UN “COMITATO PANEUROPEO DI RESISTENZA E RESILIENZA”?

1.PERCHE’ NON ESISTE UNA STATUALITA’ EUROPEA?
Il Movimento Europeo aveva sostenuto fin dall’ inizio che una Federazione Europea non si sarebbe potuta costituire attraverso accordi fra gli Stati, bensì solo attraverso un atto fondativo rivoluzionario del Popolo Europeo. Nel Manifesto di Ventotene si era accennato addirittura che questo momento rivoluzionario avrebbe potuto avere inizio addirittura con un movimento armato, erede della Resistenza.
Anche l’idea che, per realizzare una “Federazione Europea”, si passasse attraverso a un “Congresso del Popolo Europeo” e a un referendum paneuropeo era stata proposta da Spinelli, ma però mai perseguita seriamente.
Il Prof. Cardini l’ha qualificata giustamente come “irrealizzabile”.Concordiamo per due motivi:
-in primo luogo perché nessuno dei numerosi grandi predecessori aveva mai veramente, né pensato, né proposto, una vera statualità europea in sostituzione dei dispersivi eredi dell’Impero Romano(Sacro Romano Impero, Bisanzio, Impero Ottomano,Impero Francese…) , né tantomeno una vera “civiltà paneuropea”, alternativa tanto all’ Occidente quanto ai grandi Stati-Civiltà, bensì solo elementi altrettanto sparsi, attinenti ora a questo, ora a quell’aspetto(militare, giuridico, culturale, politico, religioso..). Non i primi teorici di crociata; non i primi progetti fra sovrani, non Novalis, non Mazzini, non Coudenhove-Kalergi, neppure Ribbentrop, Spinelli o Schuman; neppure Napoleone o la Santa Alleanza. Anche la pretesa “Costituzione Europea” bocciata dagli elettori francesi e olandesi era solo un collage di trattati. Forse il solo progetto organico era stato la Costituzione Italiana ed Europea di Galimberti, anche se priva di una base culturale adeguata. Che cosa avrebbe dunque potuto ratificare il referendum paneuropeo?
-in secondo luogo perché, nonostante le pretese ideologiche “democratiche”, la politica è oggi più elitaria che mai nella storia. Le stesse emozioni fondamentali dei popoli, a cominciare dalle loro pretese idiosincrasie “di pancia” (l’ opposizione all’ “Oriente”, per passare ai cosiddetti “diritti di ultima generazione”, fino ad arrivare all’ idea del “popolo-nazione” e ai “valori non negoziabili”) sono semplicemente l’effetto di ben orchestrate campagne occulte che partono dal sistema educativo, continuano nella politica e nei media e si concretizzano in movimenti pretesi “spontanei”, come per esempio il ‘68, gli Anni di Piombo, Tangentopoli, le “Rivoluzioni Colorate”, i “populismi”, ecc…Perfino i migliori intellettuali cadono vittime di quelle “mode intellettuali”. Quindi, se nessuno organizza sotterraneamente un’esplosione di Identità Europea (così come le “Nazioni” furono organizzate a suo tempo dalle Grandi Potenze e dalla Massoneria), non si vedrà nascere nessun movimento “spontaneo” a favore dell’Europa.
L’esemplificazione più plastica si questa inanità si è vista recentemente con la “Conferenza sul Futuro dell’ Europa”, a cui non ha fatto seguito alcun movimento politico concreto.
Si tratta invece di raccattare i pezzi sparsi presenti in Ippocrate e in Platone, in San Paolo e in Dante, in Podiebrad e in Sully, in St-Pierre e nella Santa Alleanza, in Novalis e in Nietzsche, in Dostojevskij e in Coudenhove-Kalergi, in Ivanov e in Simone Weil, in Galimberti e in Spinelli, per creare un nuovo quadro organico e operativo, che non si chiamerà, né Impero, né Repubblica, né Federazione, né Confederazione, né Stato, né Nazione. Forse, “Stato-Civiltà Europeo”.
Il professor Cardini ha proposto a qusto scopo la creazione di un apposito comitato pan-europeo, che chiameremo qui “Comitato Paneuropeo di Resistenza e Resilienza”. Noi, con questo articolo, tentiamo di disegnarne i tratti distintivi.

2.PERCHE’ ABBIAMO BISOGNO ANCHE NOI DI UN NOSTRO “STATO CIVILTA”?
Nonostante ciò, la trasformazione dell’Europa, da un coacervo disorganizzato di Stati-Nazione, in uno Stato-Civiltà” come la Cina, l’India e gli Stati Uniti è oramai improrogabile per: (i) guidare il nostro Continente fuori dalla Terza Guerra Mondiale; (ii) farlo tornare veramente protagonista delle grandi scelte mondiali, in particolare quelle sul Post-Umano.
Infatti:
-La “guerra mondiale a pezzi” si è oramai trasformata in una vera guerra mondiale, sui fronti ucraino, siriano, libanese, palestinese, saheliano, sì che sono saltate tutte le strategie novecentesche basate sull’ipotesi della “Pace Perpetua”, sostituite da una battaglia all’ interno dell’Apocalisse;
-Con l’elezione di Trump, si è realizzata la fusione fra lo Stato Americano e i GAFAM (Musk, Thiel, Zuckerberg), i quali ultimi saranno gli unici possibili vincitori di una guerra giocata sulle armi autonome, sui droni assassini, sulla cyber-intelligence, sui trolls e sugli androidi resistenti alla guerra Nucleare, Chimica e Batteriologica (NBC). Innanzitutto perché, come scritto nell’ ultimo numero di Foreign Affairs, è la rapidità delle attuali guerre totali a rendere imprescindibile, contrariamente a quanto sostenuto da Kissinger nell’ ultima fase della sua vita, il comando delle operazioni dei vari contendenti da parte dell’ Intelligenza Artificiale, e, quindi, impossibile una regolamentazione pervasiva della stessa, che riguardi anche gli usi bellici.
Questa guerra costituisce dunque, a meno di un’azione rapida e incisiva, il momento cruciale della presa di potere da parte del “Philum Macchinco”, come l’ha chiamato Manuel De Landa.
L’Europa, intesa, non quale complesso giuridico incompiuto e intrinsecamente debole, bensì come un’ élite portatrice di una visione del mondo, potrebbe e dovrebbe intervenire:
-sia come guida morale dei popoli lasciati senza progetto in mezzo a nuove stragi come quelle dell’Ucraina e del Medio Oriente;
-sia quale catalizzatrice di un percorso olistico di ricostruzione che parta dalla filosofia e dalla storia per arrivare alla teologia e alla scienza, alla politica e alla società, alla tecnologia e all’ economia, alla cultura e alla difesa del nostro Stato-Civiltà, fino alla regolamentazione dell’ Intelligenza Artificiale. Quello che un tempo l’Europa pretendeva di essere (per esempio, con il Manifesto di Ventotene) come modello di civiltà, o almeno quale “Trendsetter of the Worldwide Debate”.


3.GLI STATI-CIVILTA’
Uno Stato-Civiltà è un’aggregazione geopolitica caratterizzata da una continuità storica millenaria, da uno scacchiere specifico di dibattiti e di conflitti, da un centro e da delle periferie, e da un’organizzazione atta a permetterle d’influire sulle scelte del mondo.
Per esempio, la Cina, nata con gl’Imperatori Mitici e gli Stati Combattenti, caratterizzata dai caratteri “Hanzi” e dall’ egemonia congiunta dei “San Jiao” (“Le Tre Scuole”=Taoismo, Confucianesimo e Buddhismo), dalla coesistenza degli Han (i“Figli del Fiume Giallo”) con 56 diverse “nazionalità”, e dall’egemonia del Partito Comunista Cinese, si propone come potenza anti-millenaristica (un nuovo Katèchon?), ponendosi un obiettivo storico apparemente modesto, vale a dire lo “Xiaokang” (“una società moderatamente prospera”). Sua lingua unificante: il Mandarino
L’India, fondata sulla sintesi fra induismo, buddhismo e islam, è caratterizzata dal pluralismo etnico, linguistico, religioso e cetuale intorno agli Hindustani della valle del Gange, circondati da altri popoli indo-ariani (kashmiri, punjabi, gujarati, marathi, oriya e assamesi) e dravidici (tamil, malayali, telugu, kannada), e caratterizzati dal ritorno, propugnato da Modi, allo Yoga e alla devozione al (semi)dio Rama. Sua lingua unificante, il Sanscrito.
Gli Stati Uniti, nati, secondo Huntington, dalla “Dissidenza nel Dissenso”(la Congregazione di Scrooby), sarebbero caratterizzati, secondo Dan Brown, dall’ egemonia congiunta di puritanesimo, massoneria e liberalismo, e fanno oggi oggetto di un conflitto fra suprematismo bianco (“WASP”) e cultura “woke”. Loro lingua unificante: l’ Inglese.
Non hanno (ancora) un loro Stato-Civiltà, l’Islam, l’Africa, il Pacifico e l’America Latina.
I mitici protagonisti del “federalismo mondiale” sono proprio gli Stati-Civiltà, che di fatto disputano sul futuro del mondo, non certo i 200 Stati-Nazione sperduti nel mare magnum dell’assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Uno “Stato-civiltà” europeo capace di dialogare alla pari con gli altri tre (otto) dovrebbe anch’esso ricercare non solo le sue radici (come si dice oggi)in Roma, Atene e Gerusalemme, ma, al di là di ciò, concepire la propria identità permanente nella sintesi fra Est ed Ovest (“respirare con i due polmoni”di Viaceslav Ivanov). Infatti, buona parte della storia e cultura europee sono a Oriente: in Anatolia, in Mesopotamia, in Egitto (l’”Atena Nera”), nelle steppe pontiche (gli Yamnaya, i Goti, i Bulgari, i Turchi, i Magiari, i Cosacchi), nei Balcani (i Greci, Bisanzio), in Russia (Gogol, Chechov, Ciaikowski, Dostojevski, Stravinski, Sol’zhenitsyn). Anche la questione della lingua dovrebbe fare oggetto di uno sforzo di ricerca e di sintesi, poiché l’Europa possiede più lingue storiche di cultura, dal Greco, al Latino allo Slavo Ecclesiastico (oltre all’ Ebraico e all’ Arabo).L’Europa è uno Stato-civiltà incompiuto. Pur avendo, come la Cina, una sua continuità millenaria, questa continuità (la “Translatio Imperii”) è più frazionata di quella cinese(un po’ come quella indiana), partendo essa dall’Egitto, dalla Mesopotamia, per passare alla Persia e Israele, e, di qui, agl’imperi romano, romano-germanico, ottomano, inglese, francese, russo e inglese. In fondo, anche USA, Russia, Turchia e Israele pretenderebbero tutti di rappresentare l’ultimo avatar della Translatio Imperii.
Ricostruire questa continuità è stato da sempre una sfida defatigante per storici e politici. Oggi, questo compito è reso più possibile dallo sviluppo della comparazione fra le culture, ed è diventato una priorità (cfr. Riccardo Lala, 10.000 anni d’identità europea).
Gli Stati-civiltà vivono oggi immersi in un universo tecnologico, comprendente il Post-Umano e le guerre tecnologiche. La Cina ha sfidato l’Occidente sul piano dell’innovazione tecnologica ed economica e del controllo politico sulle grandi piattaforme (il “Crackdown sui BAATX”). L’India è divenuta il Paese più popoloso del Pianeta e un’area di punta del settore ICT. Gli Stati Uniti tentano in tutti i modi di preservare ed accrescere la loro egemonia, attraverso il complesso informatico-militare, le “covert operations”, le guerre per procura, i dazi e le sanzioni.


4.IL PERCORSO PER COSTRUIRE IL NOSTRO STATO-CIVILTA’
L’Europa si trova ad affrontare insieme tutte queste sfide. Perciò, non potrà divenire uno Stato-civiltà se non gradualmente, trasformando, eventualmente, in un’opportunità la sfida costituita dalla guerra dell’Occidente contro la “Maggioranza del Mondo” (“Mirovoe Bol’shinstvo”).Infatti, le grandi guerre costituiscono da sempre un momento di riorganizzazione degli equilibri mondiali. Questa, in particolare, sta già conseguendo vari risultati, come ad esempio l’epifania di tendenze di lungo periodo, come il ribaltamento dei rapporti di forza fra est e ovest, la ri-nazionalizzazione, la redistribuzione delle culture politiche, una maggiore attenzione per discorsi innovativi…. Così come la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, anche questa potrebbe portare a novità importanti, prima fra le quali una possibile inversione di fronti (come a suo tempo l’Italia dagl’Imperi Centrali all’ Intesa e dall’Asse alle Nazioni Unite, e, oggi, la convergenza fra islamismo e Occidente), e la nascita di nuovi soggetti politici (come, a suo tempo, gli Stati dell’
Europa Centrale e del Medio Oriente, e la stessa Unione Sovietica).
Lo sforzo per costruire lo Stato-Civiltà europeo potrebbe inserirsi appunto in un contesto simile.
3.UNA GUIDA NELLA FASE BELLICA
Nella guerra civile europea che sta ri-cominciando, il popolo europeo manca di una guida morale, capace di sorreggerlo in un periodo di grandi difficoltà.
In questa fase, un “Comitato Pan-europeo di Resistenza e Resilienza” avrebbe come primo compito quello di dare, al popolo europeo, la sicurezza psicologica derivante dal fatto di avere, alle proprie spalle, un cervello pensante, che, pur non disponendo di alcun potere, studiasse e proponesse soluzioni che, a termine, possano prevenire le origini di questa conflittualità e, in generale, della debolezza del’ Europa. Ciò che era mancato nelle due precedenti guerre mondiali, e continua a mancare per la debolezza dell’ Unione Europea.
In primissimo luogo, la maggioranza della popolazione nei vari Paesi è contraria alla prosecuzione della guerra, ma i meccanismi giuridici e politici sono tali, che essi non hanno modo di esprimere in concreto questa loro contrarietà, e neppure di sviluppare progetti alternativi. Innanzitutto, le decisioni concernenti la guerra sono centralizzate, sostanzialmente, nel Presidente degli Stati Uniti, mentre i governi europei le recepiscono senza discuterle. Ancor peggio, gli “establishment” hanno interiorizzato a tal punto l’ideologia “occidentalistica”, da operare con l’obiettivo di rendere difficili eventuali soluzioni pacifiche che fossero sostenute da Trump dopo il suo insediamento, e da rimangiarsi continuamente i timidi accenni alla pace fatti da questo o da quel politico.
Più che combattere per il conseguimento della pace, che, ammesso che arrivi, sarà dovuta soprattutto alle scelte della futura presidenza americana e/o alla superiorità militare russa, e/o all’ intervento della Cina e della Turchia, una guida europea servirebbe dunque per incanalare la partecipazione della popolazione disorientata verso la politica, anche e soprattutto nel caso in cui si impongano scelte drammatiche, come in quello di guerra campale sui nostri territori. Infine, la guerra potrebbe, e dovrebbe, costituire un momento di maturazione degli Europei sui temi della pace e della guerra, così come lo avvenne con Kant, Novalis, De Maistre, Coudenhove-Kalergi, Spinelli, Simone Weil, Galimberti e Drieu La Rochelle.
Tema centrale: la lotta ai condizionamenti culturali anti-europei, come il millenarismo materialistico, il Postumanesimo, la”cancel culture”, la russofobia e la sinofobia.
In particolare, occorrerebbe fare pressione affinché il richiesto maggiore contributo dell’Europa agli sforzi della NATO si traducesse in una maggiore influenza degli Europei, soprattutto investendo in attività che accrescano l’autonomia europea, per esempio in un’Accademia Militare e Strategica Europea, in un’Intelligence Europea, in un software duale europeo, in un’arma missilistica e spaziale europea.
Infine, a tendere, il ritorno all’ idea di una “Casa Comune Europea”, di cui le steppe pontiche, con il loro spirito “passionale” (Mickiewicz, Pushkin, Lermontov, Gogol, Herceg)tornino ad essere la cerniera, senza più guerre fratricide, ma, anzi, con un reciproco riconoscimento, come nelle “Danze Polovesiane”.

4.IN PREPARAZIONE DELLA STATUALITA’ EUROPEA
Come detto prima, l’obiettivo delle attività del Comitato si dovrebbero articolare in due fasi: la prima, durante la guerra, e, la seconda, dopo.
Questa seconda fase dovrebbe avere come obiettivo di costituire quella base umana, concettuale, organizzativa, che oggi manca agli Europei per poter creare la propria statualità
Essa dovrebbe rispondere innanzitutto a una serie di domande:
1)quali sono le sfide a cui sono esposti oggi tutti i Paesi del mondo?
2)quali di esse sono specifiche dell’Europa?
3)quali sono le possibili risposte?
4)in particolare, quali sono le trasformazioni nella teologia, nell’antropologia, nella filosofia, nella società, nella geopolitica, nell’economia, nella difesa e nella cultura indotte dall’ Intelligenza Artificiale?
5)quali sono il possibile contributo dell’ Europa e i suoi reali interessi?
6)quali sono le caratteristiche (rilevanti per quanto sopra) che accomunano l’ Europa con i grandi Stati-Civiltà?

7)Le risposte delle diverse culture possono convergere?
8)Cosa può esserci di comune, e quanto deve rimanere distinto?
9)Alla luce di quanto precede, le tendenze in corso nei diversi ambiti umani sono accettabili o debbono essere cambiate?
10)In che cosa sarebbe possibile cambiarle?
11)Come potrebbe l’Europa contribuire a cambiare queste tendenze?
12)Quale struttura dovrebbe darsi l’Europa per contribuire a quei cambiamenti? In campo culturale, politico, militare, economico?
13)In che modo le attuali organizzazioni sovrannazionali possono essere utilizzate come componenti di questa futura struttura dell’Europa?
14)Come pervenire a trasformare l’Europa in tale senso?
15)Come strutturare il Comitato?
Purtroppo, a oggi ci sembra che pochissimi intellettuali europei siano sensibili a questi temi, sicché pensiamo che il comitato dovrebbe essere inizialmente abbastanza ristretto, senza poter arrivare a una rappresentanza su base“nazionale”(anche perché le “nazioni” attuali non sempre sono molto rappresentative). Un’attenzione particolare dovrebbe essere dedicata a momenti seminariali, miranti a sviluppare una “scuola” di giovani europeisti “passionali”.

ALEPPO, ORESHNIK, TAVARES:Apocalypse Now

Dai tempi della caduta del Muro di Berlino, siamo oramai avvezzi a continui roboanti annunzi circa l’avvento di un “nuovo ordine mondiale”, radicalmente diverso da quelli passati.
Oggi, si può forse dire che questa trasformazione sia veramente in corso, perché le novità riguardano un po’ tutte le aree della competizione/conflitto fra “Occidente” e “Maggioranza del Mondo”,facendo oggetto di eventi spettacolari, fra cui le sempre nuove armi, i sempre nuovi fronti e gl’ininterrotti terremoti nell’economia europea. In queste condizioni, risulta sempre meno sopportabile, assistere alla televisione alle continue apologie dell’ esistente da parte di politici, giornalisti, imprenditori e intellettuali di tutti i colori, sorridenti, eleganti e imbellettati mentre parlano di stragi, guerre, crisi, ecc..
Quanto agli scenari di guerra, secondo Molinari (La Repubblica del 2 Dicembre), “all’ interno dei singoli paesi, in Nord America come in Europa e in Estremo Oriente non c’è consenso sulla comprensione della grande guerra d’attrito: a prevalere sono spinte nazionaliste, isolazioniste e populiste che preferiscono ignorare o sminuire le minacce per non dover affrontare le conseguenze che comportano”.
Quanto al rapporto fra guerra e tecnologie, quella in corso sta mettendo in evidenza le nuove realtà con cui fare i conti: il riallinearsi dei GAFAM (Zuckerberg) con lo Stato americano anche dopo l’elezione di Trump; la disponibilità, nelle mani della “Maggioranza del Mondo”, di tecnologie belliche potenti, spesso più avanzate di quelle occidentali, a partire dal missile sperimentale Oreshnik, che ha centrato dimostrativamente il grande complesso industriale Yuzhmash di Dnipro, il maggior costruttore ucraino di missili.
Infine, per ciò che concerne la crisi dell’economia moderna, la “Guerra senza Limiti” in corso accelera la decadenza del modello economico e sociale europeo del secondo Dopoguerra, fondato sulla trasformazione dell’economia di guerra del 2° conflitto mondiale in società affluente; sullo sfruttamento parassitico dell’egemonia americana per realizzare prodotti di consumo all’ ombra della NATO; sul patto sociale socialdemocratico realizzato semplicemente rivitalizzando le politiche sociali corporative dei fascismi; sul “capitalismo renano” fondato su una cogestione che oggi sembra non tenere il passo con i tempi; sulla centralità dell’ autoveicolistica come via maestra verso la società dei consumi…


1.Allargamento degli scenari di guerra
La “Guerra Mondiale a Pezzi” di cui parlava Papa Francesco si è oramai trasformata nella “Guerra Senza Limiti” teorizzata dai generali cinesi.
Il Rapporto del futuro commissario dell’Unione Europea Niinistö, riprendendo una pubblicistica oramai classica in Scandinavia, propugna la diffusione in tutta Europa di un manuale militare sul modello di quello da sempre esistente in Svezia, dedicato a consigli pratici alla popolazione per il caso di guerra. Si tratta di raccomandazioni (per lo più banali) di sicurezza passiva, volte alla salvaguardia della sopravvivenza individuale. La parte attiva dell’originale svedese, dedicata alla resistenza civile (“Inte Samarbejde”, “Non collaborate”), che completava l’opera quando la Svezia era un paese neutrale, è stata lasciata cadere, forse perché potrebbe ritorcersi innanzitutto contro la NATO, affidando ai cittadini compiti bellici importanti.
In realtà, prima della caduta del Muro anche la dottrina militare di altri Paesi d’Europa, come quelle svizzera, jugoslava e albanese, prevedevano una resistenza partigiana dopo l’eventuale invasione e sconfitta (difesa nazionale totale, in serbo Opštenarodna odbrana),che dava alla popolazione civile il compito di mobilitarsi in forze di difesa territoriale dotate di grande indipendenza operativa, le quali, sfruttando la conoscenza del terreno e le tattiche della guerriglia, si sarebbero trasformate in un esercito di resistenza che avrebbe condotto azioni militari, continuato la produzione bellica e mantenuto l’amministrazione dello Stato nelle zone occupate, proseguendo così una guerra di logoramento contro l’invasore.
Con il passare dei decenni, anche queste modeste velleità “sovraniste” sono andate perdute, con Svezia, Finlandia, Slovenia, Croazia, Montenegro ed Albania nella NATO, e la Svizzera non più genuinamente neutrale.
Intanto, lo scenario del conflitto si è esteso all’oblast russa di Kursk, all’ordine pubblico in Romania e Georgia, alla guerra civile siriana, al Libano, allo Yemen…


2.La “maturità” dei missili ipersonici rende più realistica una guerra totale
Il missile “sperimentale” Oreshnik presenta varie caratteristiche che ne fanno lo sbocco naturale delle esigenze strategiche nella Guerra senza Limiti quale teorizzata dai generali cinesi.
Esso non è intercettabile perché è in sostanza una navicella di rientro di un lanciatore riutilizzabile, e, quindi, raggiunge Mac 11; inoltre, compie una traiettoria casuale e sgancia grappoli di proiettili; ottiene effetti distruttivi complessivi pari a una bomba atomica di grande tonnellaggio pur non avendo neppure una carica esplosiva, ma solo coni di alluminio leggero che si comportano come piccoli meteoriti, provocando profondi crateri. Di conseguenza, evita la contaminazione nucleare, come pure lo stigma collegato all’ arma atomica.
Essendo tale, esso si presenta come l’arma tattica ideale, perfetta per rispondere ai missili a medio raggio che l’Occidente (e forse anche l’Ucraina in Yuzhmash) hanno ricominciato a costruire.
Questo è un ulteriore tassello dell’escalation in corso nella Terza Guerra Mondiale, che ci fa comprendere ancor più quanto il nostro futuro sia sospeso a un filo, e quanto poco noi Europei e Italiani possiamo influenzarlo, soprattutto perché nessuno sembra curarsi della nostra particolare posizione geografica e, in particolare, del fatto che l’Italia ospiti più di 100 basi americane, che contengono, fra l’altro, varie decine di testate nucleari.
Solo un’azione culturale profonda, che smonti molti degli attuali riflessi pavloviani, potrebbe tirarci fuori dalla spirale bellicistica in corso, ricordando innanzitutto a tutti i nostri concittadini che i Russi, come tutti gli Slavi, sono culturalmente Europei, e che quindi non vi è alcuna ragione per condurre ininterrottamente una fratricida lotta (militare o di altro tipo) contro di loro, come invece stiamo continuando a fare a partire dalla Perestrojka (mentre quando c’era il PCUS andavamo, paradossalmente, d’amore e d’accordo).


3.Le dimissioni di Tavares pochi giorni prima di Barnier: ennesimo paradosso della vicenda FIAT.

Torino fu fondata da Giulio Cesare nel 58 a.C. Nel 1561, divenne la residenza di Emanuele Filiberto, il Duca di Savoia vincitore alla Battaglia di san Quintino. Nel 1713, divenne capitale del Regno di Sicilia, nel 1718, di quello di Sardegna; nel 1961, di quello d’ Italia.
Fra il 1888 e il 1889, ospitò Nietzsche fino al momento della sua pazzia: qui scrisse L’Anticristo, Il crepuscolo degli idoli ed Ecce Homo . Dal 29 aprile al 19 novembre 1911, si tenne a Torino l’ Esposizione internazionale dell’industria e del lavoro, Nel 1907, il politologo tedesco Roberto Michels, il grande teorico dei partiti politici, grazie all’intercessione di Einaudi e di Loria, ottenne una cattedra all’Università di Torino, dove insegnò Economia Politica e Sociologia Economica.
Torino era quindi una capitale politica e culturale europea già prima della FIAT, e avrebbe potuto benissimo prosperare senza di essa.
Tuttavia, essa vi dedicò tutte le sue forze, dalla costruzione del Lingotto e di Mirafiori, all’occupazione delle fabbriche diretta da Gramsci ed esaltata da Gobetti, e al primo contratto collettivo in Italia, alla costruzione delle infrastrutture militari per le due Guerre Mondiali, sotto lo slogan “Terra, Mare, Cielo”, fino al lavoro sotto i bombardamenti, all’Autunno Caldo e alla Marcia dei Quarantamila. Il quartier generale della società era a Torino, fra il Lingotto, Corso Marconi e Mirafiori, ma il Gruppo, con i suoi 188 stabilimenti, in cui erano occupati più di 190 000 dipendenti, era presente in 50 paesi del mondo e intratteneva rapporti commerciali con clienti in oltre 190 nazioni.
Produceva beni e servizi in almeno 12 differenti settori, dalla finanza all’editoria, dalla formazione alla consulenza, dalla ricerca all’industria di base, dall’autoveicolistico alle ferrovie, all’ aviazione, ai motori marini, agli elettrodomestici, dalla chimica agli armamenti, allo spazio. Gravitavano intorno ad essi famiglie, azionisti, fornitori, clienti, professionisti, che rappresentavano almeno mezzo milioni di persone in tutti i Paesi del mondo.
Un vero impero economico, capace di esprimere, nella sua dismisura, tutti i lati, positivi e negativi, della Modernità, e che ha richiesto l’impegno assillante di almeno cinque generazioni di Torinesi.
Nel 1974 Torino aveva raggiunto il record di 1.202.846 , mentre oggi ne sono rimasti soltanto 890.000.
Così come la FIAT è nata con la Modernità, non vi è dubbio che, con la fine della Modernità, essa sarebbe venuta meno. Cosa che si è puntualmente verificata, visto che Stellantis non ha praticamente più nulla in comune con FIAT: non il gruppo di controllo, che è francese, non la sede, che è a Parigi, non le fabbriche, dove l’unica torinese, Mirafiori, è praticamente chiusa.
Non possiamo passare il tempo a rimpiangere questo stato di fatto, che era praticamente ineluttabile, vista l’analoga sorte della Chrysler, della Leyland, della Saab e di altre, ma possiamo, e dobbiamo, invece, polemizzare su come ciò è avvenuto e sulle prospettive per il futuro. La fuoriuscita dall’ auto non è avvenuta mediante una strategia intelligente e concordata fra politica, impresa e lavoratori, bensì trasferendo surrettiziamente tutta l’eredità della FIAT, originata prima di tutto dagli sforzi e dai sacrifici dei Torinesi, e, poi, dagli aiuti dello Stato italiano, allo Stato francese e ai tre fratelli Elkann, i quali l’hanno reinvestita altrove, perfino in spregio al nostro diritto, costituendo uno dei massimi patrimoni privati del mondo e lasciando a Torino solo fabbriche obsolete e inquinanti e operai in cassa integrazione. Tutto ciò con la benedizione e la connivenza di tutti i Governi italiani e regionali, dei sindaci di Torino, dei partiti e dei sindacati (senza contare, a suo tempo, i Sovietici e Obama, fra i maggiori artefici delle fortune del gruppo di controllo).
Ora, le dimissioni di Tavares aggiungono a tutto ciò un ulteriore tocco di surrealismo. Un amministratore delegato di un’impresa controllata dallo Stato francese che guadagna centinaia di volte più di un operaio, che chiude fabbriche dovunque licenziando migliaia e migliaia di persone, e, alla fine, licenziato a sua volta per aver mandato in rovina la Stellantis (non solo quella italiana), ottiene dall’ azionista (lo Stato) una “buonauscita” miliardaria.
Certo, il caso della Stellantis non è unico, perché, contemporaneamente, sono in crisi tutti i grandi gruppi europei, tant’è vero che la UE sta già pensando a una nuova stagione di aiuti, ma anche questo non è un disastro naturale, bensì il risultato di una serie di errori politici.


