. Eppure, per i “conservatori”, il postumano   dovrebbe costituire un pericolo ben più reale ed incombente che tutti quegli altri fenomeni, spesso solo cartacei, ch’essi denunziano. Il postumanesimo è infatti la negazione di ogni libertà umana in ossequio alla vittoria delle macchine; la negazione del concetto di “limite”, base di ogni cultura tradizionale; la pretesa di soppiantare le religioni positive con la religione della tecnica; la sparizione di ogni comunità umana (civiltà, nazione, religione, partito, impresa, famiglia) nell’ ambito di un unico “Phylum Macchinico” a cui noi tutti siamo asserviti; la sparizione della natura entro una macchina universale, sia essa quella dell’industria inquinante, sia essa quella dei pretesi salvatori del mondo che sono anche costruttori di argini che non reggono, di pannelli solari che inquinano, di pale eoliche che rovinano i paesaggi…

Esso meriterebbe un’azione culturale, ma prima ancora, politica, radicale, da parte dell’intelligencija indipendente.

Chiediamo  ai conservatori italiani , che si propongono lodevolmente, non di tornare a quei “mostri sacri” che in fondo non erano “conservazionisti” (come de Maistre o Evola, che all’ atto pratico invitavano i loro lettori alla passività), né di sostituire un’egemonia culturale ad un’altra, bensì di aprire a tutte le idee nuovi spazi di libertà, di dedicare un progetto specifico al conservazionismo internazionale,  mettendo in contatto  fra di loro i suoi autori  emergenti, in modo da  fare dell’ Italia un loro  sbocco politico.

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