4.La crisi Volkswagen
Infatti, le crisi degli altri gruppi, in primis quella della VW, potevamo vederla già a partire dal 2015, quando l’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente aveva accusato la multinazionale tedesca di avere progettato i propri motori diesel Turbocharged Direct Injection (Tdi) in modo tale che attivassero i sistemi di controllo delle emissioni solamente durante i test di controllo.
Giacché la Casa di Wolfsburg non era la sola a truccare in tal modo i dati, molti osservatori ritengono che, dietro la deflagrazione delle accuse e dello scandalo mediatico che travolsero quell’unico marchio (lo stesso, guarda caso, finito spesso bersaglio delle critiche di Donald Trump), vi erano motivazioni politiche. Comunque sia, lo scandalo Dieselgate contribuì a mettere in moto quelle politiche green che hanno portato all’attuale crisi finanziaria del principale gruppo europeo.
Volkswagen, probabilmente proprio per scrollarsi di dosso l’onta del Dieselgate, è stata infatti tra le Case del Vecchio continente ad aver abbracciato con convinzione le nuove motorizzazioni elettriche, con una mossa tipica del mondo industriale tedesco, che spesso ha avuto la presunzione di mettere fuori mercato la concorrenza grazie alle sue scelte innovative. Molte Case erano invece rimaste a guardare, ritardando l’elettrificazione dei propri marchi: “VW si è ritrovata con una gamma di nuove auto elettriche che erano molto costose da acquistare senza che nessuno le volesse per davvero”. A ciò non sono certo estranee le politiche americane miranti ad accerchiare l’Europa:
-guerra in Ucraina e conseguente blocco dell’ importazione di idrocarburi a basso prezzo dalla Russia;
-boicottaggio delle Nuove Vie della Seta con conseguenti difficoltà nelle esportazioni e negli investimenti in Cina;
-dazi sempre più pesanti tanto verso la Cina quanto l’ Europa.
Tutto ciò mentre alle porte dell’Europa bussano ormai le rivali cinesi: “Per un milione di ovvie ragioni le auto elettriche possono essere prodotte in Cina a un prezzo molto più basso rispetto all’Europa”.
Tutto ciò è paradossale perché la Volkswagen è sempre stata altamente politicizzata, e, quindi, fortemente sensibile alle grandi trasformazioni del proprio tempo. Fondata da Hitler e da Porsche contro la volontà dell’imprenditoria tedesca, e perciò affidata al sindacato nazista (la prima grande azienda autogestita), poté sopravvivere dopo la guerra grazie al governatore inglese della Germania del Nord, e realizza nel modo più radicale il concetto tedesco di “cogestione”, che, nel suo caso, assomiglia all’ autogestione, perché l’azienda è protetta da un regime speciale detto “Volkswagengesetz”, che ne garantisce il controllo al Land della Bassa Sassonia.
Ora, è in corso uno sciopero durissimo contro la chiusura di varie fabbriche. La Presidentessa del Consiglio di fabbrica, Cavallo, figlia di un emigrato italiano, ha chiamato l’Amministratore Delegato “Vergogna della Nazione”.


5.Insufficienza delle politiche nazionali ed europee
La scelta dell’elettrico per garantirsi l’indipendenza economica ha senso per la Cina, che può permettersi di fare scelte autonome di lungo periodo, comprendenti tra l’altro la motorizzazione di centinaia di milioni di nuovi consumatori, le “smart cities”, le auto a guida autonoma e il dominio del solare eolico, non già un’Europa soggetto ai capricci degli USA, priva di terre rare e di deserti dove installare i pannelli solari, e tagliata fuori dal mercato della guida autonoma. Per un’Europa siffatta, purtroppo, il “time to market” è fondamentale, e può diventare fatale.
Anche in questo campo, o ci trasformiamo in uno Stato-Civiltà con centinaia di milioni di abitanti, con un budget enorme e la capacità di fare investimenti decennali, oppure saremo condannati ad uscire anche dall’ industria auto.
Come afferma il sito della Coface (assicurazione francese dei rischi export) il Governo cinese, investendo nell’auto elettrica più di 231 miliardi di dollari, ha fatto sì che, 2023, BYD abbia superato Tesla.
Secondo la Coface,i dazi all’ import decisi dall’ UE non bastano, anche perché, nell’ attuale situazione geo-politica, una UE sempre più debole (vedi dimissioni di Barnier) non ha un peso contrattuale sufficiente per negoziare con la Cina, gli USA e gli aggressivi gruppi multinazionali.

DALL’EGIZIO AL MUSEO DELL’ EUROPA verso Torino Capitale Europea della Cultura 2033

Nella prefazione al libro “La Memoria è il nostro futuro”, ispirato all’ idea-chiave della “Memoria Culturale” di Ian Assmann, il direttore del Museo Egizio di Torino, Christian Greco, ha sviluppato un approfondito discorso sul ruolo che i musei potrebbero, e dovrebbero, avere, nel dibattito contemporaneo circa le identità culturali – un dibattito a nostro avviso determinante per le sorti della pace e della libertà nel mondo-.Discorso ulteriormente allargato con “La cultura è di tutti”, scritto con Paola Dubini, Egea,Milano, 2014.
Nel contempo, il Sindaco di Torino ha lanciato un tavolo di lavoro per la candidatura della Città a Capitale Europea della Cultura nel 2033. Il discorso sui musei s’inserisce perfettamente in questa prospettiva, che rientra, a sua volta, a pieno titolo, nella missione e nella storia dell’Associazione Diàlexis.


1.Contro la moderna follia
Nessun momento avrebbe potuto essere più appropriato di questo, in cui assistiamo, per usare un termine attualissimo, a una Guerra Senza Limiti (cfr. Liang Qiao , Xiangsui Wang, e al.),fra, da un lato, il blocco culturale, politico e militare “occidentale”, che, pure fra le apparenti divergenze (fra “cultura Woke”, “Cancel Culture”, Politicamente Corretto, Singularity, turbocapitalismo, “progressismo da ZTL”, sovranismo e “Make America Great Again”), condivide l’idea di una missione superiore attribuita all’Occidente, e, dall’ altro, la molteplicità delle infinite culture del resto del mondo (pre-alfabetiche, animistiche, politeistiche, patriarcali, epistocratiche, religiose, comunitarie, conservatrici, monarchiche o ancestrali), a lungo spregiate e perseguitate in quanto barbariche e arretrate (cfr., per esempio, la conquista delle Americhe, la Tratta Atlantica, lo schiavismo, il Trail of Tears, l’ imperialismo, il neo-colonialismo, i genocidi, l’islamofobia, la russofobia, l’”esportazione della democrazia”), ma le quali infine, grazie ad una sorta di “Lunga Marcia” (indipendenza di Cina, India, Vietnam e altri Paesi afro-asiatici; rilancio delle “tigri asiatiche”; miracolo cinese) hanno oramai raggiunto un livello di parità culturale, politica, economica e militare con il “Primo Mondo”, il che che permette loro di esprimere il loro punto di vista circa i grandi temi dell’ Umanità.
Qualora si assumano questi diversi orientamenti culturali e storici come un qualcosa di fisso e assoluto, l’“escalation” verso la Terza Guerra Mondiale, in corso in Ucraina, nel Levante e nel Mar della Cina, è inevitabile. Se, invece, come a noi pare più sensato, si vanno a cercare le radici comuni delle diverse culture del mondo, quali esse apparivano per esempio all’ inizio dell’ Epoca Assiale (cfr. Jaspers, Eisenstadt e Assmann), uno “Scontro di Civiltà” sembra più lontano. Visto che qui si parla innanzitutto del Museo Egizio, non vi è chi non veda le similitudini fra l’Antico Egitto e le società ad esso coeve, come in particolare quelle mesopotamiche e anatoliche, con lo stesso ruolo attribuito ai sovrani di diritto divino, le loro mitologie addirittura “traducibili”, come nel trattato di Qadesh, l’etica professionale dei guerrieri montati su carri (pensiamo a Mozi o al Bhagavadgita), il principio di “humanitas” (“ren”仁), che traspare dalla “Regula Aurea”, l’indistinguibilità fra etica e diritto, spezzato dal positivismo giuridico delle poleis (cfr. Antigone)…
Anche avvicinandoci nel tempo, i poemi omerici e Gilgamesh, il Mahabharata e il Ramayana sono collocati in una stessa atmosfera etica e letteraria, caratterizzata dall’interazione fra gli uomini e gli dei, dal culto dell’eroe, dal senso del destino, che incombe sugli eroi e sugli stessi dei: un’atmosfera che ha permeato tutte le letterature successive (pensiamo all’Ifigenia di Goethe, ai Sepolcri, a Carlyle, ad Anouilh, alla Cassandra di Christa Wolf, all’ “Eschile, l’éternel perdant” di Kadaré).
Infine, i pensatori che hanno gettato le basi del pensiero mondiale, da Mosè a Jina, da Laotse a Confucio, da Zhuangzi a Mozi, da Eraclito a Parmenide, da Socrate a Platone, da Budda ad Aristotele, da Epicuro a Lucrezio, da San Paolo a Sant’Agostino, hanno affrontano tutti, seppure con diversi metodi e linguaggi, le stesse questioni, a partire dall’ indeterminatezza della realtà (Rgveda, Protagora, Socrate, Confucio).
Soprattutto il Cristianesimo testimonia l’eredità dei popoli primitivi e medio-orientali (cfr. Rees,Cristianesimo e antiche radici) a cominciare dal tema del Giardino Terrestre (il “Gan Eden” con un chiaro riferimento all’area sud-arabica); per passare al Diluvio Universale, così simile a ciò che si è detto e fantasticato su Atlantide, la Lemuria, Doggerland e Kumari Kandam; per poi venire al Figlio di Dio, alla Resurrezione, alla Trinità, agli Angeli, Arcangeli, Troni e Dominazioni, al Salvatore, all’Aldilà, all’ Apocalisse, all’ascetismo e al monachesimo. I Re Magi che adorano il Bambino non compiono lo stesso rito dei Lama che ancor ora selezionano il Piccolo Budda in giro per il Tibet? E il ricordo di Cristo e i suoi apostoli non è ancora vivissimo nei monasteri del Kashmir e nelle grotte di Chennai?
Solo negli ultimi mille anni il pensiero “occidentale”, con Averroè eal-Ghazzali, Hume e Hegel, Marx e Nietzsche, Freud e Jung, Wittgenstein e Heisenberg, De Finetti e Feyerabend, è sembrato allontanarsi dalle basi lato sensu umanistiche dell’Epoca Assiale, per tingersi spesso con il colori del “sospetto”. Sospetto talvolta del tutto giustificato, ma che più spesso rimanda alla “nostalgia” per quelle radici comuni (greche o cristiane, buddiste o zoroastriane).Contemporaneamente emergeva, con la Qabbalà e Newton, St-Simon e Marx, Rostow e Kurzweil, una visione teo-tecnocratica che pretende di cancellare le antiche culture in nome di una pretesa “obiettività” fondata sulla tecnica, vera “sostanza” del mondo e pensiero di Dio : visione che è oggi dominante nella Teoria dello Sviluppo e nella Singularity Tecnologica.


  1. Nostalgia dell’ avvenire
    Come scrive Greco, “Divenire consapevoli della relatività della visione contemporanea può rappresentare un primo passo per avvicinarsi al passato con la stessa cura e la stessa attenzione che un giorno speriamo venga dedicata alle nostre azioni e ai nostri pensieri..” Ma per noi è ancora di più. E’ lo strumento principe per bloccare la deriva della Modernità verso un mondo senza umanità dominato dagli algoritmi, in cui non vi sarebbe futuro per l’eredità dell’ Epoca Assiale.
    La contemplazione del passato non costituisce quindi una motivazione per l’immobilismo. I popoli più antichi già anticipavano aspetti della postmodernità, se non della futurologia, anche se li inserivano in una visione più vasta dell’ Uomo. Gli antichi libri sacri e i muri dei templi sono pieni di descrizioni di macchine volanti e di tute spaziali; i protagonisti degli affreschi egizi e cretesi sono multiculturali; l’idea dell’ibernazione quale premessa per la resurrezione è tipicamente egizia; ma neppure la fluidità di genere era certo sconosciuta, anche se con risvolti che certo non sono più ben accetti alla Cancel Culture…
    L’ethos dei popoli antichi può costituire anche un modello per quelli odierni, anzi, può aiutare a costruire una forza che eviti quella dissoluzione della società che spiana la strada al governo delle macchine intelligenti. La cultura che tutti abbiamo assorbito è l’erede diretta dell’educazione aristocratica, la “paideia” dei Greci, che accomunava, come concetto, i guerrieri spartani e le fanciulle dei “thiasoi”:il “gymnazein kai philosophein”, così come lo Yoga e il Bushido, sono la base della formazione “integrale” del cittadino “optimo jure”, che accoppia cultura fisica e pensiero critico. Non per nulla, “cultura” si diceva, in Greco Antico, “Paideia”, e si dice, in Neoellenico, “Politismòs”. Per questo, è importante la “storia della memoria” (“mnemostoria” di cui parla Dubini), a cui i coniugi Ian e Aleida Assmann hanno dedicato tutta la loro vita scientifica. Abbiamo appena assistito alle Fonderie Teatrali Limone di Moncalieri a una splendida rappresentazione di “Tragùdia”, un’opera in Grecanico calabrese che rivisita in modo innovativo le tragedie classiche del ciclo tebano, dimostrandone la perenne attualità.
    Ciò che vale per le culture antiche vale anche per le società contemporanee non occidentali. Secondo Lévi-Strauss, la filologia classica costituisce la forma primaria dell’antropologia. E’ noto come i Gesuiti, edificando su una base culturale classica e cristiana, siano divenuti i massimi esperti di Cina, traendone insegnamenti anche per l’Occidente, e diffondendoli in Europa con le loro “Lettres Amusantes et Curieuses”, a cui si abbeverarono gl’Illuministi, e grazie alle quali furono introdotti in Europa concetti fondamentali come quelli dello Stato minimo e dei concorsi pubblici per i funzionari. Ancora questa setytimana il Presidente Mattarella, citando indirettamente l’omonima opera in Cinese di Matteo Ricci, basata sul “De Amicitia” di Cicerone, ha citato l’amicizia quale chiave di volta di un mondo poliedrico, di cui evidentemente Cina e Italia dovrebbero essere protagoniste.
    Quanto valeva nei secoli XVII e XVIII dovrebbe valere a maggior ragione anche oggi. Lo studio comparato delle culture dovrebbe costituire un freno ai fanatismi, permettendo anche di capire come certe caratteristiche che noi attribuiamo erroneamente e polemicamente agli altri Continenti siano soprattutto un effetto indotto dell’incontro con l’Occidente, come il “socialismo con caratteristiche cinesi” (derivato in parte dal marxismo europeo), il “nazionalismo” russo (discendente dal romanticismo tedesco), il puritanesimo islamico (imitazione di quello anglosassone), il culto esclusivistico del dio/eroe/signore Rama (frutto della “rivalità mimetica” con la jiahad islamica e con la figura di Maometto), e la “nazione palestinese” dall’incontro-scontro degli Arabi con il “Popolo d’Israele”. Ma, soprattutto, la centralizzazione indotta dalla società della comunicazione di massa, e, in particolare, dalla transizione digitale, che, dell’era delle comunicazioni, costituisce il culmine – un fenomeno che parte dalla Presidenza Imperiale americana, dal Complesso Informatico-militare e dalla Società dell’ 1%, ma si è esteso al resto del mondo, dove però viene stigmatizzato come “autocrazia”-.
    In conclusione, lo studio del passato può e deve essere la fonte per la costruzione del futuro, così come la ricostruzione del Regno di Salomone era l’obiettivo del messianesimo, o gli “aurea saecula” il modello per il “principatus” augusteo, o “le urne dei forti” la scaturigine di una nuova generazione eroica di Italiani.


3.Favorire la poliedricità dei musei
L’ignoranza, da parte degli Europei, delle culture degli altri Continenti e delle periferie dell’Europa è abissale, ma grave è anche la censura selettiva della nostra stessa storia. Il compito di chi volesse veramente colmare questo abisso non sarebbe certo facile, richiedendosi il concorso di cultura, Chiese, Europa, Stati, tecnologie ed Istituzioni.
Cominciamo, per esempio, dalla parallela ignoranza delle civiltà precolombiane e di quella danubiana. Continuiamo con la Persia e in generale le radici dell’identità europea. Arriviamo infine alle cristianità orientali (malabarica, etiope, monofisita, ariana, nestoriana) e ai popoli dell’ Est Europa (Uralo-Altaici, Unni, Avari, Slavi, Bulgari, Caucasici, Ottomani, Karaiti, Askhenzaziti, Sefarditi). Per concludere poi con i primi secoli della storia americana (dalla Leggenda Nera a quella bianca, dalle colonizzazioni spagnola, olandese, francese e russa, alla tratta atlantica, al “Trail of Tears”, al Trattato di Guadalupe Hidalgo ;cfr.Aleksandar Hemon su “La Stampa”), alla classificazione razziale degl’Italiani (Lombroso,Sergi ), all’Eccezionalismo Americano e i progetti di integrazione europea (Dubois, Podiebrad, Sully, St-Pierre, Santa Alleanza, Trockij, Coudenhove Kalergi, Fulbright, Galimberti, von Ribbentrop…).
Tutto ciò potrebbe, e dovrebbe, fare oggetto di un’intensa attività culturale, e, in particolare, museale, incurante delle contrapposte egemonie culturali.
Una perspicua esemplificazione di quest’impellente esigenza è costituita proprio dal Museo dell’ Europa, di cui da tempo molti lamentano la mancanza, ma del quale si è riusciti, dopo molti sforzi, soltanto a realizzare una forma quanto mai incompleta, la Casa della Storia Europea di Bruxelles, sotto l’egida del Parlamento Europeo.
Orbene, questo museo non risponde purtroppo minimamente alle esigenze di conoscenza evocate dal paragrafo precedente, e, in primo luogo, quella di dare spazio al cosiddetto “patrimonio dissonante”di cui parla Dubini:”l’insieme delle vestigia del passato attorno alle quali diversi gruppi presentano narrazioni fortemente discordanti e spesso in conflitto”. Ricordiamo, come parte del “Patrimonio Dissonante”: le varie nozioni di genealogia dei popoli; la patria originaria degli Indo-europei; le influenze afro-asiatiche;il millenarismo; il Barbaricum; l’Ancien Régime; la Leggenda Bianca e la Leggenda Nera; il colonialismo; i grandi imperi; la nascita delle “nazioni”;l’America; il post-umanesimo; i totalitarismi..
Al contrario, si pretende d’imporre una cosiddetta “Memoria Condivisa”,cioè una serie di luoghi comuni cementati dalla propaganda, in cui i Greci sono i “Buoni” e i Persiani i “Cattivi”; gli Unni sono “Barbari”; i Comuni sono “Borghesi”; gli Anglosassoni costituiscono “un’Avanguardia”; l’Europa Orientale e l’Asia sono “arretrate”, e così via…
La Casa della Storia Europea, confondendo Europa con Unione Europea, parte assurdamente solo dalla Rivoluzione Francese, come se non facessero parte della storia europea Goebekli Tepe e la Bibbia, le Piramidi e le Zigurrat, , il mondo greco-romano, l’Euro-Islam, le “Tre Rome”, i Progetti d’integrazione europea (Dubois, Podiebrad, Sully, St-Pierre,la Santa Alleanza, Coudenhove Kalergi, Spinelli, Galimberti, Gorbaciov… ). Quel museo costituisce dunque la plastica rappresentazione dell’incapacità degli Europei di rappresentare la propria identità, per una serie di vizi intrinseci dell’Europa attuale: insufficienza della capacità cognitive e creative della classe dirigente; diktat ideologici; gretti particolarismi…
Con quel tentativo, di per sé meritorio, si è almeno evidenziata ed esemplificata un’ enorme lacuna nel panorama museale europeo, che va comunque colmata con un’azione congiunta dell’intelligentija, della politica, dell’ Unione, delle Istituzioni, degli specialisti, delle scuole, dei musei…Senza un’azione siffatta, è impossibile quel rilancio dell’Europeismo che da molti viene invocato, ma per lo più abbinato a concetti, come quello di “Memoria Condivisa”, che ne inficiano l’efficacia, provocando un senso di inautenticità e così tarpando le ali al necessario entusiasmo.
La decisione del Sindaco di Torino Lorusso di candidare Torino a Capitale Europea 2033 riapre una discussione da noi avviata da ben 14 anni, prendendo spunto dall’allora proposta candidatura della città per il 2019, a cui avevamo dedicato ben 2 libri.Allora come ora, la nostra proposta era quella che la candidatura non dovesse esaurirsi nella promozione puntuale di un grande evento, bensì costituire un momento determinante di trasformazione del tessuto culturale e sociale del nostro Territorio. In concreto, suggerivamo di compiere una intesi ragionata delle più vitali tradizioni della Città: editoria impegnata, alta tecnologia ed Europa.
Tutto ciò si era tradotto in 200 progetti di 50 associazioni riunite nel Comitato della Società Civile per Torino Capitale,e con il sito Torino 2019, che hanno fatto oggetto di un’apposita opera editoriale e di una serie di manifestazioni di accompagnamento presso il Comune. Purtroppo, come noto, il Sindaco aveva deciso allora di non candidare la Città. Tuttavia, l’esperienza acquisita rimane, e può essere utilizzata per la prossima candidatura.
Il Museo dell’ Europa (o almeno una mostra a questo proposito) può costituire un elemento centrale del progetto di candidatura, partendo fin da subito con un percorso di avvicinamento. Se il progetto sarà dedicato all’ Europa nel suo complesso, e non solo all’ Unione Europea, esso potrà essere ben accolto anche nel clima di critica dell’ Unione che si sta diffondendo.
Senza ovviamente addentrarci qui nei contenuti precisi del progetto, siamo per altro in grado di suggerire almeno i grandi filoni conduttori, che potrebbero tradursi in eventuali sezioni (e/o esposizioni). Essa potrebbe collocarsi in palazzi storici aventi una forte connotazione evocativa, accanto al Museo Egizio e quello del Risorgimento, oppure accanto al Museo di Arte Orientale, che testimoniano le tradizioni culturali europee e internazionali di Torino.

4.Un’ipotesi di Museo
Pur con la necessaria provvisorietà e indeterminatezza, ci sentiamo di delineare qui le linee essenziali di un possibile museo dell’ Europa, che potrebbero divenire le sezioni di un museo, e/o oggetto di mostre specifiche durante l’anno di Capitale Europea della Cultura:
-le meraviglie d’Europa (dall’ Artico all’ Asia Centrale, i fiordi e il Mediterraneo, le Alpi e le isole);
-le origini degli Europei(“Out of Africa”, Neanderthal, neolitico, cacciatori- raccoglitori, agricoltori, il cavallo, il Medio Oriente);
-l’Europa nelle scienze umane (geologia, etnografia, linguistica, genetica, teologia, geografia, storia, antropologia, dottrine politiche, scienze strategiche, arte, filosofia, letteratura, architettura,economia, diritto, sociologia, tecnologia);
-la “Memoria Culturale” (da Gilgamesh alla Bibbia; da Omero a Orazio; dal Nuovo Testamento al Corano; dalle Crociate ai Progetti d’integrazione; dall’Umanesimo alla Modernità)

-il predecessori (Mesopotamia, Egitto, Anatolia;il mondo greco-romano; Israele; il Barbaricum; il Cristianesimo;l’Euroislam; Bisanzio; i Progetti di Crociata;le grandi esplorazioni (europee ed afroasiatiche);
-le tracce delle civiltà (da Cnosso a Stonehenge, da Micene a Delfi, dal Partenone a Pompei, da Santa Sofia a Granada, da Venezia a San Pietroburgo, da Versailles alla nuova Berlino);
-i progetti d’ integrazione europea (Saint-Pierre;Saint-Simon; Santa Alleanza; Paneuropa; Ventotene, Galimberti, Fulbright, Schuman);
-la “Dekadenz”(Nietzsche, Dostojevskij, Spengler, Guénon, Huxley) e la “Distruzione dell’ Europa” (Benda, Lukàcs, Hillgruber);
-il mondo di Yalta (Est e Ovest;Guerra Fredda e Coesistenza Pacifica) e la caduta del Muro (il Dissenso; Gorbachev);
-l’Unione Europea (dal Federalismo all’ Unione; vittorie e sconfitte; Brexit);
-la Guerra senza Limiti (alla ricerca di un Nuovo Ordine Mondiale; la Società delle Macchine Intelligenti);
-il “patrimonio dissonante” (progressismo e perennialismo; Oriente e Occidente; Nord e Sud; Nazioni e Stati-Civiltà).

D.O.G.E. : UNA VITTORIA DELL’ IDEOLOGIA CALIFORNIANA

Il progressivo sovrapporsi della vittoria di Musk a quella di Trump costituisce l’immagine plastica di una mutazione epocale in corso in tutto il mondo, definita genericamente “crisi della democrazia”:

-nell’Impero Americano, il più grande guru dell’ informatica, un finanziere che già domina tutti i mercati strategici, preme (apparentemente, con successo) per essere nominato capo di un progettato “Department of Goverment Efficiency” (“D.O.G.E.”), destinato a porre l’intero Stato americano, che domina il mondo intero,sotto la tutela del Gruppo Musk;

-in Cina, la digitalizzazione si spinge fino a controllare ogni azione dei cittadini, la loro salute, i loro spostamenti;

-in Israele, l’intero popolo palestinese è controllato ininterrottamente dai vari sistemi digitali dell’Esercito e dei servizi segreti, e i ministri possono essere “licenziati” senza motivazione e senza alcun impatto sull’appoggio dei partiti al Governo; inoltre, il Paese, divenuto, grazie a quanto sopra, il massimo esperto mondiale di tecnologie di controllo, rivende queste ultime a tutti i Paesi del mondo;

-in Russia, gli organi governativi sono perennemente riuniti in una tele-conferenze con il Presidente, e perfino le loro relazioni individuali al Presidente sono trasmesse in diretta: il trionfo del “Talk Show”;

-nella UE, si sta preparando una sorta di “mobilitazione generale”(“Rapporto Niinistö),civile e militare,  e vige una censura generale pan-europea contro chiunque non sia allineato sul “politicamente corretto”(il “Digital Services Act”);

-in Ucraina, sono stati sciolti 11 partiti politici ed espropriata la maggior parte delle Chiese, colpevoli di essere restate fedeli al Patriarcato di Mosca.

E si potrebbe andare avanti all’ infinito…

In questo intervento, cercheremo di analizzare le ragioni di questo trend, con particolare riguardo al ruolo di Elon Musk nella nuova costellazione di potere conseguente alla vittoria di Trump.

1.Brave New Word (ll mondo nuovo)

Rivivono in Musk certi aspetti del bolscevismo originario, come il cosmismo (la “colonizzazione dello spazio di Tsiolkovskij,  di Vernadskij , di Bogdanov e del movimento ingegneristico kievano “Do Marsa”= “su Marte”).

Dovunque, l’accresciuta conflittualità fra il progetto  post-modernista incarnato dai GAFAM (le Grandi Piattaforme americane) e quello conservatore (rappresentato dai BRICS) -conflittualità ramificata attraverso tutti gli Stati del mondo-, ha generato una situazione di guerra strisciante e di preparazione bellica permanente fra i grandi Paesi, che rende inevitabile la centralizzazione di tutti i poteri intorno al rispettivo leader e al suo “cerchio magico”, per essere sicuri della rapidità della mobilitazione bellica, per mantenere intatta la retorica ufficiale, per evitare ogni “infiltrazione” ostile, per razionalizzare un’economia sinistrata in vista di una guerra prolungata, per contrastare le catastrofi derivanti dalla crisi ecologica…Questa centralizzazione si appoggia sulle nuove tecnologie digitali di controllo capillare della popolazione, che finiranno per risultare le uniche vere vincitrici di questo confronto, come scritto profeticamente da Manuel De Landa nel suo “La guerra nell’ era delle macchine intelligenti”.

In queste condizioni, che senso ha ripetere stancamente le retoriche della libertà individuale, della separazione fra Stato e Chiesa, della divisione dei poteri, della libertà di opinione, della “privacy” che avevano caratterizzato il XX° secolo? Qui si fa solo più a gara a chi abolisce più libertà, considerandosi ogni realtà indipendente come un focolaio di pericolo, in quanto è possibile che venga conquistato da un “nemico”, e usato per “destabilizzarci”.

L’insistere a tentare di spiegare tutto ciò con gli stereotipi del XX° Secolo è non solo inutile, ma anche sospetto, in quanto è molto probabile che si voglia nascondere in mala fede la realtà delle cose, e in particolare il fallimento di una cultura irrealistica (i “parametri utopico-liberali” di cui parla Giovanni Ursina), che per altro ha sostenuto le carriere di intere generazioni d’intellettuali e di politici.

Quando si attaccano,  con l’accusa di “democrazia illiberale”, alcuni Paesi dell’Unione Europea (Ungheria, Slovacchia) o della NATO (Turchia), in realtà si vuole condannare non già la loro pretesa illibertà, bensì la loro eccessiva indipendenza, che permette loro di non schierarsi al 100% con l’ America, divenendo così a loro volta un pericolo per il controllo centralizzato e militarizzato,da parte  da parte della stessa, degli “alleati” occidentali. Tuttavia, questi Stati  non fanno che ripetere in piccolo quello che già succede in grande nelle grandi potenze (a cominciare dagli Stati Uniti), e anticipando quello che accadrà ancora in tanti altri Stati. Essi debbono centralizzarsi per resistere ai potentissimi condizionamenti del Complesso Informatico-Digitale occidentale (di cui Musk è il tipico esempio)..

D’altronde, le contraddizioni della Modernità che stanno esplodendo ora, e, in particolare, quelle della “democrazia” occidentale, erano già iscritte fin dall’ inizio nel suo DNA. Per esempio, pur parlando di democrazia, lo stessoGeorge Washington ne criticava già,  in nome del “Repubblicanesimo”,  gli aspetti fondamentali: i partiti, il voto popolare e lo spirito di parte.

Il punto è che la democrazia è per sua natura illiberale. Mentre il liberalismo è un’ideologia tipica dell’ aristocrazia del ‘700 che lottava contro lo Stato assoluto inneggiando alla “liberalità” dei signori (pensiamo a Rochefoucauld), la democrazia è quella deriva delle antiche Poleis, denunziata fin da Omero (Tersite), per passare a Socrate, Aristotele e lo “Pseudo-Senofonte”, che le aveva portate ad essere dominate da un pathos plebeo, dalla demagogia, dall’“oclocrazia”(l’”apistos demos” di Aristotele), e, infine, dalla tirannide (i Trenta Tiranni). E che altro è il “trumpismo” (o il “populismo”:la “pancia” del popolo), se non lo spirito plebeo elevato a virtù civica, in quanto la più pura espressione del “popolo” tanto esaltato negli ultimi 200 anni?

“Democrazia illiberale” è un termine assolutamente equivoco, sia se usato in senso dispregiativo, sia usato in senso elogiativo, perché, nell’attuale gergo americaneggiante, tanto “democrazia” quanto “liberale” designano il contrario di quanto avevano significato per almeno mezzo secolo in Europa (per esempio, in “Democrazia Cristiana” e “Partito Liberale”). D’altronde, la traduzione del l’omonimo libro di Zakaria parla giustamente di “democrazia senza libertà”, che ben si attaglia a praticamente tutti gli Stati attuali. Sarebbe forse meglio parlare di  “sistema carismatico-rappresentativo”, in quanto esso  tenta di conciliare l’esigenza di un leader, provocata dalla mobilitazione generale mondiale, con le forme giuridiche della democrazia rappresentativa (così come, nel Principatus augusteo, l’esigenza di un principe provvidenziale veniva conciliata con le forme tradizionali del cursus honorum repubblicano)

Del resto, vi è sempre stato un legame fra “mobilitazione generale” e idolatria del “popolo”, che è quello che, come ben studiato da Jünger, aveva portato ai totalitarismi del 20° Secolo. L’unico modo per por fine alla mentalità da mobilitazione generale è far finire la Terza Guerra Mondiale, rendendo nuovamente possibile, all’interno di ciascuno dei blocchi concorrenti, una forma di pluralismo, non più accusabile di “intelligenza con il nemico”. Vediamo se Trump ne sarà veramente capace.

Questa situazione smentisce in modo definitivo la credenza che, nel XXI° secolo, possano avere ancora una qualche utilità le categorie di “Destra” e di “Sinistra”, ma anche di “Democrazia” e “Autocrazia”, essendo restata in campo solo la distinzione fra “governo degli algoritmi” (come quello che si è instaurato in America grazie alla convergenza delle azioni di Eric Schmidt e di Elon Musk) e il (almeno più “umano”) “governo del leader” (come quelli di Cina, Russia, India, Turchia..).

In questo contesto, l’Europa, disabituata a pensare dall’egemonia del “pensiero unico”, non sa più come orientarsi. Perfino coloro che, per un motivo o per l’altro, amerebbero defilarsi dal Governo delle Macchine Intelligenti, dell’America e della NATO, sono in seria difficoltà, visto che c’è una corsa sfrenata da parte di tutti ad accattivarsi la coppia, ormai onnipotente, “Trump-Musk”, mentre le effettive intenzioni di Trump non sono ancora neppure note. Come ha affermato sprezzantemente Putin, “ciò che manca all’ Europa sono i cervelli”.

La vicenda Trump-Musk dimostra almeno quanto siano ancora diverse l’Europa e l’America.

2.Il ruolo di Elon Musk nell’amministrazione Trump

Come anticipato, vogliamo qui concentrarci però su quella che appare come la vera novità del secondo mandato di Trump, il quale forse ha vinto in questo modo schiacciante non già per l’appoggio di nuove correnti di opinione o all’ “endorsement” di autorevoli “opinion leader”, bensì grazie a un impero finanziario e tecnologico -quello di Musk- che già domina l’Occidente, sui mercati dei media, delle biotecnologie, dell’ intelligenza artificiale, dello spazio,  dell’ autoveicolistica,  delle telecomunicazioni, essendo così in grado di pilotare l’intera società americana e di mettere in ombra gli stessi GAFAM “minori”. E, difatti, Musk ha messo a disposizione di Trump un congruo numero di miliardi, di cui una quota precisa dedicata al voto di scambio, oltre che l’accesso senza limiti e senza censura alla piattaforma “X”, quella che era stata un tempo Twitter, e che Musk ha comprato. Gli mancava solo il timbro di “Direttore tecnico degli Stati Uniti”,cosa che oramai sembrerebbe avere. Infine, è lui il migliore intermediario con Zelenskij, perché buona parte dell’ esito della guerra dipende dalla disponibilità, o meno, della rete Starlink.

Si è superato perfino il concetto marxiano di “Comitato d’affari della borghesia”: l’Amministrazione americana è il dominio privato di due imprenditori-soci, dei quali l’uno, il Presidente e il “junior partner”, anche se rappresenta formalmente lo Stato, ma l’altro, da “CEO”, controlla l’intera società, realizzando così il sogno tecnocratico di Saint-Simon. Altro che “conflitto di interessi”!

Il gigante aerospaziale SpaceX e Tesla di Musk sono entrambe tra le aziende che valgono di più al mondo al mondo. SpaceX è la seconda più grande azienda privata al mondo, con una valutazione di 210 miliardi di dollari. La società di veicoli elettrici Tesla è la decima società quotata, con una capitalizzazione di mercato di oltre 900 miliardi di dollari.

Musk ha una quota del 42% in SpaceX e una quota del 13% in Tesla, e ha anche quote di controllo in X, la piattaforma precedentemente nota come Twitter, e nella startup di intelligenza artificiale generativa xAI. Musk è di gran lunga la persona più ricca del mondo, con un patrimonio netto di circa 280 miliardi di dollari, più di 60 miliardi di dollari in più rispetto al secondo uomo più ricco, il fondatore di Amazon Jeff Bezos.

Ma, soprattutto, Musk incarna nel modo più trasgressivo la “hybris” del Postumanesimo, nei suoi aspetti più inquietanti: l’Intelligenza Artificiale Generativa, le microchip nel cervello, i twitter senza alcuna moderazione, la colonizzazione privata dello spazio, la disoccupazione tecnologica, la maternità surrogata.

In effetti, il progetto di Musk, cioè quello di ufficializzare il controllo dei GAFAM sullo Stato americano, e, con ciò, sull’ Occidente,  non è nuovo. Esso era stato teorizzato da Schmidt e Cohen nel loro libro “The New Digital Age”, concepito dai due autori nel 2003, nella Baghdad ridotta in cenere ed occupata dall’ esercito americano, in cui si suggeriva che Google avrebbe dovuto sostituire la Lockheed nel guidare l’America alla conquista del mondo (“Googleization of the World”). Ed è stato criticato da Evgeny Morozov  quale ultimo tentativo, da parte di una civiltà fallimentare, per bloccare l’esito della Storia, che, di per sé, starebbe voltando le spalle all’ Occidente.

Sempre Schmidt aveva incominciato a mettere in pratica quel progetto, con la creazione di NSCAI, la commissione incaricata dal Congresso di elaborare una strategia per contrastare il superamentodegli USA da parte della Cina, da cui nacque l’Inflation Reduction Act, con cui il Senatore Schumer si proponeva di “mettere fuori mercato il mondo intero”.

Ora, è stata colmata una lacuna nel progetto,  perché Musk (anche se aborre la California, preferendole il Texas) sta non soltanto teorizzando, bensì incarnando nella propria persona, la “ideologia californiana”, che fonde cultura nichilista e intelligenza artificiale, politica tecnocratica e monopolio universale.

Facendo ciò, egli ha dato un significato concreto all’ ideologia M.A.G.A., oscillante vagamente fra l’isolazionismo e il nazionalismo.

3.Il “programma di governo” di Musk

Musk, nonostante che provenga dal campo progressista e abbia sostenuto Trump solo da luglio, ne è divenuto ormai il compagno inseparabile, perfino nei colloqui con Zelenskij, anche se è improbabile che assuma un ruolo ufficiale. Egli ha, inoltre, affermato che “non è necessario alcun compenso, alcun titolo, alcun riconoscimento” per i suoi servizi (ampiamente compensati evidentemente dalla possibilità di difendere dall’ alto i propri interessi), guidando un “Dipartimento per l’efficienza governativa” (D.O.G.E.) che Trump ha pubblicizzato come  “Segretariato per la riduzione dei costi”, con l’obiettivo di tagliare da 2.000 miliardi di dollari o più dal bilancio federale (evidentemente subappaltando funzioni pubbliche alle multinazionali del web, e, in primis, a quelle di Musk, che è già l’insostituibile fornitore dell’ Amministrazione). In un’intervista al podcast Joe Rogan Experience ha detto che spera di “sgomberare il ponte” da regolamenti e agenzie federali indebiti e “ridurre le agenzie [federali] per renderle molto più piccole….assicurarsi che …si attengano a ciò che il Congresso ha autorizzato”.

D’altra parte, le aziende di Musk sono al lavoro anche in Italia per darsi assegnare (vedi scandalo S.O.G.E.I.) delle commesse strategiche, nell’outsourcing dei servizi pubblici, con le quali anche il nostro Paese diventerà dipendente da Musk per il funzionamento stesso dello Stato, così come stafacendo in America, e come avevano già fatto le Istituzioni europee con Microsoft.

Quali siano le sue intenzioni lo ha dimostrato ancora il 13 novembre, con un post sulla sua piattaforma dedicato alle sentenze dei giudici italiani (ed europei) circa i “paesi sicuri”. La forma e il contenuto del post costituiscono un esempio ineguagliato delo stile  di Musk, che interviene non sollecitato su una vicenda giudiziaria italiana ed europea, indicando una soluzione, le dimissioni dei giudici, che è agli antipodi, non solo dell’ ordinamento italiano, ma anche sull’ “ordine giuridico basato sulle regole” di cui l’ America si fa vanto. Per quanto sia pericoloso, e/o sgradito, essere sommersi da immigranti che porteranno anche da noi l’insanabile contraddizione americana fra “Whites” e “Non-Whites”, ancor peggio è essere governati contra legem da Washington da un informatico sud-africano, quasi fossimo un “bantustan” qualunque. Questo dimostra plasticamente che cosa dovrebbe impedire l’ “autonomia strategica” italiana ed europea.

Musk ha affermato inoltre  che, dopo queste elezioni, non ha alcuna  intenzione di smettere di pesare sulla politica. Il suo super comitato di azione “continuerà dopo queste elezioni e si preparerà per le elezioni di medio termine e per eventuali elezioni intermedie”, evidentemente tentando anche di interferire nelle politiche interne degli “alleati”, come faceva già Bannon. Fortunatamente, Trump si era presto stancato di quell’ alleato scomodo.

4. Musk e l’Antitrust

L’idea che il più grande monopolista del mondo sia incaricato dal Presidente di ristrutturare lo Stato americano mette  una fine definitiva dell’illusione  che la “destra” sia favorevole al libero mercato. E’ come incaricare il lupo di guidare una mandria di agnelli. Il che è per altro logico, perché la “destra” trumpiana non è liberista, bensì interventista nell’ economia, ma nell’ ottica attuale della mobilitazione bellica, secondo il collaudato modello del “keynesismo militare”, applicato negli Stati Uniti di Roosevelt, nella Germania nazista e oggi nella Russia di Putin. Il ruolo degli imprenditori è quello di “oligarchi”, fedelissimi del “leader” che possiedono le imprese, ma le gestiscono secondo le esigenze della programmazione bellica (pensiamo per esempio alla programmazione di Todt e di Speer e alle Reichswerke Hermann Göring).

Come ovvio, Musk si è scontrato spesso con i regolatori dell’amministrazione Biden. La FTC guidata da Khan ha colpito X, allora nota come Twitter, con una multa di 150 milioni di dollari, e ha ordinato restrizioni sui metodi di raccolta dati per la pubblicità della società di social media per la pubblicità. La SEC guidata da Gensler si è scontrata con Musk per il suo uso di Twitter nel contesto del suo ruolo in Tesla, risalente a un controverso tweet del 2018 in cui Musk ha affermato di aver ottenuto i fondi necessari per rendere privata la Tesla.

Ci sono poi una serie di cause legali in sospeso e indagini governative contro Musk e le sue aziende,  che  naturalmente apprezzerebbe il clima normativo più leggero lanciato da Trump. Tra le questioni legali e normative che Musk deve affrontare ci sono un appello per ripristinare il suo bonus da 50 miliardi di dollari in azioni Tesla, annullato da un giudice del Delaware a gennaio, un’indagine sui sistemi di guida autonoma di Tesla da parte della National Highway Traffic Safety Administration e un avvertimento segnalato dal Dipartimento di Giustizia sui premi da 1 milione di dollari dell’American PAC ad alcuni elettori di stati indecisi.

Tesla, che rappresenta la maggior parte della ricchezza di Musk rispetto a qualsiasi altra sua azienda, sta già ricevere una formidabile spinta dalle proposte economiche di Trump che probabilmente danneggerebbero i suoi concorrenti di veicoli elettrici, un vantaggio che si è tradotto nel rally delle sue azioni mercoledì, fatto che ha già fatto aumentare il valore delle azioni di Tesla fino a un trilione di dollari.

Al diavolo il conflitto di interessi!

Eppure, la resa incondizionata degli Stati  ai guru dell’informatica non sarebbe in teoria affatto inevitabile. Lo dimostra il caso della Cina.

5.Il precedente di Jack Ma

Ricordiamo che uno scenario analogo si era prodotto recentemente in Cina, dove esistono multinazionali digitali che, seppure presenti solo in quel Paese, hanno dimensioni analoghe a quelle americane (i “BAATX”). Questo è uno degli aspetti più appariscente della presunta defezione della Cina verso il capitalismo, sulla quale non concordiamo, perché, tecnicamente, il socialismo non è la statizzazione di tutta l’economia, bensì “il controllo sociale sui mezzi di produzione”, che è ciò che si sta realizzando in Cina attraverso meccanismi giuridici complessi, comprendenti anche il mercato.

Anche  Jack Ma aveva creato un impero privato simile a quello di Musk (oltre ad assumere atteggiamenti spettacolari ricalcati su Musk, come quando si era presentato ai dipendenti vestito come Michael Jackson.).

Nel frattempo, la Cina aveva approvato a tempo di record una serie di leggi sull’ ICT ispirate a quelle europee, ma più concrete e applicabili, in base alle quali tutte le multinazionali cinesi si sono viste esposte a una pioggia di sanzioni, in quanto, come le loro colleghe occidentali, intralciano continuamente la concorrenza, trascurano la privacy, ecc…(il “Crackdown sui BAATX”).

Quando Ma aveva lanciato una campagna di stampa contro il sistema bancario cinese, che gli negava quel sostegno finanziario che invece Musk ha in Occidente, per trasformare il suo impero industriale e tecnologico cinese in un impero finanziario mondiale, è stato arrestato e detenuto per alcuni mesi, finché ha rinunziato ai ruoli operativi nelle sue società, trasferendosi all’ estero e limitandosi a incassare i dividendi dovutigli in quanto socio di minoranza delle società stesse.

7.Trump e i conservatori

Un altro “miracolo” di Trump è stato quello di trasformare i conservatori, da sempre considerati “dei pariah” della politica, specie europea, in protagonisti ambiti delle politiche nazionali e della UE.

Grazie a ciò, l’”accoppiata” Trump-Musk  ha indebolito con una duplice mossa  un probabile ostacolo al dominio mondiale dei GAFAM: la resistenza in nome dell’umano al “Governo degli algoritmi” di Musk,  così simile al “Governo delle Regole” tanto caro al liberalismo di sinistra. Questa resistenza non potrà venire se non da ambienti “lato sensu” conservatori, come per esempio le Chiese. Probabilmente, la coppia Trump-Musk spera che, essendole essi grati per averli fatti uscire dai loro ghetti, vari tipi di “conservatori”  lascino per un momento da parte le loro legittime ragioni ideali, che concettualmente li opporrebbero al “governo delle macchine” – chi per orgoglio nazionale, chi per umanesimo, che per difesa della libertà-…, e “lavorino” come si dice oggi, con la coppia Trump-Musk e con gli altri grandi soggetti geopolitici modo da non contrastare, bensì da agevolare, il progetto della “Singularity Tecnologica”. Ricordiamoci che Musk, come persona, tiene comportamenti ricalcati sui grandi transumanisti, come Ray Kurzweil e l’iraniano Fereidun Esfandiari. Quest’ultimo (il cui nome originario era la traduzione in Farsi, di quello del Salvatore dell’ Avesta, Thraetona) aveva fatto modificare all’ anagrafe il proprio nome e cognome in  FM-2030, anno in cui, secondo i transumanisti, sarebbero state curate certe malattie, come quella al pancreas di cui egli sarebbe morto dopo poco, e, contestualmente, s’ era fatto ibernare. Ebbene, anche Musk, oltre a fare ricosto alla gestazione surrogata,  ha chiamato il proprio figlio “X Æ xii” (quasi fosse un nuovo modello di macchina).

La battaglia politica che, fino ad oggi, si era svolta essenzialmente all’ interno  dei “parametri utopico-liberali” di Ursina (anche la Democrazia Cristiana, e perfino il Fascismo, erano a loro modo  stregati dal  mito del Progresso), oggi lo spazio  concettuale entro cui si combatte per l’egemonia politica mondiale è sostanzialmente “conservatore” (dall’interpretazione delle varie religioni e tradizioni nazionali a quella del mito moderno del Superuomo, fino ai critici moderni  della Modernità: Ricci, Ibn Khaldun, Nietzsche, Dostojevskij, Huxley, Dumont, Teilhard de Chardin, Burgess, Compagnon).

Come scrive sempre Orsina, “l’ordine utopico-liberale  non abbia saputo  mantenere le sue promesse e … il suo fallimento ne abbia fatto emergere  chiaramente i consistenti tratti di disumanità, l’affidarsi a un esistente essere umano e astratto. Disincantato, decontestualizzato, perfettamente morale e perfettamente razionale”. In sostanza, si è compiuta la Dialettica dell’ Illuminismo descritta da Horkheimer e Adorno.

E’ all’ interno di quest’ ampio spazio politico e culturale (l’unico rimasto oggi relativamente vivo al di fuori del postumanesimo) che si può, e si deve, ora, lanciare una battaglia sulla preservazione dell’ Umano, sulla libertà minacciata, sulla pace nel mondo, sul ruolo delle classi sociali, dei popoli e dei Continenti…). Se necessario, contro tanti falsi “conservatori” che operano come apripista per la Singularity Tecnologica e per il “Governo degli Algoritmi”. Tale critica al progetto post-umanista non dev’essere preconcetta, bensì partire dalle sue (per quanto discutibili) radici storiche :il Mistero dell’ Incarnazione, l’“Antiquatezza dell’Uomo”, il mito dell’ Eterno Ritorno...

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EUROPA HA GIA’ PERSO, INDIPENDENTEMENTE DAL FATTO CHE ABBIA VINTO TRUMP

Lo diceva la rivista online POLITICO October 31, 2024 :”It doesn’t matter if Trump or Harris win. Europe has already lost.”di  Nicholas Vinocur

Secondo quell’Autore, il momento del massimo splendore dei rapporti transatlantici (“Peak America”), era stato raggiunto il June 6, 1994, con la celebrazione dei 50 anni dello Sbarco in Normandia.

1L’età dell’oro dell’ egemonia americana

A quell’ epoca, l’egemonia “culturale” degli USA era incontrovertibile nello sport, nell’entertainment (“EuroDisney — a sort of American colony”); i giornali americani erano fortemente presenti in Europa. Oggi, invecve, gli USA hanno ridimensionato la loro presenza i Europa, salvo che nel settore digitale (per altro intimidito dalla legislazione europea), e le truppe americane nel nostro Continente sono state ridotte da 450.000 a meno di 100.000.

L’inizio di questo disinteresse americano coincise con la presidenza di Barack Obama e con il  suo “Pivot to Asia”.

Secondo Ben Hodges, ex comandante americano in  Europa,  il costo di mantenere tanti soldati ha generato vantaggi proporzionali:  “It was always mystifying to me that people didn’t see what a huge advantage we have with our leadership inside NATO and our relationship with European countries,”

2. Senza gli Stati Uniti, l’Europa sarà persa, oppure sarà salvata?

 La Commissione si sta preparando a un ridimensionamento dell’ impegno americano, ma è divisa quanto alla configurazione dell’ “autonomia strategica europea” .

L’ex Primo ministro finlandese Niniisto ha presentato un rapporto dettagliato sullo stato di preparazione bellica e per la difesa civile L’ Europa non è preparata ad una guerra mondiale, per cui il primo compito sarebbe quello di spiegare ai cittadini europei come sopravvivere nelle prime 72 ore del conflitto. Qualcosa che la Svezia stava facendo 5o anni fa, con la diffusione capillare degli opuscoli “Om kriget komer” (“se viene la guerra”) e “Inte samarbejde”(“non collaborare”). E’ grottesco che vengano riproposte soluzioni  così invecchiate, senza tener conto del mutato scenario tecnologico e geopolitico. La “military preparedness” (EU Preparedness Law) è divenuto un termine corrente nel linguaggio brussellese.stiamo programmando, con folle ritardo e senza un piano concreto, un’economia di guerra.

3.Autonomia strategica e autonomia culturale

 Nicolas Tenzer ha scritto:“Without the United States, Europe is lost

In realtà, l’Europa che “è già perduta” sono gli “Stati Uniti d’ Europa”, cioè il progetto di fare, dell’ Europa, un clone degli Stati Uniti, a questi ultimi subordinato. Al momento del dunque, quando gli USA stanno considerando di usare veramente il loro inaudito arsenale culturale, sociale, tecnologoco, poliziesco, politico, accumulato, per imporre l’accettazione, da parte di tutto il mondo, del Modello Incompiuto della Modernità, non tutti sembrano accettare a scatola chiusa questa decisione, né di qua, né di là dell’ Atlantico.

Come avevano illustrato alcuni Autori, come Simone Weil, Pierre drieu la Rochelle e Pietro Barcellona, l’Europa rappresenta oggi, dal punto di vista culturale, il Katechon di paolina memoria, quella forza che trattiene il mondo dall’Apocalisse (rappresentata dal chiliasmo americano). Essa ha combattuto da secoli contro l’ansia millenaristica della “Dissidence of Dissent” (Huntington), per esempio con le critiche di Sant’Agostino al manicheismo, con le prediche di Lutero contro gli Anabattisti, con la dissertazione di Rousseau per l’accademia di Digione, con “Les Soirées de Saint Petersbourg” di De Maistre, con “La crise de la modernité” di Guénon e la “Rivolta contro il mondo moderno” di Evola, con le opere di Dostojevskij, Soloviov, Leontijev, Trubeckoj , Gumilev, Solzhenitsin.

L’Europa costituisce così l’unica vera alternativa al Progetto della Modernità, ed è per questo che, da quando gli USA hanno l’egemonia mondiale, si fa di tutto per sminuirla: finanziando gli “opposti estremismi”; liquidando le imprese come l’ Eni e l’ Olivetti, che avrebbero potuto contestarne la primazia; ricoprendola di basi militari e di testate nucleari che la espongono a rappresaglie russe; obbligandola a guerre intestine e a sanzionare mezzo mondo…

Non ostante tutto ciò, non è  affatto detto che, nella Terza Guerra Mondiale, l’Europa starà dalla parte degli USA. Ricordiamoci che l’indipendenza degli USA fu imposta all’ Inghilterra dalla Francia vincitrice, con l’aiuto della Spagna. Similmente, non è improbabile che un’autonomia europea risulti da una nuova e diversa ripartizione delle sfere di influenza mondiali.

E’ a questo che l’Europa dev’essere preparata: ad assumere, attraverso la cultura, il controllo di quell’apparato politico, militare e tecnologico che si sta preparando con ben divere intenzioni.

PERSIA, PALESTINA,DONBASS: GUERRE ETERNE?

Ha suscitato giustamente scalpore il fatto che Israele  abbia attaccato ripetutamente e deliberatamente le basi UNIFIL sotto il comando italiano, provocando tra l’altro gravi ferimenti di Caschi Blu – un’azione che il Ministro della Difesa Crosetto ha giustamente definito come “crimine di guerra”-.

Questo scalpore è giustificato soprattutto dal fatto che la “Guerra Mondiale a Pezzi”, oramai non più tanto a pezzi, sta scalfendo una gran quantità di luoghi comuni impostici da decenni dai media occidentali. Fra questi, il più pernicioso è stato quello relativo alla presunta  “imminenza della Pace Perpetua”, veicolato dalla retorica delle Organizzazioni Internazionali e dell’ Unione Europea.

Mentre le Nazioni Unite  hanno appena fatto il punto sulla loro pretenziosa Agenda 2030, esse si vedono addirittura attaccate militarmente da uno dei propri membri, che l’accusa di essere troppo imparziali nel conflitto con i Palestinesi, mentre invece, secondo Israele, questi ultimi sarebbero  dei “terroristi”, da sterminarsi semplicemente, senza curarsi del diritto internazionale umanitario. I Caschi Blu dovrebbero quindi farsi da parte in seguito a semplici intimazioni dell’Esercito Israeliano (che, tra l’altro, non si capisce perché improvvisamente sia diventato per tutti “IDF”, all’Americana, anziché, in Ebraico, “Tsahal”), e, in caso contrario, rassegnarsi ad essere cannoneggiati. Come se non bastasse, lo stesso Segretario Generale dell’ ONU viene praticamente messo al bando da Israele, immemore del fatto che la sua stessa creazione era stata opera dell’ ONU.

Non che le critiche di Israele siano del tutto infondate. L’inasprirsi della crisi dimostra la debolezza della funzione di “Peace-Keeping” internazionale, ma ciò non è ”colpa” di nessuno:  è la Post-Modernità che, qui come altrove, mette a nudo le contraddizioni della Modernità, due fra le quali riguardano, tra l’altro, proprio Israele e l’ ONU. Su Israele c’è da chiedersi se sia veramente, come pretendeva Herzl, uno “Stato laico”, nel qual caso non si comprenderebbe tutta quest’ansia di ristabilire i confini biblici (Yisrael ha-Shelomah), di ricostruire il Tempio e di usare la Torah come unica vera Costituzione. D’altronde, visto che Israele non è una “razza” bensì un “popolo” etno-culturale,  esso non esisterebbe nemmeno se non ci fossero la Bibbia e la sua lingua. Di converso, i Neturei Karta combattono l’idea di uno Stato ebraico nel tempo presente (tempo che ritengono ancora di esilio), poiché ritengono contrario all’autentica tradizione religiosa ebraica lo  stabilirlo senza aspettare che Erets Israel venga esplicitamente donata dall’Altissimo.  Pertanto, la pretesa sionista di costituire uno “Stato ebraico laico” sarebbe semplicemente l’ennesima  “hybris” di alcuni eresiarchi, né più né meno di quella dei “Costruttori di Dio” cristiani o dei Baha’i persiani (che, guarda caso, hanno sede proprio in Israele): un’ennesima manifestazione di quella “religione secolarizzata” che è al centro della Modernità.

Queste religioni secolarizzate, che, con Lessing, pretendono di realizzare sulla terra le promesse escatologiche delle religioni tradizionali, paradossalmente, in ossequio all’Eterogenesi dei Fini, mentre propugnano la Pace Perpetua, stanno trasformando le religioni in strumenti di lotta fra le diverse parti del mondo (Singularity contro  Tradizione; Hindutva contro Shari’a), perché, abbandonate le pretese di salvezza individuale,  sono divenute semplicemente la divinizzazione della volontà di potenza dei singoli Stati-Civiltà. Del resto, anche il Puritanesimo è una versione secolarizzata del Protestantesimo, così come la il “socialismo islamico” lo è dell’Islam. L’ accusa di “integralismo”rivolta tradizionalmente alle versioni “conservatrici” (“quietiste”) delle singole religioni, si rivela invece adeguata solo alle loro emulazioni laicistiche, come la “religione dell’ umanità di Saint Simon, il Sionismo e la “Nazione dell’ Islam”, camuffamenti dell’espansionismo di popoli che si pretendono “superiori”.

Di qui anche la sterilità delle Chiese ufficiali ( succubi neppur troppo copertamente di quelle religioni secolarizzate), le quali continuano a predicare la pace senza più trovare argomenti concreti a favore della stessa.

Ma  contraddittoria è anche la natura stessa dell’ ONU, nata proprio dalla pretesa del progressismo puritano, espressa alla sua fondazione da Eleanor Roosevelt, di imporre la Pace Perpetua. Tale pace perpetua avrebbe costituito il suggello del progetto messianico americano quale espresso da Winthrop, Cotton Mather, Emerson, Whitman, Friske e Wilkie. Non per nulla il Palazzo di Vetro è situato nel cuore di Manhattan, sotto il completo controllo dell’America. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata l’ ultima delle guerre perchè poi tutto il mondo sarebbe stato diretto dalla “ragnatela delle istituzioni dirette da Washington”(cfr. Ikenberry).

Sono stati i fatti stessi a ribellarsi a questa proteiforme “hybris”. I conflitti attualmente in corso non sono nati ieri, bensì parecchi millenni fa, e continuano a riproporsi sempre negli stessi termini: l’uno, lungo fra il Don, il Donetz e il Dniepr, fra i popoli indo-europei e turcici dei Kurgan e delle steppe, e, l’altro, fra “Il Fiume d’ Egitto” e l’Eufrate, fra popoli semitici e hamitici dei deserti. Dietro a tutto ciò ci sono, da un lato, la “Distinzione mosaica” (fra Vero e Falso, cfr. Jan Assmann), dall’ altro la pretesa di tutti i contendenti d’incarnare una divina volontà di pace e giustizia, che trae le proprie radici dal mondo antico, e precisamente da quella Persia (Eranshahr) che è oggi il vero antagonista di Israele (perché entrambi perseguono la stessa utopia).  Ed è fra Egitto, Persia e Palestina che nasce la pretesa millenarista. Questi destini sono stati configurati dalla geografia: sono  collocati ai punti di passaggio obbligati fra l’Asia e, da un lato, l’Europa, e, dall’ altro l’Africa, che tutti i contendenti pretendono di tenere sotto il proprio controllo. Le illusioni postmoderne di risolverli “con una bacchetta magica” in base a formule astratte sta scontrandosi con la realtà, e la sta perfino peggiorando.

La sopravvivenza dell’Umanità è stata uno degli obiettivi di base di ogni cultura. Nel mondo moderno iperconnesso, quest’obiettivo richiede uno sforzo congiunto di tutti i popoli. Nel mondo ipertecnologico delle Macchine Intelligenti, senza questo sforzo è assicurata la Fine dell’Uomo: come aveva riconosciuto Kant, la Pace Perpetua si rivela come un grande cimitero.

Per questo, a partire dal Sacro Romano Impero e dal re hussita  Podiebrad, e poi via via attraverso Postel, Crucé, Saint-Pierre, Pufendorf, Novalis, Nicola II, Coudenhove Kalergi, Wilson,  Spinelli, si è venuta configurando una teoria delle organizzazioni internazionali. Teoria che comunque non indica  alcun antidoto all’ incombente mortalità del cosmo, dell’ Umanità e delle civiltà. Anche alla luce dell’ esperienza, occorre ora perciò un approccio più realistico, secondo cui la Storia non finirà con un evento taumaturgico, bensì presumibilmente con il suicidio dell’ Umanità (vedi bomba atomica, Singularity, Terza Guerra Mondiale, surriscaldamento atmosferico, denatalità), e perciò il nostro compito ragionevole è, nella migliore delle ipotesi, “salvare il Cosmo”, almeno  finché sarà possibile (il Katèchon), e per il resto attendere la Fine, che, secondo la tradizione cristiana, “verrà come un ladro nella notte”. L’ebraismo ha un’eccezionale espressione a questo proposito: “Tikkun ha-Olam” (“riparare il mondo”), che non è l’impossibile “Raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Kant, Berlin), bensì si apparenta a quella quotidiana ricostruzione del Divino attraverso i Riti di cui parla anche Eliade.

1.Il Paese degli Ariani (Iran)

L’eternità delle guerre in corso è dimostrato dalle vicende (pre-istoriche, storiche e post-istoriche) delle tre aree in questione: la Persia, la  Palestina e le Steppe Pontiche.

Una delle opere  che più hanno inciso sulla formazione della cultura postmoderna è il “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, sconcertante, da un lato, perché è talmente ben costruito, da poter rappresentare, letterariamente, e perfino linguisticamente, quasi un “sequel” del  Zand i Bahman Yasn, il principale libro sacro zoroastriano, ma, dall’ altro, perché costituisce una sorta d’implicita ritrattazione della dottrina zoroastriana di una lotta cosmica fra un Dio del Male e un Dio del Bene, quest’ultimo rappresentato sulla terra dal sovrano achemenide.

Lo zoroastrismo rappresenterà così il modello prototipico del messianesimo ebraico e degl’imperi provvidenziali  cristiani e islamici successivi. Non per nulla la nascita di Cristo è salutata, per primi, “nella pienezza dei Tempi”, dai Re Magi. I Persiani zoroastriani sconfiggeranno  e imprigioneranno l’imperatore romano Valeriano, per poi essere a loro volta sconfitti dalle armate islamiche. C’è  anche da chiedersi in che misura l’idea di Jihad, così centrale nell’ Islam, non sia che un’eredità della guerra santa dell’imperatore persiano contro Angra Mayniu. Del resto, uno dei compagni di Maometto era il “Principe di Persia”. La Persia ha mantenuto il proprio spirito  antagonistico alimentando sette islamiche rivoluzionarie, come gli Shi’iti, i Carmati e gli Assassini, e varie religioni post-zoroastriane, come il Manicheismo, il Mazdakisno e il Paulicianesimo (poi reincarnatosi in Europa nel Bogumilismo e nel Catarismo) Più recentemente, la Persia ha generato nuove sette molto inclini al Technological Sublime, come i Baha’i, e, dentro l’Islam, gli Hojjatiyye.

I Persiani continueranno a costituire un elemento di disordine nel Medio Oriente, poiché, memori  di quelle antiche glorie, ambiscono ancor sempre a dominarlo, se non altro culturalmente, con la loro letteratura e le influenze delle loro lingue, e perciò non accettano l’egemonia culturale, né dell’ Occidente, né degli Arabi, né dei Sunniti, né di Israele. La rivoluzione khomeinista, che si presentò come alternativa al mondo islamico sunnita, continua dunque la tradizione messianica e rivoluzionaria dello zoroastrismo, per altro ancora vivo e vegeto nel Paese, e spesso richiamato dai dissidenti anti-khomeinisti.

Ma i veri eredi dello Zoroastrismo sono i progressisti occidentali, i quali hanno trasfuso nel progressismo laicista l’enfasi posta dai Persiani nell’Apocalisse, intesa come conquista del mondo da parte di un Salvatore (Shaoshant) sotto la guida di Ahura Mazda, e la conseguente vittoria del Bene Assoluto sul Male Assoluto. D’altronde, gli Hojjatiyye considerano l’invenzione di Internet come un segno dell’avvicinarsi dell’avvento del Mahdi.

Invece, le cosiddette “autocrazie”, nemiche dell’ Occidente progressista, sono  i veri epigoni culturali degli antichi Greci, in quanto culture tragiche, belliciste e aristocratiche sul modello degli Spartani delle Termopili, a cui  sembrano ispirati i vari al-Qaida, ISIS, Hamas e Hezbollah, con i loro leaders che cercano la morte gloriosa in battaglia. Significativamente, come racconta Erodoto, il generale persiano Mardonio, dopo avere represso la rivolta della Ionia, impone alle poleis locali d’instaurare governi democratici in sostituzione di quelli aristocratici che si erano ribellati alla Persia.

2.Peleset, Peleshtim, Filastin

Sin dall’antichità l’egemonia degli Hyksos venne identificata con il soggiorno in Egitto degli Ebrei, e, in particolare, con le storie bibliche di Giuseppe e Mosè. Gli Hyksos (Heka khasut, cioè “i capi di un Paese straniero” )giunsero in Egitto  attorno al 1700 a.C.,  portandovi il   cavallo e il carro da guerra.

Dopo l’Esodo dall’Egitto, cominciava la conquista di Cana’an da parte del popolo ebraico. I “Revisionisti Israeliani” (p.es., Finkielkraut) sostengono che una vera e propria “Conquista di Canaan” intesa come grande campagna militare, non è mai avvenuta, e si è invece trattato di un graduale spostamento di popoli, dalle rive del Mare Mediterraneo, alle colline della Palestina. Sia come sia, si era sviluppata comunque di una guerriglia continua, a cui ben si confanno le descrizioni contenute in tutta la Bibbia, per altro facilmente sovrapponibili a quelle attuali di Gaza, della Cisgiordania e del Libano:“due dei figli di Giacobbe, Simeone e Levi, fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, assalirono la città che si riteneva sicura, e uccisero tutti i maschi.” – “Passarono a fil di spada anche Camor e suo figlio Sichem, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono.” – “I figli di Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro sorella era stata disonorata” – “presero le loro greggi, i loro armenti, i loro asini, quanto era nella città e nei campi.” – “Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini, le loro mogli e tutto quello che si trovava nelle case….“

Queste vicende ricalcano inoltre quella della Guerra di Troia, narrata dalla letteratura greca, e quelle documentate nei monumenti dei sovrani mesopotamici e nei poemi ittiti, hurritici e mitannici.

Il meccanismo è sempre lo stesso: Dio, attraverso i profeti, incita il popolo ebraico a conquistare le diverse città di Canaan, sterminandone gli abitanti. La scena si ripete all’ infinito. Vengono menzionati infiniti popoli e città: Amalek; Og; Sicon; Madian;Gerico ; Ai; Gabaon; Machedda; Libna;Eglon; Ebron;Debir;i Ferezei;Gerusalemme;Sefat;Moav;Succot;Lais; i Filistei;Ammon;Galgala;gli Aramei;i Siriani;Tifsach…

Tutto ciò è confermato dalle Lettere di Tell el-Amarna, che dimostrano come le città cananee si lamentassero con il Faraone degli attacchi di popolazioni barbare, che essi definivano come “Habiru” o “Jahu.”

Sulla Stele di Merneptah ( 1200 circa a.C.), è narrato l’esito vittorioso di una spedizione militare, al seguito della quale :”Ysyrỉ3r fk.t;bn      pr.t =f” (“Ysrỉr è desolato;il seme suo non c’è”)

Da vari studiosi moderni, Ysrỉr viene identificato con Israele. Si tratterebbe pertanto della prima testimonianza storica relativa al popolo ebraico. Il nome Ysrỉr non è accompagnato, come accade per le città o stati presenti nella lista, dall’ideogramma raffigurante tre montagne stilizzate indicante un regno. L’ideogramma associato invece, un uomo e una donna, indica una popolazione di natura nomade.Invece, i Palestinesi (Filistei, Peleset, Peleshtim, Filastin), sono spesso identificati con uno dei  Popoli del Mare che vediamo sbarcare sulla parete del tempio di Medinet Habu , Sherden, Sheklesh, Ekwesh .

Questa conflittualità ricorrente  ricorda i tentativi egemonici attribuiti dalla Bibbia ai regni di Davide e Salomone, le invasioni babilonesi, assire, persiane e macedoni, fino alle Guerre Giudaiche e all’inizio della Diaspora.

Di non minore importanza, per il Levante, le, questa volta documentatissime, Crociate volte a riconquistare la Terra Santa dal dominio islamico, le quali che durarono circa 600 anni. La prima (1096-1099) permise di istituire i primi quattro Stati crociati: la Contea di Edessa, il Principato di Antiochia, il Regno di Gerusalemme e la Contea di Tripoli. A livello popolare, essa scatenò un’ondata di rabbia cattolica che si espresse nei massacri degli ebrei  e il violento trattamento dei cristiani ortodossi “scismatici” dell’est.

La protezione dei Cristiani in Terrasanta costituì poi il pretesto per la Guerra di Crimea, e il Libano è stato anch’esso oggetto di violente dispute fra comunità religiose, che hanno portato a varie guerre civili (cfr. infra).

Infine, la stessa  nascita dello Stato di Israele si inserisce in un piano di destabilizzazione del Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, posto in essere da Francia e Inghilterra con gli Accordi Sykes/Picot, piano che non ha ancora cessato di esercitare i suoi effetti perversi.

3.Le steppe pontiche (u-Krajine=sulla frontiera)

La cultura “Jamnaja” (“delle tombe a pozzo”)  si colloca fra una fase tarda dell’età del rame e l’inizio  dell’età del bronzo, nella regione  fra il Bug e il Dnestr e gli Urali (la steppa pontica), in un periodo che va dal XXXVI al XXIII secolo a.C.. Si ritiene che gli Jamnaja siano stati i primi domesticatori di cavalli per uso di trasporto cavaliere e di carri con ruote, che avevano facilitato gli spostamenti e diffuso questa tecnologia. I resti del più arcaico carro con ruote trainato da cavalli, sono stati trovati nel kurgan della “Storožova mohyla” (Dniepropetrovsk, oggi Dniprò”), in Ucraina. Il sito sacrificale di Luhansk (Lugansk, nel Donbass, al centro degli attuali combattimenti) recentemente scoperto, è stato descritto come un santuario collinare dove si praticavano sacrifici umani..

Anche grazie ai cavalli, gli Jamnaja furono un popolo particolarmente guerriero e conquistatore (gli “Ariani”), che si espanse rapidamente tanto in Europa, quanto in Asia. Dopo di essi, attraversarono le steppe pontiche Sciti, Sarmati, Unni, Avari, Bulgari, Khazari, Peceneghi .Questi ultimi sono i  Polovesiani (Polovcy), di cui narra il Canto del Principe Igor (anno 1080)e a cui sono dedicate le “Danze Polovesiane”.

Dopo secoli di combattimenti che coinvolsero  molti popoli dell’ area -Bizantini, Bulgari, Rus’ di Kiev, Cazari e Magiari-,nel XIII Secolo,l’Impero Mongolo conquistò, fa le altre cose, le attuali Ucraina e Russia. Una delle principali battaglie per la liberazione delle stesse fu la Battaglia di Kulikovo, sul Don, sotto la guida di Dmitri Donskoj, nel 1378.

L’Ucraina fece poi parte di quella serie di fortificazioni al confine con l’ Impero Ottomano (che andavano dell’ Impero austriaco, della Polonia e della Russia) dette Krajine (confini). Esse furono custodite da guerrieri di origini internazionali (Giannizzeri, Granicari, Graenzer, Serbi, Hajduk, Honved, Karaim, Lipka Tatarlar). Nell’ attuale Ucraina, essi si chiamarono Cosacchi, da un termine turco che significa “cavalieri delle steppe”, e la Krajina polacca e russa si chiamò “Ukrajina”. Il suo cuore era costituito dalle fortezze sul Dniepr (Zaporishkaja Sich). Si combatté in quest’area fra Cosacchi, Turchi, Polacchi, Svedesi e Russi. Vi furono anche due importanti rivolte di Cosacchi: quella di Stenka Razin e quella di Pugaciov.

La Guerra di Crimea costituì uno snodo fondamentale della storia europea, come testimonia il suo ruolo  nella unificazione italiana, vedendo essa la nascita di una coalizione antirussa a cui partecipò il Regno di Sardegna, anticipatrice dell’ attuale “Kollektiv Zapada”, che contende alla Russia l’egemonia sulla Europa Orientale.

Durante la Guerra Civile Russa, l’Oriente dell’ Ucraina fu sede della repubblica di Kharkiv,  dell’ effimero Stato “bianco” di Denikin, della repubblica anarchica di Makhnò e di quelle sovietiche del Donbass e Krivoj Rog. Successivamente alla vittoria sovietica, quelle regioni patirono in modo particolare l’Holodomor (la carestia nella Russia Meridionale), e la “campagna di dekulakizzazione”.

L’invasione e la spartizione della Polonia dopo il Patto Molotov Ribbentrop comportò lo scatenamento della guerra in tutta la regione pontica. Bandera e l’UPA, addestrati a Praga sotto l’egida di Rosenberg,  entrarono a Leopoli in divise naziste, proclamando lo Stato indipendente ucraino, a cui si riallaccia l’attuale narrativa “nazionale” ucraina.

La battaglia di Stalingrado, decisiva per le sorti del conflitto, si svolse precisamente all’ incontro fra Don e Volga. L’area fra il Dniepr e il Volga fu il centro di fondamentali combattimenti fra l’Esercito Tedesco, spalleggiato da truppe italiane, rumene, ungheresi, francesi, slovacche, croate, e scandinave e da volontari anticomunisti di tutta Europa, dei Paesi arabi, dell’Asia Centrale e dell’India, e, dall’ altra, l’Armata Rossa.

La resa di von Paulus a Stalingrado e la “ritirata di Russia” delle truppe dell’Asse segnarono l’inizio della sconfitta di Hitler.

Su tutto questo si può consultare il nostro libro “Ucraina no a un’inutile strage”.

Per tutto quanto precede, ci sembra che sarebbe impossibile stupirsi dell’attuale guerra, che, a sua volta, dura oramai da 10 anni.Ha suscitato giustamente scalpore il fatto che Israele  abbia attaccato ripetutamente e deliberatamente le basi UNIFIL sotto il comando italiano, provocando tra l’altro gravi ferimenti di Caschi Blu – un’azione che il Ministro della Difesa Crosetto ha giustamente definito come “crimine di guerra”-.

questi, il più pernicioso è stato quello relativo alla presunta  “imminenza della Pace Perpetua”, veicolato dalla retorica delle Organizzazioni Internazionali e dell’ Unione Europea.

Mentre le Nazioni Unite  hanno appena fatto il punto sulla loro pretenziosa Agenda 2030, esse si vedono addirittura attaccate militarmente da uno dei propri membri, che l’accusa di essere troppo imparziali nel conflitto con i Palestinesi, mentre invece, secondo Israele, questi ultimi sarebbero  dei “terroristi”, da sterminarsi semplicemente, senza curarsi del diritto internazionale umanitario. I Caschi Blu dovrebbero quindi farsi da parte in seguito a semplici intimazioni dell’Esercito Israeliano (che, tra l’altro, non si capisce perché improvvisamente sia diventato per tutti “IDF”, all’Americana, anziché, in Ebraico, “Tsahal”), e, in caso contrario, rassegnarsi ad essere cannoneggiati. Come se non bastasse, lo stesso Segretario Generale dell’ ONU viene praticamente messo al bando da Israele, immemore del fatto che la sua stessa creazione era stata opera dell’ ONU.

Non che le critiche di Israele siano del tutto infondate. L’inasprirsi della crisi dimostra la debolezza della funzione di “Peace-Keeping” internazionale, ma ciò non è ”colpa” di nessuno:  è la Post-Modernità che, qui come altrove, mette a nudo le contraddizioni della Modernità, due fra le quali riguardano, tra l’altro, proprio Israele e l’ ONU. Su Israele c’è da chiedersi se sia veramente, come pretendeva Herzl, uno “Stato laico”, nel qual caso non si comprenderebbe tutta quest’ansia di ristabilire i confini biblici (Yisrael ha-Shelomah), di ricostruire il Tempio e di usare la Torah come unica vera Costituzione. D’altronde, visto che Israele non è una “razza” bensì un “popolo” etno-culturale,  esso non esisterebbe nemmeno se non ci fossero la Bibbia e la sua lingua. Di converso, i Neturei Karta combattono l’idea di uno Stato ebraico nel tempo presente (tempo che ritengono ancora di esilio), poiché ritengono contrario all’autentica tradizione religiosa ebraica lo  stabilirlo senza aspettare che Erets Israel venga esplicitamente donata dall’Altissimo.  Pertanto, la pretesa sionista di costituire uno “Stato ebraico laico” sarebbe semplicemente l’ennesima  “hybris” di alcuni eresiarchi, né più né meno di quella dei “Costruttori di Dio” cristiani o dei Baha’i persiani (che, guarda caso, hanno sede proprio in Israele): un’ennesima manifestazione di quella “religione secolarizzata” che è al centro della Modernità.

Queste religioni secolarizzate, che, con Lessing, pretendono di realizzare sulla terra le promesse escatologiche delle religioni tradizionali, paradossalmente, in ossequio all’Eterogenesi dei Fini, mentre propugnano la Pace Perpetua, stanno trasformando le religioni in strumenti di lotta fra le diverse parti del mondo (Singularity contro  Tradizione; Hindutva contro Shari’a), perché, abbandonate le pretese di salvezza individuale,  sono divenute semplicemente la divinizzazione della volontà di potenza dei singoli Stati-Civiltà. Del resto, anche il Puritanesimo è una versione secolarizzata del Protestantesimo, così come la il “socialismo islamico” lo è dell’Islam. L’ accusa di “integralismo”rivolta tradizionalmente alle versioni “conservatrici” (“quietiste”) delle singole religioni, si rivela invece adeguata solo alle loro emulazioni laicistiche, come la “religione dell’ umanità di Saint Simon, il Sionismo e la “Nazione dell’ Islam”, camuffamenti dell’espansionismo di popoli che si pretendono “superiori”.

Di qui anche la sterilità delle Chiese ufficiali ( succubi neppur troppo copertamente di quelle religioni secolarizzate), le quali continuano a predicare la pace senza più trovare argomenti concreti a favore della stessa.

Ma  contraddittoria è anche la natura stessa dell’ ONU, nata proprio dalla pretesa del progressismo puritano, espressa alla sua fondazione da Eleanor Roosevelt, di imporre la Pace Perpetua. Tale pace perpetua avrebbe costituito il suggello del progetto messianico americano quale espresso da Winthrop, Cotton Mather, Emerson, Whitman, Friske e Wilkie. Non per nulla il Palazzo di Vetro è situato nel cuore di Manhattan, sotto il completo controllo dell’America. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata l’ ultima delle guerre perchè poi tutto il mondo sarebbe stato diretto dalla “ragnatela delle istituzioni dirette da Washington”(cfr. Ikenberry).

Sono stati i fatti stessi a ribellarsi a questa proteiforme “hybris”. I conflitti attualmente in corso non sono nati ieri, bensì parecchi millenni fa, e continuano a riproporsi sempre negli stessi termini: l’uno, lungo fra il Don, il Donetz e il Dniepr, fra i popoli indo-europei e turcici dei Kurgan e delle steppe, e, l’altro, fra “Il Fiume d’ Egitto” e l’Eufrate, fra popoli semitici e hamitici dei deserti. Dietro a tutto ciò ci sono, da un lato, la “Distinzione mosaica” (fra Vero e Falso, cfr. Jan Assmann), dall’ altro la pretesa di tutti i contendenti d’incarnare una divina volontà di pace e giustizia, che trae le proprie radici dal mondo antico, e precisamente da quella Persia (Eranshahr) che è oggi il vero antagonista di Israele (perché entrambi perseguono la stessa utopia).  Ed è fra Egitto, Persia e Palestina che nasce la pretesa millenarista. Questi destini sono stati configurati dalla geografia: sono  collocati ai punti di passaggio obbligati fra l’Asia e, da un lato, l’Europa, e, dall’ altro l’Africa, che tutti i contendenti pretendono di tenere sotto il proprio controllo. Le illusioni postmoderne di risolverli “con una bacchetta magica” in base a formule astratte sta scontrandosi con la realtà, e la sta perfino peggiorando.

La sopravvivenza dell’Umanità è stata uno degli obiettivi di base di ogni cultura. Nel mondo moderno iperconnesso, quest’obiettivo richiede uno sforzo congiunto di tutti i popoli. Nel mondo ipertecnologico delle Macchine Intelligenti, senza questo sforzo è assicurata la Fine dell’Uomo: come aveva riconosciuto Kant, la Pace Perpetua si rivela come un grande cimitero.

Per questo, a partire dal Sacro Romano Impero e dal re hussita  Podiebrad, e poi via via attraverso Postel, Crucé, Saint-Pierre, Pufendorf, Novalis, Nicola II, Coudenhove Kalergi, Wilson,  Spinelli, si è venuta configurando una teoria delle organizzazioni internazionali. Teoria che comunque non indica  alcun antidoto all’ incombente mortalità del cosmo, dell’ Umanità e delle civiltà. Anche alla luce dell’ esperienza, occorre ora perciò un approccio più realistico, secondo cui la Storia non finirà con un evento taumaturgico, bensì presumibilmente con il suicidio dell’ Umanità (vedi bomba atomica, Singularity, Terza Guerra Mondiale, surriscaldamento atmosferico, denatalità), e perciò il nostro compito ragionevole è, nella migliore delle ipotesi, “salvare il Cosmo”, almeno  finché sarà possibile (il Katèchon), e per il resto attendere la Fine, che, secondo la tradizione cristiana, “verrà come un ladro nella notte”. L’ebraismo ha un’eccezionale espressione a questo proposito: “Tikkun ha-Olam” (“riparare il mondo”), che non è l’impossibile “Raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Kant, Berlin), bensì si apparenta a quella quotidiana ricostruzione del Divino attraverso i Riti di cui parla anche Eliade.

1.Il Paese degli Ariani (Iran)

L’eternità delle guerre in corso è dimostrato dalle vicende (pre-istoriche, storiche e post-istoriche) delle tre aree in questione: la Persia, la  Palestina e le Steppe Pontiche.

Una delle opere  che più hanno inciso sulla formazione della cultura postmoderna è il “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, sconcertante, da un lato, perché è talmente ben costruito, da poter rappresentare, letterariamente, e perfino linguisticamente, quasi un “sequel” del  Zand i Bahman Yasn, il principale libro sacro zoroastriano, ma, dall’ altro, perché costituisce una sorta d’implicita ritrattazione della dottrina zoroastriana di una lotta cosmica fra un Dio del Male e un Dio del Bene, quest’ultimo rappresentato sulla terra dal sovrano achemenide.

Lo zoroastrismo rappresenterà così il modello prototipico del messianesimo ebraico e degl’imperi provvidenziali  cristiani e islamici successivi. Non per nulla la nascita di Cristo è salutata, per primi, “nella pienezza dei Tempi”, dai Re Magi. I Persiani zoroastriani sconfiggeranno  e imprigioneranno l’imperatore romano Valeriano, per poi essere a loro volta sconfitti dalle armate islamiche. C’è  anche da chiedersi in che misura l’idea di Jihad, così centrale nell’ Islam, non sia che un’eredità della guerra santa dell’imperatore persiano contro Angra Mayniu. Del resto, uno dei compagni di Maometto era il “Principe di Persia”. La Persia ha mantenuto il proprio spirito  antagonistico alimentando sette islamiche rivoluzionarie, come gli Shi’iti, i Carmati e gli Assassini, e varie religioni post-zoroastriane, come il Manicheismo, il Mazdakisno e il Paulicianesimo (poi reincarnatosi in Europa nel Bogumilismo e nel Catarismo) Più recentemente, la Persia ha generato nuove sette molto inclini al Technological Sublime, come i Baha’i, e, dentro l’Islam, gli Hojjatiyye.

I Persiani continueranno a costituire un elemento di disordine nel Medio Oriente, poiché, memori  di quelle antiche glorie, ambiscono ancor sempre a dominarlo, se non altro culturalmente, con la loro letteratura e le influenze delle loro lingue, e perciò non accettano l’egemonia culturale, né dell’ Occidente, né degli Arabi, né dei Sunniti, né di Israele. La rivoluzione khomeinista, che si presentò come alternativa al mondo islamico sunnita, continua dunque la tradizione messianica e rivoluzionaria dello zoroastrismo, per altro ancora vivo e vegeto nel Paese, e spesso richiamato dai dissidenti anti-khomeinisti.

Ma i veri eredi dello Zoroastrismo sono i progressisti occidentali, i quali hanno trasfuso nel progressismo laicista l’enfasi posta dai Persiani nell’Apocalisse, intesa come conquista del mondo da parte di un Salvatore (Shaoshant) sotto la guida di Ahura Mazda, e la conseguente vittoria del Bene Assoluto sul Male Assoluto. D’altronde, gli Hojjatiyye considerano l’invenzione di Internet come un segno dell’avvicinarsi dell’avvento del Mahdi.

Invece, le cosiddette “autocrazie”, nemiche dell’ Occidente progressista, sono  i veri epigoni culturali degli antichi Greci, in quanto culture tragiche, belliciste e aristocratiche sul modello degli Spartani delle Termopili, a cui  sembrano ispirati i vari al-Qaida, ISIS, Hamas e Hezbollah, con i loro leaders che cercano la morte gloriosa in battaglia. Significativamente, come racconta Erodoto, il generale persiano Mardonio, dopo avere represso la rivolta della Ionia, impone alle poleis locali d’instaurare governi democratici in sostituzione di quelli aristocratici che si erano ribellati alla Persia.

2.Peleset, Peleshtim, Filastin

Sin dall’antichità l’egemonia degli Hyksos venne identificata con il soggiorno in Egitto degli Ebrei, e, in particolare, con le storie bibliche di Giuseppe e Mosè. Gli Hyksos (Heka khasut, cioè “i capi di un Paese straniero” )giunsero in Egitto  attorno al 1700 a.C.,  portandovi il   cavallo e il carro da guerra.

Dopo l’Esodo dall’Egitto, cominciava la conquista di Cana’an da parte del popolo ebraico. I “Revisionisti Israeliani” (p.es., Finkielkraut) sostengono che una vera e propria “Conquista di Canaan” intesa come grande campagna militare, non è mai avvenuta, e si è invece trattato di un graduale spostamento di popoli, dalle rive del Mare Mediterraneo, alle colline della Palestina. Sia come sia, si era sviluppata comunque di una guerriglia continua, a cui ben si confanno le descrizioni contenute in tutta la Bibbia, per altro facilmente sovrapponibili a quelle attuali di Gaza, della Cisgiordania e del Libano:“due dei figli di Giacobbe, Simeone e Levi, fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, assalirono la città che si riteneva sicura, e uccisero tutti i maschi.” – “Passarono a fil di spada anche Camor e suo figlio Sichem, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono.” – “I figli di Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro sorella era stata disonorata” – “presero le loro greggi, i loro armenti, i loro asini, quanto era nella città e nei campi.” – “Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini, le loro mogli e tutto quello che si trovava nelle case….“

Queste vicende ricalcano inoltre quella della Guerra di Troia, narrata dalla letteratura greca, e quelle documentate nei monumenti dei sovrani mesopotamici e nei poemi ittiti, hurritici e mitannici.

Il meccanismo è sempre lo stesso: Dio, attraverso i profeti, incita il popolo ebraico a conquistare le diverse città di Canaan, sterminandone gli abitanti. La scena si ripete all’ infinito. Vengono menzionati infiniti popoli e città: Amalek; Og; Sicon; Madian;Gerico ; Ai; Gabaon; Machedda; Libna;Eglon; Ebron;Debir;i Ferezei;Gerusalemme;Sefat;Moav;Succot;Lais; i Filistei;Ammon;Galgala;gli Aramei;i Siriani;Tifsach…

Tutto ciò è confermato dalle Lettere di Tell el-Amarna, che dimostrano come le città cananee si lamentassero con il Faraone degli attacchi di popolazioni barbare, che essi definivano come “Habiru” o “Jahu.”

Sulla Stele di Merneptah ( 1200 circa a.C.), è narrato l’esito vittorioso di una spedizione militare, al seguito della quale :”Ysyrỉ3r fk.t;bn      pr.t =f” (“Ysrỉr è desolato;il seme suo non c’è”)

Da vari studiosi moderni, Ysrỉr viene identificato con Israele. Si tratterebbe pertanto della prima testimonianza storica relativa al popolo ebraico. Il nome Ysrỉr non è accompagnato, come accade per le città o stati presenti nella lista, dall’ideogramma raffigurante tre montagne stilizzate indicante un regno. L’ideogramma associato invece, un uomo e una donna, indica una popolazione di natura nomade.Invece, i Palestinesi (Filistei, Peleset, Peleshtim, Filastin), sono spesso identificati con uno dei  Popoli del Mare che vediamo sbarcare sulla parete del tempio di Medinet Habu , Sherden, Sheklesh, Ekwesh .

Questa conflittualità ricorrente  ricorda i tentativi egemonici attribuiti dalla Bibbia ai regni di Davide e Salomone, le invasioni babilonesi, assire, persiane e macedoni, fino alle Guerre Giudaiche e all’inizio della Diaspora.

Di non minore importanza, per il Levante, le, questa volta documentatissime, Crociate volte a riconquistare la Terra Santa dal dominio islamico, le quali che durarono circa 600 anni. La prima (1096-1099) permise di istituire i primi quattro Stati crociati: la Contea di Edessa, il Principato di Antiochia, il Regno di Gerusalemme e la Contea di Tripoli. A livello popolare, essa scatenò un’ondata di rabbia cattolica che si espresse nei massacri degli ebrei  e il violento trattamento dei cristiani ortodossi “scismatici” dell’est.

La protezione dei Cristiani in Terrasanta costituì poi il pretesto per la Guerra di Crimea, e il Libano è stato anch’esso oggetto di violente dispute fra comunità religiose, che hanno portato a varie guerre civili (cfr. infra).

Infine, la stessa  nascita dello Stato di Israele si inserisce in un piano di destabilizzazione del Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, posto in essere da Francia e Inghilterra con gli Accordi Sykes/Picot, piano che non ha ancora cessato di esercitare i suoi effetti perversi.

3.Le steppe pontiche (u-Krajine=sulla frontiera)

La cultura “Jamnaja” (“delle tombe a pozzo”)  si colloca fra una fase tarda dell’età del rame e l’inizio  dell’età del bronzo, nella regione  fra il Bug e il Dnestr e gli Urali (la steppa pontica), in un periodo che va dal XXXVI al XXIII secolo a.C.. Si ritiene che gli Jamnaja siano stati i primi domesticatori di cavalli per uso di trasporto cavaliere e di carri con ruote, che avevano facilitato gli spostamenti e diffuso questa tecnologia. I resti del più arcaico carro con ruote trainato da cavalli, sono stati trovati nel kurgan della “Storožova mohyla” (Dniepropetrovsk, oggi Dniprò”), in Ucraina. Il sito sacrificale di Luhansk (Lugansk, nel Donbass, al centro degli attuali combattimenti) recentemente scoperto, è stato descritto come un santuario collinare dove si praticavano sacrifici umani..

Anche grazie ai cavalli, gli Jamnaja furono un popolo particolarmente guerriero e conquistatore (gli “Ariani”), che si espanse rapidamente tanto in Europa, quanto in Asia. Dopo di essi, attraversarono le steppe pontiche Sciti, Sarmati, Unni, Avari, Bulgari, Khazari, Peceneghi .Questi ultimi sono i  Polovesiani (Polovcy), di cui narra il Canto del Principe Igor (anno 1080)e a cui sono dedicate le “Danze Polovesiane”.

Dopo secoli di combattimenti che coinvolsero  molti popoli dell’ area -Bizantini, Bulgari, Rus’ di Kiev, Cazari e Magiari-,nel XIII Secolo,l’Impero Mongolo conquistò, fa le altre cose, le attuali Ucraina e Russia. Una delle principali battaglie per la liberazione delle stesse fu la Battaglia di Kulikovo, sul Don, sotto la guida di Dmitri Donskoj, nel 1378.

L’Ucraina fece poi parte di quella serie di fortificazioni al confine con l’ Impero Ottomano (che andavano dell’ Impero austriaco, della Polonia e della Russia) dette Krajine (confini). Esse furono custodite da guerrieri di origini internazionali (Giannizzeri, Granicari, Graenzer, Serbi, Hajduk, Honved, Karaim, Lipka Tatarlar). Nell’ attuale Ucraina, essi si chiamarono Cosacchi, da un termine turco che significa “cavalieri delle steppe”, e la Krajina polacca e russa si chiamò “Ukrajina”. Il suo cuore era costituito dalle fortezze sul Dniepr (Zaporishkaja Sich). Si combatté in quest’area fra Cosacchi, Turchi, Polacchi, Svedesi e Russi. Vi furono anche due importanti rivolte di Cosacchi: quella di Stenka Razin e quella di Pugaciov.

La Guerra di Crimea costituì uno snodo fondamentale della storia europea, come testimonia il suo ruolo  nella unificazione italiana, vedendo essa la nascita di una coalizione antirussa a cui partecipò il Regno di Sardegna, anticipatrice dell’ attuale “Kollektiv Zapada”, che contende alla Russia l’egemonia sulla Europa Orientale.

Durante la Guerra Civile Russa, l’Oriente dell’ Ucraina fu sede della repubblica di Kharkiv,  dell’ effimero Stato “bianco” di Denikin, della repubblica anarchica di Makhnò e di quelle sovietiche del Donbass e Krivoj Rog. Successivamente alla vittoria sovietica, quelle regioni patirono in modo particolare l’Holodomor (la carestia nella Russia Meridionale), e la “campagna di dekulakizzazione”.

L’invasione e la spartizione della Polonia dopo il Patto Molotov Ribbentrop comportò lo scatenamento della guerra in tutta la regione pontica. Bandera e l’UPA, addestrati a Praga sotto l’egida di Rosenberg,  entrarono a Leopoli in divise naziste, proclamando lo Stato indipendente ucraino, a cui si riallaccia l’attuale narrativa “nazionale” ucraina.

La battaglia di Stalingrado, decisiva per le sorti del conflitto, si svolse precisamente all’ incontro fra Don e Volga. L’area fra il Dniepr e il Volga fu il centro di fondamentali combattimenti fra l’Esercito Tedesco, spalleggiato da truppe italiane, rumene, ungheresi, francesi, slovacche, croate, e scandinave e da volontari anticomunisti di tutta Europa, dei Paesi arabi, dell’Asia Centrale e dell’India, e, dall’ altra, l’Armata Rossa.

La resa di von Paulus a Stalingrado e la “ritirata di Russia” delle truppe dell’Asse segnarono l’inizio della sconfitta di Hitler.

Su tutto questo si può consultare il nostro libro “Ucraina no a un’inutile strage”.

Questo scalpore è giustificato soprattutto dal fatto che la “Guerra Mondiale a Pezzi”, oramai non più tanto a pezzi, sta scalfendo una gran quantità di luoghi comuni impostici da decenni dai media occidentali. Fra questi, il più pernicioso è stato quello relativo alla presunta  “imminenza della Pace Perpetua”, veicolato dalla retorica delle Organizzazioni Internazionali e dell’ Unione Europea.

Mentre le Nazioni Unite  hanno appena fatto il punto sulla loro pretenziosa Agenda 2030, esse si vedono addirittura attaccate militarmente da uno dei propri membri, che l’accusa di essere troppo imparziali nel conflitto con i Palestinesi, mentre invece, secondo Israele, questi ultimi sarebbero  dei “terroristi”, da sterminarsi semplicemente, senza curarsi del diritto internazionale umanitario. I Caschi Blu dovrebbero quindi farsi da parte in seguito a semplici intimazioni dell’Esercito Israeliano (che, tra l’altro, non si capisce perché improvvisamente sia diventato per tutti “IDF”, all’Americana, anziché, in Ebraico, “Tsahal”), e, in caso contrario, rassegnarsi ad essere cannoneggiati. Come se non bastasse, lo stesso Segretario Generale dell’ ONU viene praticamente messo al bando da Israele, immemore del fatto che la sua stessa creazione era stata opera dell’ ONU.

Non che le critiche di Israele siano del tutto infondate. L’inasprirsi della crisi dimostra la debolezza della funzione di “Peace-Keeping” internazionale, ma ciò non è ”colpa” di nessuno:  è la Post-Modernità che, qui come altrove, mette a nudo le contraddizioni della Modernità, due fra le quali riguardano, tra l’altro, proprio Israele e l’ ONU. Su Israele c’è da chiedersi se sia veramente, come pretendeva Herzl, uno “Stato laico”, nel qual caso non si comprenderebbe tutta quest’ansia di ristabilire i confini biblici (Yisrael ha-Shelomah), di ricostruire il Tempio e di usare la Torah come unica vera Costituzione. D’altronde, visto che Israele non è una “razza” bensì un “popolo” etno-culturale,  esso non esisterebbe nemmeno se non ci fossero la Bibbia e la sua lingua. Di converso, i Neturei Karta combattono l’idea di uno Stato ebraico nel tempo presente (tempo che ritengono ancora di esilio), poiché ritengono contrario all’autentica tradizione religiosa ebraica lo  stabilirlo senza aspettare che Erets Israel venga esplicitamente donata dall’Altissimo.  Pertanto, la pretesa sionista di costituire uno “Stato ebraico laico” sarebbe semplicemente l’ennesima  “hybris” di alcuni eresiarchi, né più né meno di quella dei “Costruttori di Dio” cristiani o dei Baha’i persiani (che, guarda caso, hanno sede proprio in Israele): un’ennesima manifestazione di quella “religione secolarizzata” che è al centro della Modernità.

Queste religioni secolarizzate, che, con Lessing, pretendono di realizzare sulla terra le promesse escatologiche delle religioni tradizionali, paradossalmente, in ossequio all’Eterogenesi dei Fini, mentre propugnano la Pace Perpetua, stanno trasformando le religioni in strumenti di lotta fra le diverse parti del mondo (Singularity contro  Tradizione; Hindutva contro Shari’a), perché, abbandonate le pretese di salvezza individuale,  sono divenute semplicemente la divinizzazione della volontà di potenza dei singoli Stati-Civiltà. Del resto, anche il Puritanesimo è una versione secolarizzata del Protestantesimo, così come la il “socialismo islamico” lo è dell’Islam. L’ accusa di “integralismo”rivolta tradizionalmente alle versioni “conservatrici” (“quietiste”) delle singole religioni, si rivela invece adeguata solo alle loro emulazioni laicistiche, come la “religione dell’ umanità di Saint Simon, il Sionismo e la “Nazione dell’ Islam”, camuffamenti dell’espansionismo di popoli che si pretendono “superiori”.

Di qui anche la sterilità delle Chiese ufficiali ( succubi neppur troppo copertamente di quelle religioni secolarizzate), le quali continuano a predicare la pace senza più trovare argomenti concreti a favore della stessa.

Ma  contraddittoria è anche la natura stessa dell’ ONU, nata proprio dalla pretesa del progressismo puritano, espressa alla sua fondazione da Eleanor Roosevelt, di imporre la Pace Perpetua. Tale pace perpetua avrebbe costituito il suggello del progetto messianico americano quale espresso da Winthrop, Cotton Mather, Emerson, Whitman, Friske e Wilkie. Non per nulla il Palazzo di Vetro è situato nel cuore di Manhattan, sotto il completo controllo dell’America. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata l’ ultima delle guerre perchè poi tutto il mondo sarebbe stato diretto dalla “ragnatela delle istituzioni dirette da Washington”(cfr. Ikenberry).

Sono stati i fatti stessi a ribellarsi a questa proteiforme “hybris”. I conflitti attualmente in corso non sono nati ieri, bensì parecchi millenni fa, e continuano a riproporsi sempre negli stessi termini: l’uno, lungo fra il Don, il Donetz e il Dniepr, fra i popoli indo-europei e turcici dei Kurgan e delle steppe, e, l’altro, fra “Il Fiume d’ Egitto” e l’Eufrate, fra popoli semitici e hamitici dei deserti. Dietro a tutto ciò ci sono, da un lato, la “Distinzione mosaica” (fra Vero e Falso, cfr. Jan Assmann), dall’ altro la pretesa di tutti i contendenti d’incarnare una divina volontà di pace e giustizia, che trae le proprie radici dal mondo antico, e precisamente da quella Persia (Eranshahr) che è oggi il vero antagonista di Israele (perché entrambi perseguono la stessa utopia).  Ed è fra Egitto, Persia e Palestina che nasce la pretesa millenarista. Questi destini sono stati configurati dalla geografia: sono  collocati ai punti di passaggio obbligati fra l’Asia e, da un lato, l’Europa, e, dall’ altro l’Africa, che tutti i contendenti pretendono di tenere sotto il proprio controllo. Le illusioni postmoderne di risolverli “con una bacchetta magica” in base a formule astratte sta scontrandosi con la realtà, e la sta perfino peggiorando.

La sopravvivenza dell’Umanità è stata uno degli obiettivi di base di ogni cultura. Nel mondo moderno iperconnesso, quest’obiettivo richiede uno sforzo congiunto di tutti i popoli. Nel mondo ipertecnologico delle Macchine Intelligenti, senza questo sforzo è assicurata la Fine dell’Uomo: come aveva riconosciuto Kant, la Pace Perpetua si rivela come un grande cimitero.

Per questo, a partire dal Sacro Romano Impero e dal re hussita  Podiebrad, e poi via via attraverso Postel, Crucé, Saint-Pierre, Pufendorf, Novalis, Nicola II, Coudenhove Kalergi, Wilson,  Spinelli, si è venuta configurando una teoria delle organizzazioni internazionali. Teoria che comunque non indica  alcun antidoto all’ incombente mortalità del cosmo, dell’ Umanità e delle civiltà. Anche alla luce dell’ esperienza, occorre ora perciò un approccio più realistico, secondo cui la Storia non finirà con un evento taumaturgico, bensì presumibilmente con il suicidio dell’ Umanità (vedi bomba atomica, Singularity, Terza Guerra Mondiale, surriscaldamento atmosferico, denatalità), e perciò il nostro compito ragionevole è, nella migliore delle ipotesi, “salvare il Cosmo”, almeno  finché sarà possibile (il Katèchon), e per il resto attendere la Fine, che, secondo la tradizione cristiana, “verrà come un ladro nella notte”. L’ebraismo ha un’eccezionale espressione a questo proposito: “Tikkun ha-Olam” (“riparare il mondo”), che non è l’impossibile “Raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Kant, Berlin), bensì si apparenta a quella quotidiana ricostruzione del Divino attraverso i Riti di cui parla anche Eliade.

1.Il Paese degli Ariani (Iran)

L’eternità delle guerre in corso è dimostrato dalle vicende (pre-istoriche, storiche e post-istoriche) delle tre aree in questione: la Persia, la  Palestina e le Steppe Pontiche.

Una delle opere  che più hanno inciso sulla formazione della cultura postmoderna è il “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, sconcertante, da un lato, perché è talmente ben costruito, da poter rappresentare, letterariamente, e perfino linguisticamente, quasi un “sequel” del  Zand i Bahman Yasn, il principale libro sacro zoroastriano, ma, dall’ altro, perché costituisce una sorta d’implicita ritrattazione della dottrina zoroastriana di una lotta cosmica fra un Dio del Male e un Dio del Bene, quest’ultimo rappresentato sulla terra dal sovrano achemenide.

Lo zoroastrismo rappresenterà così il modello prototipico del messianesimo ebraico e degl’imperi provvidenziali  cristiani e islamici successivi. Non per nulla la nascita di Cristo è salutata, per primi, “nella pienezza dei Tempi”, dai Re Magi. I Persiani zoroastriani sconfiggeranno  e imprigioneranno l’imperatore romano Valeriano, per poi essere a loro volta sconfitti dalle armate islamiche. C’è  anche da chiedersi in che misura l’idea di Jihad, così centrale nell’ Islam, non sia che un’eredità della guerra santa dell’imperatore persiano contro Angra Mayniu. Del resto, uno dei compagni di Maometto era il “Principe di Persia”. La Persia ha mantenuto il proprio spirito  antagonistico alimentando sette islamiche rivoluzionarie, come gli Shi’iti, i Carmati e gli Assassini, e varie religioni post-zoroastriane, come il Manicheismo, il Mazdakisno e il Paulicianesimo (poi reincarnatosi in Europa nel Bogumilismo e nel Catarismo) Più recentemente, la Persia ha generato nuove sette molto inclini al Technological Sublime, come i Baha’i, e, dentro l’Islam, gli Hojjatiyye.

I Persiani continueranno a costituire un elemento di disordine nel Medio Oriente, poiché, memori  di quelle antiche glorie, ambiscono ancor sempre a dominarlo, se non altro culturalmente, con la loro letteratura e le influenze delle loro lingue, e perciò non accettano l’egemonia culturale, né dell’ Occidente, né degli Arabi, né dei Sunniti, né di Israele. La rivoluzione khomeinista, che si presentò come alternativa al mondo islamico sunnita, continua dunque la tradizione messianica e rivoluzionaria dello zoroastrismo, per altro ancora vivo e vegeto nel Paese, e spesso richiamato dai dissidenti anti-khomeinisti.

Ma i veri eredi dello Zoroastrismo sono i progressisti occidentali, i quali hanno trasfuso nel progressismo laicista l’enfasi posta dai Persiani nell’Apocalisse, intesa come conquista del mondo da parte di un Salvatore (Shaoshant) sotto la guida di Ahura Mazda, e la conseguente vittoria del Bene Assoluto sul Male Assoluto. D’altronde, gli Hojjatiyye considerano l’invenzione di Internet come un segno dell’avvicinarsi dell’avvento del Mahdi.

Invece, le cosiddette “autocrazie”, nemiche dell’ Occidente progressista, sono  i veri epigoni culturali degli antichi Greci, in quanto culture tragiche, belliciste e aristocratiche sul modello degli Spartani delle Termopili, a cui  sembrano ispirati i vari al-Qaida, ISIS, Hamas e Hezbollah, con i loro leaders che cercano la morte gloriosa in battaglia. Significativamente, come racconta Erodoto, il generale persiano Mardonio, dopo avere represso la rivolta della Ionia, impone alle poleis locali d’instaurare governi democratici in sostituzione di quelli aristocratici che si erano ribellati alla Persia.

2.Peleset, Peleshtim, Filastin

Sin dall’antichità l’egemonia degli Hyksos venne identificata con il soggiorno in Egitto degli Ebrei, e, in particolare, con le storie bibliche di Giuseppe e Mosè. Gli Hyksos (Heka khasut, cioè “i capi di un Paese straniero” )giunsero in Egitto  attorno al 1700 a.C.,  portandovi il   cavallo e il carro da guerra.

Dopo l’Esodo dall’Egitto, cominciava la conquista di Cana’an da parte del popolo ebraico. I “Revisionisti Israeliani” (p.es., Finkielkraut) sostengono che una vera e propria “Conquista di Canaan” intesa come grande campagna militare, non è mai avvenuta, e si è invece trattato di un graduale spostamento di popoli, dalle rive del Mare Mediterraneo, alle colline della Palestina. Sia come sia, si era sviluppata comunque di una guerriglia continua, a cui ben si confanno le descrizioni contenute in tutta la Bibbia, per altro facilmente sovrapponibili a quelle attuali di Gaza, della Cisgiordania e del Libano:“due dei figli di Giacobbe, Simeone e Levi, fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, assalirono la città che si riteneva sicura, e uccisero tutti i maschi.” – “Passarono a fil di spada anche Camor e suo figlio Sichem, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono.” – “I figli di Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro sorella era stata disonorata” – “presero le loro greggi, i loro armenti, i loro asini, quanto era nella città e nei campi.” – “Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini, le loro mogli e tutto quello che si trovava nelle case….“

Queste vicende ricalcano inoltre quella della Guerra di Troia, narrata dalla letteratura greca, e quelle documentate nei monumenti dei sovrani mesopotamici e nei poemi ittiti, hurritici e mitannici.

Il meccanismo è sempre lo stesso: Dio, attraverso i profeti, incita il popolo ebraico a conquistare le diverse città di Canaan, sterminandone gli abitanti. La scena si ripete all’ infinito. Vengono menzionati infiniti popoli e città: Amalek; Og; Sicon; Madian;Gerico ; Ai; Gabaon; Machedda; Libna;Eglon; Ebron;Debir;i Ferezei;Gerusalemme;Sefat;Moav;Succot;Lais; i Filistei;Ammon;Galgala;gli Aramei;i Siriani;Tifsach…

Tutto ciò è confermato dalle Lettere di Tell el-Amarna, che dimostrano come le città cananee si lamentassero con il Faraone degli attacchi di popolazioni barbare, che essi definivano come “Habiru” o “Jahu.”

Sulla Stele di Merneptah ( 1200 circa a.C.), è narrato l’esito vittorioso di una spedizione militare, al seguito della quale :”Ysyrỉ3r fk.t;bn      pr.t =f” (“Ysrỉr è desolato;il seme suo non c’è”)

Da vari studiosi moderni, Ysrỉr viene identificato con Israele. Si tratterebbe pertanto della prima testimonianza storica relativa al popolo ebraico. Il nome Ysrỉr non è accompagnato, come accade per le città o stati presenti nella lista, dall’ideogramma raffigurante tre montagne stilizzate indicante un regno. L’ideogramma associato invece, un uomo e una donna, indica una popolazione di natura nomade.Invece, i Palestinesi (Filistei, Peleset, Peleshtim, Filastin), sono spesso identificati con uno dei  Popoli del Mare che vediamo sbarcare sulla parete del tempio di Medinet Habu , Sherden, Sheklesh, Ekwesh .

Questa conflittualità ricorrente  ricorda i tentativi egemonici attribuiti dalla Bibbia ai regni di Davide e Salomone, le invasioni babilonesi, assire, persiane e macedoni, fino alle Guerre Giudaiche e all’inizio della Diaspora.

Di non minore importanza, per il Levante, le, questa volta documentatissime, Crociate volte a riconquistare la Terra Santa dal dominio islamico, le quali che durarono circa 600 anni. La prima (1096-1099) permise di istituire i primi quattro Stati crociati: la Contea di Edessa, il Principato di Antiochia, il Regno di Gerusalemme e la Contea di Tripoli. A livello popolare, essa scatenò un’ondata di rabbia cattolica che si espresse nei massacri degli ebrei  e il violento trattamento dei cristiani ortodossi “scismatici” dell’est.

La protezione dei Cristiani in Terrasanta costituì poi il pretesto per la Guerra di Crimea, e il Libano è stato anch’esso oggetto di violente dispute fra comunità religiose, che hanno portato a varie guerre civili (cfr. infra).

Infine, la stessa  nascita dello Stato di Israele si inserisce in un piano di destabilizzazione del Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, posto in essere da Francia e Inghilterra con gli Accordi Sykes/Picot, piano che non ha ancora cessato di esercitare i suoi effetti perversi.

3.Le steppe pontiche (u-Krajine=sulla frontiera)

La cultura “Jamnaja” (“delle tombe a pozzo”)  si colloca fra una fase tarda dell’età del rame e l’inizio  dell’età del bronzo, nella regione  fra il Bug e il Dnestr e gli Urali (la steppa pontica), in un periodo che va dal XXXVI al XXIII secolo a.C.. Si ritiene che gli Jamnaja siano stati i primi domesticatori di cavalli per uso di trasporto cavaliere e di carri con ruote, che avevano facilitato gli spostamenti e diffuso questa tecnologia. I resti del più arcaico carro con ruote trainato da cavalli, sono stati trovati nel kurgan della “Storožova mohyla” (Dniepropetrovsk, oggi Dniprò”), in Ucraina. Il sito sacrificale di Luhansk (Lugansk, nel Donbass, al centro degli attuali combattimenti) recentemente scoperto, è stato descritto come un santuario collinare dove si praticavano sacrifici umani..

Anche grazie ai cavalli, gli Jamnaja furono un popolo particolarmente guerriero e conquistatore (gli “Ariani”), che si espanse rapidamente tanto in Europa, quanto in Asia. Dopo di essi, attraversarono le steppe pontiche Sciti, Sarmati, Unni, Avari, Bulgari, Khazari, Peceneghi .Questi ultimi sono i  Polovesiani (Polovcy), di cui narra il Canto del Principe Igor (anno 1080)e a cui sono dedicate le “Danze Polovesiane”.

Dopo secoli di combattimenti che coinvolsero  molti popoli dell’ area -Bizantini, Bulgari, Rus’ di Kiev, Cazari e Magiari-,nel XIII Secolo,l’Impero Mongolo conquistò, fa le altre cose, le attuali Ucraina e Russia. Una delle principali battaglie per la liberazione delle stesse fu la Battaglia di Kulikovo, sul Don, sotto la guida di Dmitri Donskoj, nel 1378.

L’Ucraina fece poi parte di quella serie di fortificazioni al confine con l’ Impero Ottomano (che andavano dell’ Impero austriaco, della Polonia e della Russia) dette Krajine (confini). Esse furono custodite da guerrieri di origini internazionali (Giannizzeri, Granicari, Graenzer, Serbi, Hajduk, Honved, Karaim, Lipka Tatarlar). Nell’ attuale Ucraina, essi si chiamarono Cosacchi, da un termine turco che significa “cavalieri delle steppe”, e la Krajina polacca e russa si chiamò “Ukrajina”. Il suo cuore era costituito dalle fortezze sul Dniepr (Zaporishkaja Sich). Si combatté in quest’area fra Cosacchi, Turchi, Polacchi, Svedesi e Russi. Vi furono anche due importanti rivolte di Cosacchi: quella di Stenka Razin e quella di Pugaciov.

La Guerra di Crimea costituì uno snodo fondamentale della storia europea, come testimonia il suo ruolo  nella unificazione italiana, vedendo essa la nascita di una coalizione antirussa a cui partecipò il Regno di Sardegna, anticipatrice dell’ attuale “Kollektiv Zapada”, che contende alla Russia l’egemonia sulla Europa Orientale.

Durante la Guerra Civile Russa, l’Oriente dell’ Ucraina fu sede della repubblica di Kharkiv,  dell’ effimero Stato “bianco” di Denikin, della repubblica anarchica di Makhnò e di quelle sovietiche del Donbass e Krivoj Rog. Successivamente alla vittoria sovietica, quelle regioni patirono in modo particolare l’Holodomor (la carestia nella Russia Meridionale), e la “campagna di dekulakizzazione”.

L’invasione e la spartizione della Polonia dopo il Patto Molotov Ribbentrop comportò lo scatenamento della guerra in tutta la regione pontica. Bandera e l’UPA, addestrati a Praga sotto l’egida di Rosenberg,  entrarono a Leopoli in divise naziste, proclamando lo Stato indipendente ucraino, a cui si riallaccia l’attuale narrativa “nazionale” ucraina.

La battaglia di Stalingrado, decisiva per le sorti del conflitto, si svolse precisamente all’ incontro fra Don e Volga. L’area fra il Dniepr e il Volga fu il centro di fondamentali combattimenti fra l’Esercito Tedesco, spalleggiato da truppe italiane, rumene, ungheresi, francesi, slovacche, croate, e scandinave e da volontari anticomunisti di tutta Europa, dei Paesi arabi, dell’Asia Centrale e dell’India, e, dall’ altra, l’Armata Rossa.

La resa di von Paulus a Stalingrado e la “ritirata di Russia” delle truppe dell’Asse segnarono l’inizio della sconfitta di Hitler.

Su tutto questo si può consultare il nostro libro “Ucraina no a un’inutile strage”.

4.Urgenza della riforma delle Organizzazioni Internazionali

Come scrivevamo, la pace e la Fine della Storia erano state da sempre al centro degli sforzi per la creazione di un’ organizzazione internazionale, a partire dal trattato per la “Pax Aeterna” fra l’Impero romano e quello partico, per passare al “Landfridt” della Dieta di Worms, continuando con il Nouveau Cynée di Emeric Crucé e il Trattato per la Pace Perpetua di Saint-Pierre, con i suoi commenti da parte dei grandi illuministi, fino alla Santa Alleanza e alle conferenze per  la Pace di fine ‘800. Tutti questi movimenti non arrestarono minimamente le moltissime guerre degli ultimi due millenni. Men che mai a ciò servirono la Società delle Nazioni e le Nazioni Unite.

Infatti, premesso che un certo grado di conflittualità è inevitabile se si vuole  evitare un totalitario potere mondiale (lo Stato Mondiale di Juenger), un certo qual controllo di tale conflittualità è possibile solo se : (i) si accetta un certo grado di imperfezione delle cose umane; (ii)si mettono sul tavolo le reali cause dei conflitti.

Non per nulla l’attuale situazione è nata dal fallimento della pretesa internazionalistica del bolscevismo, e dalla conseguente sostituzione dell’URSS con la Comunità di Stati Indipendenti (tutt’ora viva e vegeta).

Orbene, oggi, quelle due condizioni non sembrano soddisfatte.

Quanto alla prima, tutti, compresi i promotori di un nuovo ordine mondiale (tranne la Cina), si propongono quali portatori di un’idea salvifica millenaristica di ordinamento internazionale, quand’anche differente tanto da quella sovietica, quanto  da quella americana.

Quanto alla seconda, nessuno sta  considerando che la reale causa dei conflitti, seppure parziali, in corso, risale alla pretesa occidentale di creare un potere mondiale unitario, pretesa contestata dalle altre parti del mondo. Prima di iniziare l’Operazione Militare Speciale, la Russia e la Cina avevano espresso chiaramente questo loro obiettivo di sventare il progetto americano di “Fine della Storia” attraverso la creazione di nuovi “paesi satelliti”, come l’Ucraina e Taiwan, destinati a corrodere l’identità di Russia e Cina, per sostituirle con piccoli Stati teleguidati dall’ Occidente (come accaduto per esempio con i Baltici o con l’Iraq “cantonalizzato”).

Andare incontro alle esigenze di tutti significa invece riconoscere Cina, Russia, Iran, Corea del Nord (ma anche India, Brasile, Cuba), come interlocutori pienamente legittimi e “di pari grado”, senza progettare la loro distruzione e sostituzione con nuovi Stati “rivoluzionari”, come faceva a suo tempo l’URSS.

Più in generale, i conflitti nel mondo si potranno almeno attutire quando tutte le grandi aree del mondo possederanno un loro ecosistema digitale autonomo, corrispondente alla loro specifica identità, e non potranno più, di conseguenza, essere controllati centralmente a distanza da Salt Lake City, dalla Silicon Valley o da Langley.

L’allargamento  dei BRICS a inizio 2024 verso Iran, Etiopia, Egitto ed EAU e il vertice dei BRICS, attualmente in corso a Kazan’, iniziano a configurare, nella pratica, la visione cinese di una coalizione di stati capaci di sfidare l’egemonia occidentale. Oggigiorno, i BRICS rappresentano il 45 percento della popolazione mondiale e una quota del Pil (PPP) che supera quella del G7. Nonostante che i BRICS, su carta, ben supportino l’agenda di Pechino,  la Cina è consapevole che, all’interno del gruppo, continuano a sussistere tensioni che potrebbero andare ad inficiare la coesione del progetto e il raggiungimento di obiettivi comuni. Paesi come India e Brasile, soprattutto, seppur partecipino attivamente alla vita dei BRICS, non mantengono le medesime posizioni anti-occidentali di Cina e Russia.

Manca però ancora un discorso culturale unificante, in grado di cogliere, pur salvaguardando la “poliedricità” del mondo, dei punti di incontro, per esempio, fra il socialismo con caratteristiche cinesi, il conservatorismo russo, il terzomondismo tradizionale, il panislamismo e l’hindutva, alla luce della transizione verso l’era delle Macchine Intelligenti.

Per questo, nessuno è stato ancora in grado di formulare proposte motivate circa la fine dei conflitti in corso, o almeno per una tregua.Per quanto riguarda il caso ucraino, avevamo indicato che una soluzione potrebbe venire dal riconoscimento del carattere europeo di Russia e Turchia, il che porterebbe automaticamente a un ruolo centrale dell’ Ucraina, e conseguentemente al venir meno della conflittualità fra questi tre poli.

Qualcosa di analogo potrebbe avvenite anche con Israele, nell’ ambito di una “Magna Europa” fondata, non già come l’Occidente attuale, sulle religioni secolarizzate, bensì sul ritorno all’humus culturale comune dell’ “Epoca Assiale” (cfr. Simone Weil, Saint-Exupéry, Eisenstadt, Eliade, Assmann, Frankopan).

 
 
 
 
 
 

4.Urgenza della riforma delle Organizzazioni Internazionali

Come scrivevamo, la pace e la Fine della Storia erano state da sempre al centro degli sforzi per la creazione di un’ organizzazione internazionale, a partire dal trattato per la “Pax Aeterna” fra l’Impero romano e quello partico, per passare al “Landfridt” della Dieta di Worms, continuando con il Nouveau Cynée di Emeric Crucé e il Trattato per la Pace Perpetua di Saint-Pierre, con i suoi commenti da parte dei grandi illuministi, fino alla Santa Alleanza e alle conferenze per  la Pace di fine ‘800. Tutti questi movimenti non arrestarono minimamente le moltissime guerre degli ultimi due millenni. Men che mai a ciò servirono la Società delle Nazioni e le Nazioni Unite.

Infatti, premesso che un certo grado di conflittualità è inevitabile se si vuole  evitare un totalitario potere mondiale (lo Stato Mondiale di Juenger), un certo qual controllo di tale conflittualità è possibile solo se : (i) si accetta un certo grado di imperfezione delle cose umane; (ii)si mettono sul tavolo le reali cause dei conflitti.

Non per nulla l’attuale situazione è nata dal fallimento della pretesa internazionalistica del bolscevismo, e dalla conseguente sostituzione dell’URSS con la Comunità di Stati Indipendenti (tutt’ora viva e vegeta).

Orbene, oggi, quelle due condizioni non sembrano soddisfatte.

Quanto alla prima, tutti, compresi i promotori di un nuovo ordine mondiale (tranne la Cina), si propongono quali portatori di un’idea salvifica millenaristica di ordinamento internazionale, quand’anche differente tanto da quella sovietica, quanto  da quella americana.

Quanto alla seconda, nessuno sta  considerando che la reale causa dei conflitti, seppure parziali, in corso, risale alla pretesa occidentale di creare un potere mondiale unitario, pretesa contestata dalle altre parti del mondo. Prima di iniziare l’Operazione Militare Speciale, la Russia e la Cina avevano espresso chiaramente questo loro obiettivo di sventare il progetto americano di “Fine della Storia” attraverso la creazione di nuovi “paesi satelliti”, come l’Ucraina e Taiwan, destinati a corrodere l’identità di Russia e Cina, per sostituirle con piccoli Stati teleguidati dall’ Occidente (come accaduto per esempio con i Baltici o con l’Iraq “cantonalizzato”).

Andare incontro alle esigenze di tutti significa invece riconoscere Cina, Russia, Iran, Corea del Nord (ma anche India, Brasile, Cuba), come interlocutori pienamente legittimi e “di pari grado”, senza progettare la loro distruzione e sostituzione con nuovi Stati “rivoluzionari”, come faceva a suo tempo l’URSS.

Più in generale, i conflitti nel mondo si potranno almeno attutire quando tutte le grandi aree del mondo possederanno un loro ecosistema digitale autonomo, corrispondente alla loro specifica identità, e non potranno più, di conseguenza, essere controllati centralmente a distanza da Salt Lake City, dalla Silicon Valley o da Langley.

L’allargamento  dei BRICS a inizio 2024 verso Iran, Etiopia, Egitto ed EAU e il vertice dei BRICS, attualmente in corso a Kazan’, iniziano a configurare, nella pratica, la visione cinese di una coalizione di stati capaci di sfidare l’egemonia occidentale. Oggigiorno, i BRICS rappresentano il 45 percento della popolazione mondiale e una quota del Pil (PPP) che supera quella del G7. Nonostante che i BRICS, su carta, ben supportino l’agenda di Pechino,  la Cina è consapevole che, all’interno del gruppo, continuano a sussistere tensioni che potrebbero andare ad inficiare la coesione del progetto e il raggiungimento di obiettivi comuni. Paesi come India e Brasile, soprattutto, seppur partecipino attivamente alla vita dei BRICS, non mantengono le medesime posizioni anti-occidentali di Cina e Russia.

Manca però ancora un discorso culturale unificante, in grado di cogliere, pur salvaguardando la “poliedricità” del mondo, dei punti di incontro, per esempio, fra il socialismo con caratteristiche cinesi, il conservatorismo russo, il terzomondismo tradizionale, il panislamismo e l’hindutva, alla luce della transizione verso l’era delle Macchine Intelligenti.

Per questo, nessuno è stato ancora in grado di formulare proposte motivate circa la fine dei conflitti in corso, o almeno per una tregua.Per quanto riguarda il caso ucraino, avevamo indicato che una soluzione potrebbe venire dal riconoscimento del carattere europeo di Russia e Turchia, il che porterebbe automaticamente a un ruolo centrale dell’ Ucraina, e conseguentemente al venir meno della conflittualità fra questi tre poli.

Qualcosa di analogo potrebbe avvenite anche con Israele, nell’ ambito di una “Magna Europa” fondata, non già come l’Occidente attuale, sulle religioni secolarizzate, bensì sul ritorno all’humus culturale comune dell’ “Epoca Assiale” (cfr. Simone Weil, Saint-Exupéry, Eisenstadt, Eliade, Assmann, Frankopan).

 
 
 
 
 
 

LA “SCONFITTA DELL’ OCCIDENTE”

per Emmanuel Todd, dipende dal suo nichilismo

Per quanto l’idea di un Declino dell’ Occidente sia oramai entrata addirittura a far parte dei luoghi comuni, l’ultimo libro di Todd (ovviamente subito attaccato in modo furibondo dalla stampa dell’establishment) riesce ancora a  distinguersi per la sua originalità, consistente in una lettura molto più analitica del consueto dei vari anelli che ci congiungono  con la transizione geopolitica oramai atto sotto i nostri occhi.

1.Nichilismo e decadenza

Innanzitutto, il ruolo, nella decadenza dell’Occidente, del nichilismo, concepito come  l’incapacità, tanto del pensiero, quanto delle religioni, occidentali, di risolvere in modo credibile le proprie contraddizioni, per giungere  fino al momento attuale, in cui le nostre società non hanno addirittura più alcun fondamento logico, né esistenziale, su cui posare. Quell’essere “auf nichts gestellt” anticipato già da Goethe, e ripreso perfino da Spinelli nei suoi diari “notturni”.

Un nichilismo che, per Todd (e per tanti altri), è coevo e coestensivo della moderna secolarizzazione, ma che, invece, a mio avviso, trova le proprie radici molti secoli, se non millenni,prima: già nelle teologie negative, nei presocratici, nella tragedia greca e nella Patristica, il che fa, del “Tramonto dell’ Occidente” un dramma da gran tempo annunziato.

Come sostenevano brillantemente già Hegel, Nietzsche e Weber, anche per Todd “il cristianesimo è stato la matrice religiosa  di ogni nostra successiva credenza collettiva”. La crisi dell’Occidente viene perciò ricondotta, in modo per altro non molto originale,  alla crisi dell’ identificazione fra “Cristianità ed Europa”, per dirla con la fortunata formula di Novalis. O, come aveva scritto il giurista Boeckenfoerde, “La modernità vive di premesse ch’essa non può garantire”

Ciò è particolarmente vero, per Todd, nei Paesi protestanti, dove la religione civile moderna s’identificava proprio con un millenarismo secolarizzato(cfr. Max Weber), mirabilmente espresso da William Blake:

“And did those feet in ancient time
Walk upon England’s mountains green?
And was the holy Lamb of God
On England’s pleasant pastures seen?

And did the Countenance Divine
Shine forth upon our clouded hills?
And was Jerusalem builded here
Among these dark Satanic mills?

Bring me my bow of burning gold:
Bring me my arrows of desire:
Bring me my spear: O clouds unfold!
Bring me my chariot of fire.

I will not cease from mental fight,
Nor shall my sword sleep in my hand
Till we have built Jerusalem
In England’s green and
pleasant land.

Orbene,  se tale era l’obiettivo originario della Modernità – quello di realizzare nell’ immanenza gli obiettivi perseguiti nella trascendenza dalle religioni di salvezza-, è proprio questa “Religione Civile” quella che non funziona più, rendendo quest’Occidente a guida anglosassone particolarmente debole nei confronti del resto del mondo.

La secolarizzazione dell’ Occidente ha seguito ovunque, per Todd, varie fasi, di cui citiamo qui solo le ultime:

-una prima, definita come “zombi”, “in cui perdurava la maggior parte dei costumi e dei valori della religione ormai scomparsa (in particolare, la capacità di agire collettivamente)”.Esempio tipico:L’idea delle “Radici cristiane dell’ Europa”, che significa che il Cristianesimo è già finito, sostituito dalla Religione del Progresso, che utilizza dei valori cristiani come base per la propria etica;

-la seconda, quella attuale, definita come “stato zero”: “un vuoto religioso assoluto, in cui gli individui sono privi di ogni credenza religiosa sostitutiva”. E, quindi, anche di una serie di corollari, quali “il sentimento nazionale, l’etica del lavoro, una morale sociale vincolante, la capacità di sacrificarsi per la comunità”.E’ la società attuale, in cui, alla mancanza di fondamenti culturali, subentrano gli automatismi della società del controllo totale.

2.Nichilismo e guerra in Ucraina

Secondo Todd, la logica di questa transizione sarebbe messa in definitiva evidenza dalla guerra in Ucraina, che, secondo quest’autore, sarebbe stata scatenata nel 2022 dai Russi in base ad una valutazione obiettiva proprio del processo di degenerazione dell’Occidente (“Gniloj Zapad”), per altro da essi teorizzato con dovizia di particolari fin dall’ inizio dell’ Ottocento (cfr. Derzhavin, Danilevskij, Tiutchev, Dostojevskij, Leontijev, Soloviov, Berdjajev).

Gli autori dell’ “establishment” italiano stanno finalmente incominciando a prendere doverosamente sul serio i progetti culturali della Russia. Per esempio, Ezio Mauro, su “La Repubblica del 13 Ottobre, osserva la grande coerenza fra l’intervento di Putin alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza, contro il modello unipolare, con cui “puntava a proporsi come l’artefice in esclusiva di un modello alternativo, l’architetto di un nuovo ordine mondiale, capace di costruire un diverso sistema da proporre ai Paesi non occidentali come una vera e propria rivoluzione conservatrice, emancipatrice e autonoma, con l’obiettivo titanico di spostare l’assedel mondo sottraendolo all’ Ovest, con il cambio di riferimento che ne consegue”.In realtà, la ricostruzione di Mauro è reticente, perché Putin, inoccasione dei 50 anni di Europa, aveva pubblicato, sulla prima pagina de “La Stampa” di Torino un lungo articolo in cui, dopo avere affermato che l’Unione Europea costituiva la miglior realizzazione politica del XX° Secolo, aveva anche affermato di sentirsi, in quanto pietroburghese, a tutti gli effetti europeo. E, nell’incontro a Berlino con l’Associazione dei manager tedeschi, aveva paragonato la propria vocazione a “fare l’Europa”, a quella di Kohl, il quale aveva appena riunificato la Germania: “rimbocchiamoci le maniche”! La trasformazione della politica russa deriva dal rifiuto da parte europea di questa “fusione fra eguali”, mentre l’agenda segreta dell’Occidente prevedeva invece (e ancora prevede) l’assorbimento graduale degli Slavi Orientali, con l’obiettivo di mantenerli subordinati culturalmente, ideologicamente, politicamente, economicamente e militarmente, all’ Occidente a guida americana, sisfacendo infine la Federazione Russa nello stesso mocdo in cui era stata disfatta l’Unione Sovietica.

Dopo lo storico scontro fra von Der Leyen e Orbàn al Parlamento Europeo, anche Sergio Fabbrini, su “Il Sole 2riabilita quest’ultimo:”Il merito di Viktor Orban è stato quello di sfidare aprertamente la maggioranza che sostiene Von der Leyen. Il suo demerito è quello di non offrie alternative alle politiche perseguite dalla Commissione Europea.” In sostanza, Orbàn riempie un vuoto enorme, che spiega l’irrilevanza del sistema politico europeo. Infatti, quest’ultimo, che si pretenderebbe modello di liberaldemocrazia da imporsi al mondo intero, manca invece dell’elemento fondamentale di un sistema liberale: l’opposizione: è quindi oggi un’ideocrazia totalitaria governata da una minoranza di fanatici messianici. Orbàn, ponendosi apertamente come unico serio oppositore riconosciuto alle politiche del sistema costruito intorno alla von der Leyen, ha fatto ripartire una dialettica parlamentare indispensabile per una trasformazione radicale dell’Unione senza eventi traumatici . Infatti, egli afferma espressamente contro l’Unione Europea,  di volerne  cambiarne mentalità, ideologie, significato e programmi.

E ciò è fondamentale in questo momento, come conferma il recentissimo libro di Ray Kurzweil, “The Singulartity is Nearer”, c’è sullo sfondo  l’urgenza della corsa all’ Intelligenza Artificiale, che potrebbe sparigliare le carte (cfr.p.es. Evgeny Morozov). Per questo Eric Schmidt e il Senatore Schumer si sono tanto adoprati per fare approvare dal Congresso uno stanziamento straordinario per l’informatica, e Musk e Altmann sfidano ogni genere di limiti legislativi per realizzare al più presto i loro obiettivi post-umanistici.

In sostanza, la Singularity (ora prevista dallo stesso Kurzweil, che ne è il più grande progettista, per il 2029, cioè fra 5 anni) avrebbe come effetto immediato il controllo assoluto, da parte del sistema digitale, sull’ insieme dei dati su tutti i cittadini dell’Emisfero Occidentale, e, quindi, sulla gestione, da parte loro, della gran parte delle loro disponibilità finanziarie, per lo più “offshore”. Tale controllo   viene già usato come strumento di ricatto nel caso di disubbidienza alle direttive americane (come ci ha insegnato per esempio la vicenda degli oligarchi russi). Todd ci informa anche che, a partire dagli Anni Ottanta, quelle disponibilità che erano “parcheggiate” in Svizzera, al riparo da occhi indiscreti, anche americani, ma con tassi d’interesse bassissimi (se non negativi), sia stata recentemente sparsa nei paradisi fiscali situati in territori coloniali controllati dai “Five Eyes” anglosassoni: Isole Vergini, Samoa, Palau, Marshall, isole britanniche, Costa Rica e Panama.

Todd spiega l’assoluta disciplina atlantica dimostrata negli ultimi tempi dall’“establishment” europeo in gran parte con questo controllo poliziesco, divenuto centrale per l’America, da un lato, per controbilanciare la propria perdita di influenza economica sul resto del mondo (vedi de-dollarizzazione), e, dall’ altro, per compensare lo squilibrio crescente della bilancia commerciale USA nei confronti degli altri Paesi occidentali, che potrebbe conferire a questi ultimi, una rinnovata influenza sull’America.

Ma anche sul fronte dell’informatica il giornalismo “mainstream” sta riposizionandosi rapidamente. Commentando, per “Il Sole 24 Ore” del 13 “Technopolitique” di Asma Mhalla e “The Tech Coup” di Marietje Schaake,  Luca de Biase esordisce affermando che il potere dei GAFAM “è cresciuto a dismisura. Sono accolti da primi monistri e presidenti, in mezzo mondo, come capi di stato.E come talisi comportano.Anche perché molto spesso, praticamente, lo sono.I leader delle Big Tech decidono il codice- la legge- che governa il comportamento di miliardi di persone. Organxzzano la soluzione di controversie, puniscono e premiano i loro utenti, in base a criteri che loro stessi definiscono, senza alcuna trasparenza. Hanno una politica estera. Intervengono nelle guerre e scelgono in quale campo stare nelle battaglie elettorali.” Dice Mhalla: “sono vettori della potenza americana e nello stesso tempo si trovano in dialettica con il potere politico degli Stati Uniti..”

Quanto alle alternative, è chiaro che nessuno vuole proporle perché, in un momento, come questo, di grande conflittualità nel mondo, c’è il rischio che chi lo facesse in modo serio  venga travolto in modo brutale dai poteri forti. Basta vedere come Israele usi la forza in modo indiscriminato non solo contro i suoi avversari e i propri nemici dichiarati, bensì perfino contro le Nazioni Unite e contro i suoi alleati appena recalcitranti come l’ Italia. “La Stampa” enumera oggi ben 174 attacchi di Israele contro il diritto internazionale.

Per altro, l’attività di Alpina e di Diàlexis è stata fin dal principio basata sull’ idea di fornire queste alternative, stante la carenza del mondo politico. Basti ricordare “Cento Idee per l’ Europa” e, più recentemente, “Verso le Elezioni Europee, I partiti europei nella tempesta”, che invitiamo tutti a rileggere e discutere.

3.” Se l’Ucraina perde la guerra a vincere è l’Europa”

Secondo Todd,in netta controtendenza rispetto ai media mainstream, « È l’esito di questa guerra che deciderà il destino dell’Europa. Se la Russia venisse sconfitta in Ucraina, la sottomissione europea agli americani si prolungherebbe per un secolo. Se, come credo, gli Stati Uniti verranno sconfitti, la Nato si disintegrerà e l’Europa sarà lasciata libera.” “Infatti,”Con 144 milioni di abitanti, una popolazione in calo e 17 milioni di kmq, lo Stato russo fa già fatica ad occupare il suo territorio. La Russia non avrà né i mezzi né il desiderio di espandersi, una volta ricostituiti i confini della Russia pre-comunista. L’isteria russofobica occidentale, che fantastica sul desiderio di espansione russa in Europa, è semplicemente ridicola per uno storico serio ».Invece, chi ha un bisogno esistenziale di continuare a controllare l’ Europa, e, per questo, è disposto a qualunque cosa,  è il Complesso Informatico-Digitale americano, che, grazie all’ Europa, riesce a mantenere un certo equilibrio con il resto del mondo:«Durante la guerra in Iraq, dopo il Kosovo, Putin, Schröder e Chirac hanno tenuto conferenze stampa congiunte. Questo terrorizzava Washington. Sembrava che l’America potesse essere espulsa dal continente europeo. La separazione della Russia dalla Germania divenne quindi una priorità per gli strateghi americani. Peggiorare la situazione in Ucraina è servito a questo scopo. Costringere i russi ad entrare in guerra per impedire l’integrazione di fatto dell’Ucraina nella Nato è stato, inizialmente, un grande successo diplomatico per Washington.”

5.Fra 5 anni, la Singularity

Le trasformazioni in corso, dall’Intelligenza Artificiale alla bioingegneria, dalle armi autonome alla conquista dello spazio, procedono senz’ alcun coordinamento politico. Esse sono invece nelle mani di una ristrettissima cerchia di addetti ai lavori, da Musk a Zuckerberg, da Altmann a Durov, che, lungi dall’ accettare le regole imposte dalle autorità, impartiscono essi stessi ordini alle stesse, disponendo del denaro, delle conoscenze, degli strumenti e dei media, da cui dipende il futuro dei politici e dei funzionari, e delle informazioni riservate sulla loro vita e sui loro patrimoni (cfr. supra). Basti vedere i massicci, e indisturbati, interventi, sulla politica americana, di Zuckerberg, Schmidt e Musk, e l’atteggiamento servile verso gli stessi da parte dei vertici americani ed europei.

Todd cita a questo punto una frase illuminante di Heidegger: “Ciò che è veramente inquietante non è che il mondo diventi un mondo completamente tecnico. Di gran lunga più inquietante è che l’uomo non sia affatto preparato a questa trasformazione del mondo”.

Così, la tempistica  della Singularity sarà determinante per il futuro dell’ Umanità, e innanzitutto per  l’esito dei conflitti in corso. Si noti che  Kurzweil insiste sulla sua  originaria previsione della Singularity per il 2029, mentre  Elon Musk  ed altri indicano date ancor più ravvicinate, cioè nel bel mezzo dei conflitti in corso.

E’ significativo che, invece, i media mainstream non sottolineino affatto questo nesso temporale,  che incide pesantemente sulle ragioni e il significato dell’incipiente guerra (cfr. Morozov, supra). Secondo Kurzweil, ci vorranno altri 16 anni, dal 2029 al 2045 perché  la corteccia cerebrale dell’Umanità venga collegata al cloud, come si tenta di fare con il suo Progetto Neuralink e con il progetto DARPA  “Neural Engineering System Design”. In quel momento, gli esseri umani si identificherebbero con l’ Intelligenza Artificiale, come era stato previsto già addirittura da Averroè  con il suo Intelletto Attivo, da Hegel con il suo lo Spirito Assoluto e da  Vernadskij con la sua  Noosfera.

Si tratterebbe allora, nello stesso tempo, della vittoria della Ragione Astratta e della Morte dell’Umanità, grazie alla sparizione di tutte le forme di vitalità, prosciugate dall’ onnipotenza della Ragione.

Una singolare coincidenza: per il 2049, Xi Jinping si ripropone di fare, della Cina, uno Xiaokang, vale a dire “una società moderatamente prospera”, un modello confuciano molto meno millenaristico delle varie versioni occidentali della “Fine della Storia”, ma soprattutto della “Singularity Tecnologica”, che ci viene proposta per il 2029-2047 . E’ questa la ragione più profonda dell’ opposizione fra il Sud del Mondo e il Complesso Informatico-Militare occidentale, che non può essere ridotta all’ antitesi “democrazia-autocrazia”, ma che ci propongono, in realtà, due progetti globali in concorrenza fra di loro..

EGEMONIA CULTURALE ED ESOTERISMO

Il Governo Meloni si è posto giustamente fin dall’ inizio un problema effettivo: quello dell’“egemonia culturale” nel mondo postmoderno, sulla quale si sono spese oramai tonnellate d’inchiostro, e si stanno ancora scrivendo molti libri.

Contrariamente a quanto sembrerebbe emergere dai limitatissimi dibattiti nostrani, si tratta di una questione addirittura universale, derivante dalla transizione epocale in corso nel mondo intero, in un sistema dominato dalla cultura di massa. Dovunque imperversa più che mai un nuovo “Kulturkampf”, una lotta fra sette ideologizzate per imporre la coincidenza della propria ideologia con la “vera” missione della propria Nazione (la democrazia, l’armonia, la fede, il monoteismo, il politeismo). Questione non marginale anche da noi, visto che i vertici delle nostre Istituzioni ribadiscono quotidianamente la centralità di una nostra ”ideologia nazionale” (i “Valori Condivisi”), anche se ciascun gruppo ha idee lievemente diverse sul loro contenuto. In Usa, fra Suprematisti Bianchi e intellettuali Woke; in India, fra Hindutva e identità minoritarie; nell’ Europa Orientale, fra l’interpretazione russa della storia e quella ucraina; in Palestina, fra la vulgata  biblica e quella cananea; nei Balcani, fra Greci e Macedoni….

Ora, questo Kulturkampf è arrivato fino nell’ aula del Parlamento Europeo, con il Presidente pro-tempore dell’Unione e la Presidentessa della Commissione che si sono affrontati a pochi metri di distanza in uno scontro degno, non già di due Istituzioni europee ispirate al dialogo istituzionale per la difesa dell’Europa, bensì dei leader di due rivali gruppuscoli estremisti sessantottini. E non ha stonato, perciò, in questo clima, l’intervento di Ilaria Salis, epigona di quel periodo storico. Del resto, quel che resta del dibattito politico è un pallido strascico  della “Lunga Marcia Attraverso le Istituzioni” di Rudi Dutschke, nelle sue due versioni, gauchista e misoneista.

Ben venga, per altro, questo rinnovamento della conflittualità, che ci permetterà ben presto di portare dinanzi al Parlamento Europeo la questione della “vera” identità europea, che dovrebbe essere al centro dei suoi interessi (cfr. il nostro “Quaderno” “Verso le elezioni europee, I partiti europei nella tempesta”).

Occorre però avvertire che, in questo contesto, i termini “Destra” e “Sinistra”, tanto centrali nell’Ottocento e Novecento, hanno oramai un valore puramente archeologico, perché il conflitto  centrale del XXI è quello fra Post-Modernità (principio d’indeterminazione, multiculturalità, multipolarismo, Stati-Civiltà) e Post-Umanesimo (Singularity, egualitarismo, one-worldism, politicamente corretto, cultura Woke).

1.La traslazione dell’egemonia culturale in funzione della Terza Guerra Mondiale

La scena a cui abbiamo assistito a Strasburgo ci dice però soprattutto che la guerra in corso in Ucraina, in Palestina e in Libano sta imponendo  ovunque uno stile militarizzato dei comportamenti (simile a quello fra il 1914 e il 1950), che è arrivato al cuore delle Istituzioni Internazionali e dell’ Europa.

In particolare, la contrapposizione fra l’“egemonia culturale della sinistra” e quella ambita dalla destra costituisce semplicemente il riflesso italiano di uno spostamento culturale in corso negli  “establishment” del mondo intero in preparazione della Terza Guerra Mondiale (quella cosiddetta fra le “Democrazie” e  le “Autocrazie”, che dovrebbe costituire un “sequel” della Seconda – fra le “Democrazie” e i “Fascismi”-). E, difatti, così essa era stata progettata fin già da Churchill,  che l’aveva chiamata “Operation Unthinkable”, e che si sta tentando di realizzare ora. In vista di quell’”operazione”, sarebbe occorso recuperare (con Gladio), all’alleanza occidentale, una parte del postfascismo, che avrebbe potuto, meglio delle ideologie centriste, fornire una giustificazione teorica credibile all’ aspetto bellicistico, autoritario e conquistatore della democrazia americana (il Maccartismo). Infatti, l’interpretazione tradizionale delle società occidentali  come società fondamentalmente “progressiste”  (millenarismo, nichilismo, egualitarismo, femminilizzazione, pacifismo, edonismo) le spinge naturalmente verso l’auto-distruzione, il che ostacola gravemente la preparazione bellica. Perciò molti, riallacciandosi all’ “Operazione Unthinkable”, al Maccartismo e a Gladio, sottendono che quando si parla di  “Destra” si parli in realtà di “Postfascismo”. Ancor più precisamente, si tratta, a nostro avviso,  di una battaglia sull’ interpretazione storica del postfascismo, in quanto, tanto il Regno del Sud e il CLN, quanto la Repubblica Sociale, potevano essere considerati collettivamente come “postfascisti”, non solo per l’ovvio motivo che il PNF era stato appena sciolto e quindi tutta la società ne era profondamente impregnata, ma anche e soprattutto perché, in un modo o nell’ altro, tutti ne riprendevano “pro quota” l’ideologia, l’organizzazione e la prassi, che proprio per questo non sono mai finite: chi il “culto della personalità”, chi la retorica rivoluzionaria, chi l’organizzazione di massa, che il sindacalismo, chi il machismo, chi i rapporti con la Chiesa o gl’industriali. E tutti lo spirito militaresco: alla “Gladio Nera” si opponeva la “Gladio Rossa”, e ben presto sarebbero sopravvenuti le Brigate Rosse e la Rote Armee Fraktion.

Sono questi “residui” del Ventennio che sono ritornati interessanti per l’Occidente, perché permettono di formare militari motivati (se non fanatici), come quelli di Tsahal e del Battaglione Azov.

La destra italiana è rimasta così identificata da tutti, in sostanza,  con la difesa delle ragioni di chi aveva scelto la Repubblica Sociale o il Regno del Sud, e la Sinistra con coloro che pretendevano di riallacciarsi al CLN (il tutto con grossolane forzature, di cui l’esempio più eclatante è “Bella Ciao”, che non fu mai cantata dai partigiani, ma si inventò molti anni dopo per nascondere “Fischia il vento e soffia la bufera”). Il che spiega gli accaniti dibattiti su questioni storiche ormai fuori tempo massimo.

Poiché si tratta oggi di dare una giustificazione ideologica alla “guerra contro le autocrazie”, si tenta dunque di separare e salvare il nocciolo “progressista” del fascismo (popolo e nazione, plebisciti, modernizzazione, borghesia), che ne farebbero un movimento “occidentale”,  dalle sue (queste, accidentali) componenti tradizionalistiche (culto dell’ antico, clerico-fascismo, patriarcato, militarismo, gerarchia), che invece lo renderebbero affine alle attuali “autocrazie” (regimi diversissimi fra di loro, ma spesso accomunati dal culto dei miti ancestrali, dalla teocrazia, dal machismo, dal ruolo dell’ esercito, da strutture verticali di potere). Una sintesi che per altro nessuno, che noi sappiamo, è stato ancora in grado di operare, ma che andrebbe fatta.

E’ in questo contesto che la Destra può credibilmente sostenere che, a partire dal secondo dopoguerra,  si è perpetuata , sotto lo slogan dell’ antifascismo, un’ egemonia culturale della Sinistra, vale a dire degli eredi ideologici putativi del CLN (che accomunavano marxisti e filo-occidentali), e che tale egemonia deve ora finire (per aprire la nuova fase, quella  dell’”alleanza contro le autocrazie”, in cui l’elemento discriminante sarà l’occidentalismo). Sul fatto che quell’egemonia vi sia stata, nulla quaestio; sul perché, è altrettanto ovvio: l’Asse era stato sconfitto dagli Alleati, e la monarchia con il referendum, sicché i ceti intellettuali preesistenti erano stati costretti a cercarsi nuovi sponsors.

Date quelle premesse storiche, altrettanto ovvie le debolezze ideologiche della Destra,  che, avendo ripreso (anch’essa indebitamente) le eredità già fra loro confliggenti del Fascismo-Regime, del Fascismo-Movimento, della Repubblica Sociale e della tradizione risorgimentale sabauda (fosse essa monarchica, liberale o mazziniana), era stata indebolita ulteriormente , da un lato dalle defezioni opportunistiche, e, dall’ altro, dalle obiettive discriminazioni (epurazioni e altre).Ma, soprattutto, la Destra post-bellica sarà di fatto molto lontana dal fascismo perché il discredito di quest’ultimo aveva permesso il riemergere, seppure in sordina, di correnti culturali antimoderne prima marginali (come lo spiritualismo e il liberalismo conservatore), in concorrenza con esso. Inoltre,  la centrale presenza della Democrazia Cristiana toglieva peso tanto alla Sinistra quanto alla Destra. Infine, l’Occidente a guida americana non rispondeva affatto all’ immagine che se ne facevano i conservatori italiani: era animato dal messianesimo protestante, e quindi anti-cattolico; alimentava nel suo seno il Post-Umanesimo; era la culla (allora incompresa) dell’ ideologia gender…

In effetti, un vero identikit della destra non è mai stato disegnato da nessuno, e oggi è troppo tardi per farlo, perché Destra e Sinistra si sono oramai sciolte, sostituite dalla  lotta fra Post-Modernità e Post-Umanesimo. Oggi sarebbe invece ora di sviluppare una teoria unitaria del mondo multipolare, con le sue diversità e i suoi progetti comuni, e del suo avversario, la Singularity.

La Sinistra aveva avuto a prima vista un gioco relativamente facile a denunziare le incoerenze, l’ignoranza, la grettezza, la limitatezza della “cultura di destra”, portata avanti per decenni da alcuni pochi volenterosi, i quali, incuranti della sconfitta, delle ristrettezze, delle persecuzioni, hanno perseverato in modo individualistico, scoordinato e quasi segreto a lavorare su vecchi autori e vecchi concetti.

E, tuttavia, occorre intanto notare che neanche la cultura di Sinistra, nonostante il favore dei potenti, la propaganda, le prebende, le carriere, le case editrici, i media, ha prodotto, in 80 anni, un solo D’Annunzio, Pirandello, Ungaretti,  Marconi, Puccini, Mascagni, Gentile, Evola, De Chirico, Marinetti, Sironi…La sua vittoria è stata importata dall’ esterno e sterile. Chi creava e inventava in quegli anni  stava altrove: Eliade, Asimov, Burgess, Horkheimer e Adorno, Buber, Eisenstadt, Wiener, Tarkovskij, Kieslowsky, Lukàcs, Sartre, Heidegger, Solzhenicin, Voegelin, Marcuse, Kissinger…Lo stesso dicasi dell’ enorme sproporzione fra il peso politico della DC e la sua incapacità di animare una forte cultura, sicché la cultura di destra, recuperando autori del passato o operanti fuori dall’ Italia, aveva comunque acquisito, nonostante le sue pecche, una sua dignità culturale, come testimoniato dal gran numero di case editrici e riviste culturali. Tutto ciò è però oggi sostituito da Post-Modernità e Post-Umanesimo.

Ciò detto, l’idea gramsciana di un’ “egemonia culturale” piace oggi a molti, perché è, in un mondo di ipocrisia “democratica”, un modo elegante e sfuggente per parlare bene della “dittatura”(di sinistra o di destra). E’ noto infatti che Gramsci, teorizzando l’”egemonia culturale del Partito Comunista”, prendeva sostanzialmente posizione per una politica dei Fronti Popolari, poi realizzata pienamente in Germania Est, Polonia e Jugoslavia, che da noi veniva invece stigmatizzata come “dittatura comunista”, ma veniva poi praticata di fatto con il nome di “Arco Costituzionale”.

Orbene, l’idea dei “fronti popolari” (o “nazionali” : “narodnye fronty”) è stata , “mutatis mutandis” la stessa formula del Fascismo,  vale a dire quella di una alleanza fra tutte le forze che rappresentano “il popolo”n si fronte a un’emergenza nazionale (la Guerra Tradita, il Biennio Rosso, il “Dolchstoss”). Si noti che, nel primo Governo Mussolini, c’erano, oltre ai fascisti (rappresentati da Mussolini, fresco di socialismo massimalista), socialdemocratici, anarco-sindacalisti, liberali, popolari e monarchici. L’”egemonia” spettava, ovviamente, ai fascisti. Per un breve periodo, perfino il PCI, illegale e fuoriuscito, aveva propugnato, sul modello cinese del KuomingTang, l’”entrismo” nel Partito Fascista (l’”Appello ai fratelli in camicia nera”).

Si noti però anche che, con “egemonia”, si vorrebbe descrivere una forma di potere basata sul “soft power”,mentre  tanto l’egemonia comunista che quella fascista si reggevano solo in parte sulla cultura egemone, per altre sulla legge o sulla violenza di Stato. Per questo, sono state definite come “totalitarismo”. Ma Tocqueville, Voegelin, Molnar, Neumann e Marcuse hanno messo in evidenza che, in realtà,  anche la “democrazia liberale” dell’ Occidente è una forma di totalitarismo, in quanto anch’essa è un’attualizzazione della cosiddetta “Nuova Società Organica” profetizzata da Saint Simon. Per ciò che ci riguarda più da vicino, poi, nell’attuale società “occidentale”, questa natura “totalitaria” è più evidente che mai, dato che tutte le informazioni su ciascuno di noi sono oramai contenute in modalità digitale nei server della NSA a Salt Lake City; che l’Italia è occupata da ben 113 basi americane; che vi è il divieto inviolabile (“tabù”) di rivelare le radici indeterminate e irrazionali di ogni cultura,  e in primis quella moderna; che i “poteri forti” orientano di nascosto la società coperti dal più assoluto  segreto; che solo chi accetta passivamente queste premesse è ammesso nei posti che contano; che tutto ciò è necessariamente coperto dall’ ipocrisia; che i comportamenti religiosi, politici, commerciali, artistici, e perfino sportivi, sono il risultato di quel formidabile meccanismo di “propaganda” ben descritto da Berneis nell’ omonimo libro e da Packard nei “Persuasori Occulti”; che, come dimostrato per esempio dalla vicenda di Cambridge Analytica, l’utilizzo di Internet ha peggiorato ulteriormente la situazione…Non manca neppure l’aspetto brutale, con Hiroshima e Nagasaki, il napalm, le Extraordinary Renditions, Gaza, l’UNIFIL…

La cosiddetta “egemonia culturale” s’identifica, nel linguaggio americano, con la “Finestra di Overton”, che delimita il campo dei modelli di pensiero ammessi nel “discorso pubblico”, che sono i soli a godere di una vera “libertà di pensiero”, mentre tutti gli altri (per esempio il relativismo assoluto, il neo-paganesimo, il nazi-fascismo, il tradizionalismo cristiano, ebraico e islamico, il pan-sindacalismo, il vetero-marxismo) non riescono a trovare nessun canale di espressione, e, quando, raramente, vi riescono, sono soggetti a ogni genere di rappresaglie.

A nostro avviso, l’egemonia culturale non è un concetto auspicabile, perché verte sull’ idea che vi sia un pensiero-guida che porta l’Umanità verso il progresso, e che, pertanto, si abbia diritto di imporre questo pensiero. Cosa che di fatto è avvenuta e avviene con la scuola laicistica ottocentesca, con la Dottrina del Fascismo, con la Memoria Condivisa, con i Valori Comuni europei. Si tratta in realtà dell’ ideologia di guerra dell’ Occidente, che la usa per delegittimare le culture orientali, pre-alfabetiche e pre-moderne, e, di conseguenza, l’attuale pretesa del “Sud del Mondo” di essere trattato su un piede di parità con l’Occidente.

Al contrario, oggi si impone, come ha detto Papa Francesco al Parlamento Europeo, una visione “poliedrica”, che permetta un reale dialogo fra le varie parti del mondo, rintracciando i “Valori spessi” comuni al di sotto della congerie dei “Valori Sottili”, specifici a ogni singolo continente, religione, nazione, ideologia, regione, ceto sociale, città o individuo (Hans Kueng).

2.Ineludibilità dell’esoterismo

La realtà è che nessuna società, e, in particolare, nessuna società democratica, può permettersi  una completa trasparenza culturale (cfr. Nadia Urbinati).

In particolare, l’”Egemonia Culturale” è un portato del dominio  della propaganda nelle società democratiche, teorizzato dal già citato Berneis, uno dei pensatori determinanti per la Modernità. Nelle società di massa, l’omogeneità culturale è un’esigenza primaria da tutti conclamata, ed attuata massicciamente attraverso i discorsi dei politici e degli opinionisti, i giornali, i libri di scuola….In queste società, dove l’ideologia ha sostituito la teologia (Lessing, Saint-Simon, Michelet, Mazzini, Trockij, Lunacarskij, Blok, Teilhard de Chardin), il ruolo dei media è comunque una forma di propaganda per il potere esistente, attraverso le mediazioni della scuola e dell’ editoria pubblica e privata. Innanzitutto, in questa società relativistica, non è possibile parlare apertamente proprio della inconoscibilità delle basi dei valori (Pascal, Nietzsche, Wittgenstein, De Finetti, Lukàcs), perché ciò scatenerebbe il caos politico e sociale, sì che opere fondamentali, come “Dialettica dell’ Illuminismo” e “Idealismo Pratico” abbiano penato enormemente per essere pubblicate. Il lavoro degl’intellettuali dev’essere censurato: per questo sono stati inventati il “politicamente corretto”, la “Cancel Culture” e la cultura Woke. Dalla censura deriva poi l’esigenza dell’autocensura, che si traduce in nicodemismo, esoterismo e appiattimento.

Fino dai tempi di Atene, solo i cittadini optimo jure della polis democratica  potevano accedere ai Misteri Eleusini, e Roma ci ha lasciato tracce inequivocabili di esoterismo – dalle catacombe ai mitrei, ai templi di Iside-…

Averroè aveva teorizzato apertamente una cultura a due livelli: i filosofi, che parlano col Principe, e i teologi che parlano col popolo. Stessa teoria aveva espresso il cinese Zhuangzi, criticando l’universalista Mozi: “Insegnare questa dottrina ad altri non è amarli; richiedere a se stessi di praticarla non è amore di sé; le vie del santo non possono annullare i cuori dei mortali. Non sono la via del mondo. Solo Mozi ne è all’ altezza, ma tutti gli altri non ci riescono!”)

Ne era derivata la teoria della “doppia verità” dell’ averroismo latino. Il resto lo avevano fatto le Società Segrete, a cominciare dalla Massoneria.

Con Gramsci, la “teologia” marxista puntava a un’ egemonia culturale che si sarebbe affiancata alla cultura popolare italiana, che, per il nostro Autore, era quella cattolica. Non è chiaro se Gramsci ambisse a costituire una forma di sapere esoterico , per le élite (che la cultura marxista comunque ebbe) , lasciando al cattolicesimo il ruolo di cultura delle masse (divisione del lavoro tipica della Ia Repubblica). In realtà, il concetto di “nazional-popolare” lascia presumere che ambedue le culture potessero coesistere a tutti i livelli.

Per tutte queste ragioni, il gramscismo è sempre piaciuto alla politica di destra, a cominciare da Giancarlo Fini. Anche perché Gentile, e perfino Croce, erano stato cultori di Marx, al punto che buona parte dei marxisti italiani erano restati, nel fondo, o gentiliani, o crociani.

Quindi, nulla di nuovo nel libro del nuovo ministro della cultura Alessandro Giuli, “Gramsci è vivo, Sillabario per un’egemonia contemporanea”, che però, anche per i motivi sopra citati, può risultare utile per  accreditare ulteriormente FdI come parte integrante del “consensus” progressista ed occidentale, di cui si afferma di voler difendere e diffondere i “valori”. Il che è, a sua volta, in Italia come nel resto del mondo, un passaggio storico necessario (anche se sotto molti aspetti discutibile) per la inevitabile “trasmutazione di tutti i valori” profetizzata da Nietzsche ed oggi grandiosamente in corso. Ad esempio, in Russia, si era partiti dal millenarismo di Trockij e Lunacarkij, per passare al riformismo della NEP, al conservatorismo staliniano, al nazionalismo della Grande Guerra Patriottica, alla Politica delle Nazionalità, al dissenso, alla Glasnost’, alla Perestrojka, al neo-liberalismo, al conservatorismo russo, e, infine, al tradizionalismo dell’era putiniana. Così pure in Cina avevamo avuto prima la Rivoluzione Culturale, poi le Quattro Modernizzazioni, e, ora, lo Xiaokang di Xi Jinping.

Entro l’ atmosfera nicodemista dell’attuale politica culturale, persino l’ironico discorso inaugurale del neo-ministro Giuli alla Commissione Cultura ha avuto una sua logica, in quanto sarebbe stato impossibile illustrare seriamente in quel contesto siffatti complessi processi storici, e allora è più saggio fingersi pazzi, tenendone però il debito conto nell’ azione politica pratica…Se non altro perché un secolo di diseducazione ha disabituato gli Europei a ragionare con le proprie teste, sì che s’impone più che mai una comunicazione a più strati, suggestiva e allusiva, come quella propugnata da Averroè.

Quello che interessa però è il dopo. La politica culturale dell’Italia  continuerà ad essere asservita al disegno globale della “Guerra fra le democrazie e le autocrazie”, e quindi, come scrive Lagioia su “La Repubblica”, ad essere concepita come un “parco a tema”? Oppure si sfrutterà l’opportunità offerta dalla “Trasmutazione di tutti i valori” in corso a livello mondiale, per una partenza veramente nuova, nella costruzione di una nuova identità europea che ci eviti la Seconda Guerra Civile Europea?

Giustamente, Massimo Recalcati indica la via verso una rinascita della società europea in una rinascita della capacità, da parte dei giovani, di desiderare. Ma questo significa fuoriuscire dalla mentalità occidentale, dove si pretende che la felicità sia un diritto costituzionale, mentre invece essa è uno stato esistenziale che sopravviene (come scriveva Nietzsche, solo se “non voluta”), come conseguenza della fedeltà tenace al proprio desiderio più alto. Non per nulla, Saint-Exupéry poneva al centro della propria opera più sistematica il valore de “la Ferveur”, ch’egli immaginava caratterizzare l’immaginario impero berbero intorno alla sua “Citadelle”.

FRA “QUESTIONE NAZIONALE” E “IUS SCHOLAE”

Contrariamente a quanto ripetuto dal “mainstream” a partire dagli Anni ’70 del XX Secolo – da Solidarnosc, fino al Nagorno Karabagh, alla Cecenia, all’Irak, al conflitto israelo-palestinese, al dibattito sulla natura della Russia, ai separatismi micro-nazionali, alla Brexit-, in tutto il mondo l’importanza della “questione nazionale”, lungi dall’ essersi esaurita nel tempo, è andata vieppiù ingigantendosi. Il tutto nell’ambito del rinnovato interesse per le identità, individuali e collettive.  Soprattutto, la questione nazionale è divenuta scottante negli Stati Uniti, dove il conflitto fra “White Suprematism” e “Cultura Woke” fa rivivere la spaccatura radicale nell’identità del Paese preconizzata da Tocqueville, richiamando in vita anche le confliggenti culture degli “Hyphenated Americans” (Wasps e Ebrei, Latinos e Tedeschi…) e delle “macroregioni” degli USA (East Coast, West Coast, Nord, Sud, Midwest, Far West (cfr. Film “Civil War”). Le lotte interne per l’identità sono infatti le più feroci (confrontiamo i dubbi di Trump sulle “radici” della Harris con la sua faldsa affermazione di essere di origine svedese anziché tedesca). S’impone più che mai agli Americani la domanda di Huntington: “Who we are?”

Premesso che, dopo tanti dibattiti, non si è ancora chiarito pienamente neppure che cosa sia una “nazione”, si può almeno dire che certamente di essa fa parte la cultura, intesa nel senso più vasto del termine, a cominciare dal processo di formazione dei cittadini attraverso la scuola. A giusto titolo, quindi, Sergio Fabbrini, su “Il Sole 24 Ore”, aveva posto in relazione il discorso sulla nazione sullo “ius Italiae”, in funzione delle proposte sullo “ius scholae” (cioè di concedere la cittadinanza ai giovani immigrati che hanno studiato in Italia), discusse fra le forze politiche, italiane con quello sull’educazione “nazionale”. Tenteremo qui di partire da questo suggerimento per formulare una nostra risposta di ampio respiro, riprendendo quanto scritto a questo proposito da alcuni classici europei, e, in particolare, da Herder, Gioberti, Nietzsche, Jaeger e Sol’zhenicin.

1.Comprendere il nazionalismo

Purtroppo, a causa della tabuizzazione, dopo la IIa Guerra Mondiale, da parte delle culture apocalittiche della Modernità, del concetto di “Nazione” ma anche e soprattutto del più generale concetto di “autoaffermazione” (“Selbstbehauptung”) ci si è evitato a lungo lo sforzo di affrontare storicamente questi concetti, che, come anticipato, sono invece ridivenuti essenziali (dopo 80 anni)  per comprendere la dialettica storica del nuovo secolo (dall’eccezionalismo americano e israeliano al conflitto russo-ucraino e ai vari “sovranismi”).

Imedia, non potendo ormai più ignorare le “guerre culturali” in corso, fanno però ancora ricorso ,a causa di quella storica censura, a vecchi luoghi comuni, non sufficienti per descrivere in modo credibile le potenti forze che operano attualmente sugli scacchieri internazionali. Per esempio, come Fabbrini, rimandando alla frusta distinzione fra “nazionalismi civici” (quelli “occidentali”) e quelli “etnici” (quelli “orientali”), mentre in realtà sono stati quelli “occidentali” (inglese, americano e francese) ad avere costituito i modelli per quelli “orientali”. Addirittura, le antiche “nationes” non erano diventate “nazioni moderne” se non grazie a prese di posizione come il monologo di Riccardo III nella tragedia di Shakespeare, il “discorso alla nazione tedesca” di Herder e il Testamento politico di Giorgio Washington.  Pensiamo solo all’idea puritana americana della “casa sulla collina”, che emula quella ebraica di elezione, e sarà presto  trapiantata nella Francia rivoluzionaria della “Grande Nation” e nella Germania dell’ Idealismo, dove il Protestantesimo diventerà, per Hegel, la destinazione finale dell’ Umanità. Da lì saranno tratte le idee del “Primato Morale e Civile degli Italiani” (Gioberti)e delle “Speranze degl’Italiani”(Balbo), quella di “Dio e popolo” (Mazzini) , nonché la missione civilizzatrice degli Anglo-Sassoni (Berkeley, Blake, Emerson, Kipling, Friske, Mead),  presto clonata da quella democratica e pacifica degli Slavi (Safarik, Kollar) e da quella rivoluzionaria dell’Unione Sovietica (Blok, Gorkij).

Gli Stati Uniti sono stati caratterizzati da sempre da una profonda ambiguità a questo proposito, perché, pur avendo esordito come il nemico per eccellenza dell’Impero Britannico, si sono convertiti presto nel suo alleato e suo erede, dando adito a Lenin e a Mussolini di constatare la fine del nazionalismo e l’inizio di un’epoca di imperi, ben più idonei delle nazioni a gestire l’era della globalizzazione (la Grossraumwirtschaft) .Di qui anche l’idea della ricostituzione di un nuovo Reich come  applicazione all’ Europa della Dottrina Monroe (Carl Schmitt). Nonostante ciò, gli Stati Uniti hanno continuato a presentarsi come i nemici degl’imperi coloniali europei, del 2° e del 3° Reich, degl’imperi sovietico e cinese, e, oggi, di ogni ambizione degli Stati medio-orientali di trasformarsi in imperi. Il fatto è che gli Stati Uniti fanno di tutto perché gli altri Paesi non riescano ad imitare la loro essenza più vera, l’illimitata  volontà di potenza. Anche il “Patriottismo”, oggi tanto lodato, è null’altro che un nazionalismo all’ americana. Infatti, i “patriots” erano gl’insorti anti-britannici descritti nel film di Mel Gibson, e coloro che si autodefinirono “patrioti”, come i Mazziniani, avevano solidi legami sotterranei con gli Stati Uniti (vedi corrispondenza con Lincoln e partecipazione dei Garibaldini alla Guerra Civile Americana).

La condanna del nazionalismo da parte del federalismo europeo va ricondotta a quell’idea del superamento della nazione moderna da parte di soggetti più vasti, come l’Europa Unita (che la si chiami Paneuropa, Nazione Europea, Reich, “blocco socialista”,Comunità Europea,  Europa dall’ Atlantico agli Urali, Unione Europea o Eurasia). Correttamente, quindi, Fabbrini ritiene che, per affrontare la questione della cittadinanza e dello “ius scholae”, occorra andare oltre, tanto al nazionalismo etnico, quanto a quello civico, per assumere un’ottica europea. La domandaè :di quale tipo di cittadini ha bisogno l’Europa di domani? Una volta chiarito che si tratta di cittadini europei, la proposta dello “ius scholae, in sé validissima, parte però, a nostro avviso, da un presupposto errato: che  sia opportuno “duplicare” gli Europei così come essi sono attualmente, nonostante la palese crisi della società europea, dimostrata dal declino del nostro Continente, dal disinteresse per la politica, dalla denatalità, dalla disoccupazione intellettuale, dall’ americanizzazione.., e non occorra, invece “fare gli Europei” ex novo, così come D’Azeglio pretendeva di “fare gl’Italiani”.

Infatti, nel XXI Secolo, la questione centrale e irrisolta dell’ Umanità (e quindi dell’ Europa) è quella di come gestire le Macchine Intelligenti. Se vogliamo che l’Europa sappia dare un proprio contributo positivo alla sopravvivenza dell‘Umanità, occorre che i cittadini di domani posseggano  delle caratteristiche di poliedricità, personalità e resilienza molto superiori a quelle degli attuali “bamboccioni”  creati dalle culture presuntuose e servili fino ad ora dominanti. Quindi, un ”Kulturkampf” contro l’egemonia culturale progressista,  la quale , per le ragioni che andiamo qui esponendo, si è sforzata in ogni modo di distruggere quelle caratteristiche e di renderne impossibile la rinascita.

Proprio il presente Governo, che pretenderebbe di smantellare indebite egemonie culturali, dovrebbe darsi molto più da fare da fare per costruire un sistema scolastico ben diverso.

2.Un’identità europea “multi-livello”

Oggi, assistiamo nel mondo al dispiegamento della dialettica conflittuale fra imperi, Stati-Civiltà, nazioni e macroregioni (quello che Nietzsche chiamava “l’ultima grande battaglia”). Ciascuno di essi ha sue caratteristiche specifiche, non necessariamente migliori o peggiori di altri, e non necessariamente reciprocamente escludentisi. Anzi, tutto il mondo è sostanzialmente organizzato di fatto sotto queste quattro forme. Per esempio, il Nord-Est dell’Italia costituisce una macro-regione, con una sua propria identità (gallo-romana, industriale e mitteleuropea, cfr. Gramegna: Il popolo piemontese e la sua dinastia), che fa parte di una “nazione”, l’Italia (Gioberti, Balbo, Gramsci), a sua volta membra di un aspirante “Stato-Civiltà” (l’ Europa; cfr. Herder, Weil, Chabod), la quale, infine, fa parte dell’ “Impero Nascosto” americano, che si autodefinisce falsamente come “Alleanza Occidentale”(Ness, Immerwahr , Ikenberry). La lealtà dei cittadini verso l’uno o l’altro di questi livelli qualifica in modo diverso le varie culture politiche, che possono essere ideologiche, imperialistiche, continentali, nazionali o locali. Le scelte politiche dei singoli territori privilegiano, così, ora l’uno, ora l’altro, di tali livelli. I  politici più abili normalmente si destreggiano fra un livello e l’altro, privilegiando, nel loro discorso politico, per esempio, ora la Padania, ora l’Italia, ora l’Europa, ora l’Occidente, ma difficilmente una forza politica può prescindere oggi da una o più lealtà prevalenti: chi da una tradizione religiosa o imperiale, chi da una cultura nazionale o locale. E’ quello che Hazori ha definito “forza del nazionalismo”.

Nonostante che le “Nationes” fossero note fin dall’ antichità, è nella Modernità che la “questione nazionale” ha assunto un ruolo centrale, perché la nazione moderna è la forma ideale della rivoluzione industriale e borghese, in quanto ha spezzato le lealtà trasversali e universalistiche, come quelle religiosa e imperiale, come pure come quelle particolaristiche, cetuali o municipali, permettendo una seppur limitata omologazione dell’immaginario e della comunicazione, sulla strada verso la Società del Controllo Totale (come detto fra le righe da Herder, Fichte e Mazzini).

Per questo, il nazionalismo era nato in stretto collegamento con le rivoluzioni borghesi del Sette e Ottocento, e con esse ha cominciato ora ad esaurirsi.

Anche il socialismo non può prescindere dalla questione nazionale, poiché esso si rivolge al popolo lavoratore, i cui interessi si organizzano su base nazionale, se non altro perché i lavoratori manuali non possono, diversamente dai primi “tre stati”, permettersi il lusso di un’educazione multilinguistica, sicché per loro si è adattata una qualche forma di “lingua volgare”, facendola divenire la lingua ufficiale, quella dell’istruzione generale obbligatoria. Le lingue hanno così assunto, per dirla con Humboldt e Herder, una coloritura nazionale. Nell’ Ottocento, Marx considerava necessaria prima la rivoluzione nazionale, e solo dopo credeva possibile quella socialista. I Bolscevichi si accorsero immediatamente che, per realizzare la loro rivoluzione, era necessario fare, delle province dell’Impero Russo, altrettanti Stati nazionali, con le loro rispettive borghesie, all’ interno dei quali soltanto sarebbe stato possibile realizzare le “vie nazionali al socialismo”, in base alle condizioni, diversissime fra di loro, per esempio, della Russia e del Kazakhstan. Per questo “crearono” nazioni prima inesistenti, come l’Ucraina, l’Azerbaijan e i vari Stati dell’ Asia Centrale (“nation building”), le quali adesso si stanno rivelando inaspettatamente resilienti. Stalin era giunto ad imporre l’ammissione alle Nazioni Unite, come Stati indipendenti e sovrani, della Bielorussia e dell’ Ucraina, seppure fossero repubbliche federate dell’ URSS.

Il caso dell’Ucraina è particolarmente istruttivo, dato che l’”Ucraina di Lenin” come l’ha definita Putin, nasce dalla vittoria dei Bolscevichi di Kharkov contro i nazionalisti di Kiev, i socialisti del Donbass, i germanofili di Leopoli, i “Bianchi” della Crimea e gli anarchici di Huliapolie, poi dall’ industrializzazione forzata contestuale all’Holodomor e dall’ ucrainizzazione imposta da Stalin (effetto finale: due Segretari Generali russo-ucraini del PCUS: Khrusciov e Brezhniev).

Di qui la nascita dell’idea di un “socialismo nazionale”, che si sostanzia in “fronti popolari” che incarnano la collaborazione di classe su base “nazional-popolare”(pensiamo a Tito,Ceausescu o Jaruzelski). Di qui, infine, l’idea dello stesso “fascismo”, e anche di tanti altri movimenti di unità nazionale, come quello polacco di Pilsudski, le Juntas Obreras Nacional-Sindacalistas, il B’ath arabo o il Peronismo.

Il conflitto fra la Russia e alcune ex repubbliche non deve trarre in inganno. Anch’esso è il portato del processo sovietico di “Nation Building”, dove la creazione delle “nazionalità titolari” (“korenizacija”) non era stato concepito come fine a se stesso, bensì come un compromesso  finalizzato alla preparazione del mitico “internazionalismo proletario”, mediante la “fusione” (“slijanije”) nel “popolo sovietico. Ed è proprio l’interruzione precoce della “slijanije”, dovuta al crollo dell’Unione Sovietica, ad aver lasciato orfani  decine di milioni di “cittadini sovietici”, che nelle varie Repubbliche parlano Russo e cercano la protezione della Russia.

3.Complementarietà fra imperialismo americano e nazionalismi.

Il senso centrale dell’ipocrisia puritana consiste nell’ affermare l’eguaglianza di dignità fra gli uomini nello stesso tempo in cui si realizza nei fatti la più totale eterodirezione e stratificazione delle popolazioni. Gli Stati fondatori dell’Unione avevano statuti concessi dal Re d’Inghilterra, che prevedevano una loro aristocrazia e una loro religione di Stato, con la persecuzione delle altre denominazioni; erano basate dichiaratamente, come scritto nella Dichiarazione di Indipendenza, sulla schiavitù, e avevano come obiettivo prioritario dichiarato quello di appropriarsi delle terre dei nativi americani e dei franco-canadesi “papisti”.

Quella finzione è poi continuata con la Dottrina Monroe (che aveva fatto delle due Americhe un protettorato degli USA), con la creazione di un impero d’oltremare mascherato in vario modo (l’”Impero Nascosto” di Immerwahr), con l’occupazione militare di buona parte del mondo installando all’ estero centinaia di basi militari, con un regime di scambi iniquo (il signoraggio del dollaro), e comportamenti sostanzialmente svincolati dal diritto internazionale (Hiroshima e Nagasaki, invasione dell’ Irak, sabotaggio del North Stream 2).                                                                                                                                                                                         

Oggi più che mai, la pretesa “eguaglianza di dignità” di tutti è smentita dall’inaudita concentrazione del benessere, della ricchezza, della conoscenza e del potere (culturale, sociale, politico,militare, poliziesco), in alcuni soggetti, come Zuckerberg, Musk e Schmidt, che di fatto controllano i vertici dello Stato americano, e, attraverso di essi, la “Società dell’ 1%”, gli eserciti, i mezzi di comunicazione di massa, l’economia, la cultura, le religioni, il costume, mentre i cittadini, le loro organizzazioni, le loro rappresentanze, sono di fatto espropriati di ogni potere sui temi che contano (guerra e pace, intelligenza artificiale, bioetica, geopolitica, politiche industriali…).

Uno degl’infiniti strumenti (per Ikenberry, una “ragnatela”) con cui l’America controlla il mondo è la politica del “divide et impera”, ereditata dall’ Impero Romano e da quello britannico. A questo scopo, la paradossale natura dei nazionalismi, che perseguono ciascuno la propria espansione ai danni degli altri (la “Grande Nation” ai danni del Benelux, della Germania, della Svizzera, e dell’ Italia; i popoli balcanici ai danni di Turchia e Albania; la Romania ai danni dell’ Ungheria; la Germania ai danni di tutta l’ Europa Orientale; l’Albania ai danni della Serbia) hanno favorito in ultima analisi, e continuano a favorire, l’espansione del potere americano, che ad ogni guerra altrui ha fatto un passo in avanti, acquisendo nuove basi e presentandosi come “gendarme del mondo”. Così come l’Impero Americano aizza i singoli Stati l’uno contro l’altro, esso agita anche, l’una contro l’altra, le diverse ideologie: il comunismo contro le monarchie; i fascismi contro il comunismo; il gauchismo contro i centristi; il neo-liberismo contro il “modello renano”; i dissidenti contro il PCUS; le sinistre contro i conservatori est-europei.

Nei programmi di Trump c’è un’ulteriore giravolta tattica: i sovranisti contro l’Unione Europea.Mentre fino ad ora l’America aveva favorito in Europa l’internazionalismo progressista, in quanto dissolutore delle identità diverse da quella americana, l’obiettivo è ora divenuto un inedito “patriottismo occidentale”(cfr. “Politico Europa”), da contrapporsi a un paventato “patriottismo europeo”. Il patto con i nazionalismi sarebbe quello di garantire un ruolo centrale ai sovranisti e di sdoganare i post-fascisti, a condizione  che abbandonino le loro seppur tenui velleità di costituire un movimento sovranista europeo, cosa teoricamente possibile sulla scia di Nietzsche (“Europa Una e signora del mondo”), di Coudenhove Kalergi (“Europa auf dem Weg zur Supermacht”), dei “collaborateurs intellectuels” (p.es. Drieu la Rochelle) del gaullismo e para-gaullismo (Servan Schreiber), nonché dei nostalgici dell’ Asse (Moseley, Thiriart,Synergies Européennes) e di riviste sessantottine come “Nuova Repubblica”e “l’Orologio”.  I cosiddetti “sovranisti”, che, dal punto di vista biografico, provengono da quegli ambienti, sono stati così “imbrigliati” per farli divenire paradossalmente degli “anti-europeisti”.

 La stessa politica l’America la sta perseguendo con l’India e il Giappone, dove “l’Asia che sa dire no” dovrebbe essere trasformata in un ”Quad” anticinese.

In definitiva, “nazionalismo buono” (definito “patriottismo” dai volontari della rivoluzione americana) è quello degli Americani e dei loro alleati, in primis gl’Israeliani e gli Ucraini, ma anche del Commonwealth e dell’ Intermarium. “Nazionalismi cattivi” sono gli altri, perché ostacolano la vittoriosa marcia dell’”Occidente”.

Purtroppo, dinanzi a queste evoluzioni, le reazioni dell’ establishment Europeo sono incredibilmente deboli, per ragioni che andremo ad espòlorare in altra sede

Basti confrontare i saltuari, allarmati, interventi verbali di Macron con l’inesistenza di una reale politica industriale francese:”Macron also warned against what he called the EU’s continued over-reliance on the US, saying that whatever the results of the presidential elections there in November, the country’s interests were moving elsewhere.”E. addirittura, “Europe should focus on developing its own brand of artificial intelligence (AI)

4.La confusione dell’Europa Orientale

I Paesi dell’Europa Orientale, nati dallo smembramento di grandi imperi (tedesco, austriaco, russo e ottomano) sono stati paradossalmente ancor più esposti a queste politiche (la “New Europe” contrapposta alla “Old Europe”). La situazione in Bosnia fu lasciata deliberatamente degenerare, per potere presentare gli USA come i pacificatori (Accordi di Dayton). La rivolta del Kosovo fu  volutamente istigata attraverso degli ex marxisti-leninisti, già agenti di Enver Hoxha (l’UCK), per distruggere la Serbia, e il Kosovo indipendente fu riconosciuto dalla maggior parte degli Occidentali solo per crearvi una delle maggiori basi americane all’ estero, nonostante che la sua secessione imposta da eserciti invasori fosse l’esatto opposto di quanto l’Occidente ha predicato e praticato in tutto l’Est (l’intangibilità delle vecchie frontiere amministrative dei tempi del “socialismo reale”, cioè quella delle Repubbliche Federate, in quanto opposte alle “province autonome”, come il Nagorno Karabagh, il  Kosovo, l’Abkhazia, l’Ossetia, la Crimea e Sebastopoli, che, secondo le costituzioni staliniana e titoista, non avevano il diritto di secessione).

Lungo tutto il fianco Sud dell’ ex Unione Sovietica era stato addirittura costituito da decenni il nuovo raggruppamento G.U.A.A.M. (Georgia, Ucraina, Azerbaijan, Armenia, Moldova), il cui obiettivo  dichiarato era quello di omogeneizzare gli eserciti secondo gli standard della NATO, con il fine  per nulla nascosto di preparare la loro adesione alla NATO. Contemporaneamente, nascevano (o rinascevano) conflitti “nazionali” fra questi Stati e le loro minoranze etniche, russofone o filorusse (Nagorno-Karabagh,Transnistria, Gagauzia, Crimea, Abkhasia, Ossetia), creando un clima di scontro permanente fra gli Stati del G.U.A.A.M. e la Russia, fino all’Euromaidan, sostenuto in gran parte da uomini e movimenti eredi dell’Ucraina “banderita”, parzialmente alleata della Germania nazista (nasti pensare a Victoria Nuland che distribuiva panini ai militanti di Pravy Sektor che sparavano balle incendiarie contro il parlamento di Kiev).

Così, si assiste al paradosso che, quando, nelle Repubbliche, i “veri” dissidenti (per esempio Solzhenitsin e Dziuba, senza dimenticare il progettista aeronautico Antonov) si erano battuti (finendo in prigione) contro l’URSS, nessuno in Occidente li aveva aiutati, mentre invece oggi, quando si tratta solo di conflitti artificiali orchestrati dall’ esterno fra popoli europei (spesso assolutamente simili fra di loro), tutti si agitano per sostenerli, in pratica combattendo, con i loro soldi, le loro armi e i loro mezzi di comunicazione, al posto loro e contro l’ Europa.

4.”Antiquatezza” delle nazioni borghesi o socialiste

Se le nazioni borghesi e socialiste avevano una loro ragion d’essere nella fase di transizione fra la società agricola e quella industriale, non l’hanno più nell’ era delle Macchine Intelligenti, quando l’unica realtà politica rilevante è una guerra generalizzata fra la Società del Controllo Totale e l’insieme delle identità del mondo, la quale si articola in una serie di guerre parziali: quella culturale, quella tecnologica, quella economica, quella in Europa Orientale, quella nel Sahel, quella in Medio Oriente, quella nel Mar della Cina…

Oggi, gli unici soggetti politici effettualmente possibili sono quegli Stati-Civiltà che, come gli USA, Israele e la Cina, hanno un loro progetto universale, una cultura autonoma e un proprio complesso informatico-militare. I vari nazionalismi delle altre potenze (russo, giapponese, arabo o persiano) possono essere solo ancillari agli Stati-civiltà di cui condividono il progetto. In questo contesto, gli Europei potrebbero contare, nel dibattito sul futuro del mondo, solo inglobando, nell’ Identità Europea, quelle macroregionali, nazionali e locali (ed Europee orientali). In ciò, essi sarebbero enormemente favoriti dal fatto che le loro lingue si articolano, ancor più di quelle dell’India e del Medio Oriente, secondo una ramificazione che ricalca quella di un impero, con tante regioni, province e città gerarchicamente ordinate, sì che, per il “carattere nazionale delle lingue” (cfr. Humboldt e Herder, vedi supra), esse si presterebbero benissimo a un’ articolazione amministrativa interna di un’ Europa unita. Per esempio:

-“Romania” latina (Iberia; Gallia; Italia; Dacia);

-“Grande Nord” (Scandinavia;Germania;Benelux; Inghilterra);

-“Slavia”, a Oriente (Russia;Intermarium; Jugoslavia);

-“Keltia”, a Occidente (Scozia;Irlanda;Galles;Cornovaglia;Bretagna);

-“Impero d’ Oriente” (Turchia; Tatarstan; Azerbaijan; Armenia;Georgia;Baskortostan);

-“Mediterraneo”,a Sud (Euzkadi;Malta;Grecia;Albania;Cipro);

-“Finlandia/Ungheria” (“Grande Finlandia”; “Grande Ungheria”; Mordostan).

Una costruzione siffatta, al di là della sua definizione costituzionale (impero, confederazione, federazione, unione), avrebbe comunque una sua ragion d’essere storico-filosofica: quella di rappresentare la resistenza culturale più pura alla Singularity tecnologica, e a qualunque potenza che pretenda di instaurare un sistema di controllo totale. Nel fare ciò, si realizzerebbe nella sua vera dimensione l’idea di Heidegger che la fine della Modernità (“Oltre la Linea”) si debba compiere  là dove essa è incominciata. Il contrario del “Piano Kalergi” come interpretato dalla propaganda sovranista. Kalergi, seguace di Nietzsche,  era, oltre che un grande aristocratico internazionale, un sovranista europeo, che riteneva che l’Europa coloniale dei suoi tempi (di cui egli non voleva assolutamente la fine) si sarebbe evoluta naturalmente nel senso di una fusione fra i popoli imperiali e quelli delle rispettive colonie. Perciò, essendo sostenitore di un’idea elitaria di politica, pensava alla costituzione, per guidare questo complesso, di un’ élite “pan-europea” (come conseguenza coerente del nome del suo movimento: Paneuropa). Orbene, quest’ élite, ch’egli vedeva, sempre sulle orme di Nietzsche, come una fusione fra aristocrazia mitteleuropea e “Hofjuden” (a cui egli aggiungeva gli oligarchi dell’ economia sovietica), avrebbe sostituito, nella guida dell’ Europa, l’antica aristocrazia ereditaria.

All’ interno di quella nuova “missione” dell’ Europa nel Secolo XXI, si collocherebbero le “missioni parziali”: dei popoli slavi, quella di rappresentare un’area ancora non occupata dall’ impero mondiale; quella dei popoli latini, di perpetuare il patrimonio delle culture classica e cristiana; quello dei popoli germanici, che è quello di “rappresentare” l’ Europa in Occidente; quello dell’ “Impero di Oriente”, che ci “rappresenta” verso l’Islam, e così via. E, all’ interno di queste missioni “macro-regionali”, si collocano quelle delle singole nazioni. Quella dell’ Italia può benissimo essere, proprio  come scriveva Gioberti nel suo “Primato”, quella di una “nazione sacerdotale”, che si prenda cura di orientare le Chiese in un senso coerente con gli obiettivi storici sopra delineati, grazie all’influenza trasversale  di quella di Roma sul movimento ecumenico (cristiano e no). Ove ciascuna di queste “macroregioni” ha i suoi classici e i suoi profeti, da inserire in quel “Pantheon ideale” di cui parlava Coudenhove Kalergi: Cirillo e Metodio, Nestore di Kiev, Komensky, Mickiewicz, Dostojevskij, Omero, i Lirici Greci e Romani, i Tragici, Virgilio, Dante, De las Casas, Vieira, Ricci, Hume, Byron, Carlyle, Eliot, Pound, Huxley, Burgess,Firdowsi, Nizam-i Ganjavi,Jalal ed-Din Rumi,  Solimano il Magnifico, Herczeg, Kadaré…

Solo così, e non in base a preconcetti propagandistici etero-diretti, si possono definire oggi le missioni delle nazioni, e, di conseguenza, i loro rispettivi progetti pedagogici.

 5.Amare l’Europa, ma anche l’ Italia e il mondo

Il richiamo, da parte di Fabbrini, alla cittadinanza italiana e a uno sguardo europeo sullo ius scholae, ci ricorda che concedere la cittadinanza italiana significa automaticamente concedere anche quella europea. Tuttavia, se, come noi sosteniamo, l’idea di Europa che è andata prevalendo nella cultura ufficiale è radicalmente lontana, tanto dalla realtà effettuale del XXI secolo, quanto dalle radici storiche del Continente, è ovvio che educare i figli degl’immigrati come stiamo educando i nostri sortirebbe effetti catastrofici, quanto e più di quelli riscontrati sui giovani europei, di cui tanto si deprecano, e giustamente, l’inconcludenza, l’incultura, il qualunquismo e la violenza gratuita.

Si è descritta (e si continua a descrivere) falsamente l’Europa attuale come un paese di Bengodi, in cui non sono più necessari la lotta, la competizione, lo sforzo, la definizione di ruoli, mentre, invece, l’economia europea si ritrae in modo palpabile davanti alla nostra ignavia (pensiamo alle vicende della FIAT, della Volkswagen, dell’ ILVA, del surriscaldamento atmosferico), le macchine intelligenti avanzano inesorabilmente (le guerre sono  combattute dai droni assassini, i nostri dati sono spiati dai GAFAM e dalla NSA, sono già stati automatizzati la banca, il fisco e l’editoria), la natalità crolla, l’immigrazione è drammatica e incontrollata e provoca reazioni inconsulte, l’Europa viene sacrificata a scelte geopolitiche altrui (vedi dazi e sanzioni, spesa militare, alta tecnologia, guerre per procura), la finanza ci punisce irrimediabilmente (evasione fiscale, signoraggio del dollaro, criteri di Maastricht), l’etica pubblica si deteriora continuamente (perdita di credibilità di Chiese e ideologie, scandali continui, “amichettismo”, prevalere di personaggi ridicoli e “fantozziani”). E’ ovvio che anche i giovani immigrati, specie quelli “di seconda generazione”, si sentano traditi dalle promesse dell’Europa.

L’educazione degli Europei di domani non può non tenere conto di questa decadenza, e quindi dev’essere un’educazione combattente, per resistere alla barbarie che avanza, con la competenza, l’educazione del carattere e la riscoperta delle tradizioni. Innanzitutto quelle europee (la cultura classica, le “Religioni del Libro”, la cultura alta, la religione civile, l’epistocrazia), poi anche quelle extraeuropee, che non possiamo ignorare, né pretendere addirittura che anche gl’immigrati le dimentichino. Almeno per ciò che riguarda le classi dirigenti, s’impone di conoscere le culture orientali, l’Islam, e di tutti i popoli d’Europa (compresi ebrei, islamici, balcanici, baltici, slavi e popoli delle steppe), e il contributo ch’essi hanno dato all’ Europa.

Non parliamo poi dell’informatica e della linguistica generale e comparata, che, senza inficiare, ma, anzi, sostenendo, la cultura alta, debbono alimentare gli studi di ogni ordine e grado, ivi compresa la formazione permanente e “on the job”. Cina e India hanno superato di gran lunga gli stessi Stati Uniti quanto alla diffusione della cultura scientifica.

A quel punto, ben venga lo “ius scholae” come condizione per la cittadinanza, perché così ogni giovane che studierà in Europa sarà adatto a partecipare alla nostra lotta contro la società del controllo totale. E, forse, molti giovani immigrati impiegheranno, in questa lotta, quella “pasionarnost’” che a noi manca. Pensiamo ad’”immigrati” come Sant’Agostino, Jalal ad-Din Rumi, Pushkin, Ivanov, Kojève, Gumiliev,Eliot, Pound….Sarebbero  piuttosto molti dei nostri connazionali, a cominciare da molti in posizioni apicali, a non meritare la cittadinanza europea.

DALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE ALL’ UCRAINA: LA GUERRA CIVILE TECNOLOGICA

Uno dei pochi pregi di  questi Anni ’20 del XXI° Secolo è stato quello di aver portato in superficie le contraddizioni dell’età postmoderna, e, questo, soprattutto, nella nostra Europa:

-Prima contraddizione- la neutralità della tecnica, demitizzata dalla politicizzazione dell’ informatica

-Seconda contraddizione- la Fine della Storia, demitizzata dalla “Guerra senza Limiti”

-Terza contraddizione- la Pace Perpetua, demitizzata dalla guerra ormai millenaria in Palestina

Alla fine del secolo precedente ,era stata diffusa l’idea che l’economia sarebbe stata la forza trainante della politica, e ciò avrebbe reso la vita di tutti più semplice e pacifica. Ciò era stato interpretato,  al tempo dell’ “egemonia culturale della sinistra”, come equivalente ad un preteso “carattere irreversibile del socialismo”, in quanto il marxismo avrebbe risolto in senso materialistico l’”Enigma della Storia”; poi, dopo la caduta del Muro, come il convergere di tutto il mondo sul modello consumistico (l’”Uomo a una Dimensione”), e, infine, dopo le Guerre del Golfo, come il sigillo del prevalere definitivo del sistema occidentale: la “Fine della Storia” teorizzata dal primo Fukuyama.

Negli ultimi decenni, si è visto invece che la storia, lungi dall’essere terminata, si è messa a correre più che mai, con  l’Islam politico, la Società del Controllo Totale, il multipolarismo, i GAFAM, le guerre in Irak, Afghanistan, Georgia, Siria, Libia, Yemen, Ucraina, la Via della Seta….In questa storia rinnovata, l’informatica svolge non casualmente un ruolo centrale, con la Transizione Verde, i Droni, i Missili ipersonici, l’Intelligenza Artificiale, Echelon, Prism, Snowden, Assange, l’invasione di campo nella politica da parte di Kurzweil, Zuckerberg, Schmidt, Musk, Jack Ma…

In particolare, il  Ventunesimo si annunzia, non già come la Pace Perpetua, bensì come un secolo di conflitti immani. Avevamo infine subito per tutto questo tempo un indottrinamento martellante circa il fatto che, grazie alla IIa Guerra Mondiale, all’Alleanza Atlantica e all’ Unione Europea, saremmo alfine pervenuti a quell’era fortunata, profetizzata nell’ Apocalisse e laicizzata da Kant e da Hegel, in cui, finiti tutti i conflitti, l’unico fatto rilevante per il divenire umano sarebbe stato lo sviluppo della scienza e della tecnica (la “Posthistoire” di Kojève e di Gehlen). Invece, non solo i conflitti ancestrali, come quelli palestinese-israeliano (che ha radici nella Bibbia), indo-pakistano (dei tempi delle invasioni islamiche) e greco-turco (che risale alla caduta di Costantinopoli), non hanno cessato d’infuriare in sempre nuove forme, ma perfino nel cuore dell’Europa si è riacceso ora più che mai, prima in Transnistria e in Georgia, e,  poi in Ucraina,  uno scontro fra la Russia e l’ Occidente, che rischia, secondo le stesse dichiarazioni dei protagonisti,  di degenerare in una Terza Guerra Mondiale combattuta con armi atomiche.

Si tratta di una trasversale “guerra di religione”, fra i seguaci di un’interpretazione immanentistica e deterministica dell’Apocalisse e i sostenitori di una concezione “aperta” della storia, che si apparenta alla Seconda Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi, ma anche alle concezioni cicliche della storia, indica e sinica. Essa può anche essere definita, come avevano scritto dei generali cinesi, come una “Guerra Senza Limiti”, combattuta in tutti i campi della convivenza umana: teologia, cultura, società, scienza, tecnica, politica, economia…ma anche “sul campo di battaglia” (per usare un termine tornato drammaticamente di moda).

Sul  “fronte europeo”  di questa guerra combattono, dunque, da un lato, l’”ideologia californiana”, sintesi fra provvidenzialismo puritano e transumanesimo (incarnatasi nella NATO e nella UE), e, dall’ altro, l’idea paolina del Katèchon, tramandataci da Ottone di Frisinga, Timoteo di Pskov, von Baader, Dostojevskij, Soloviov, Schmitt , Pietro Barcellona,  e, per ultimi, Dugin e il Patriarcato di Mosca. Esso si presenta dunque qui come una Guerra Civile, anzi, la prosecuzione  (in termini più radicali) delle due Guerre Mondiali, già definite appunto, da Ernst Nolte, come “Guerra Civile Europea”. Infatti, sono europei tanto la Russia, quanto l’Ucraina, tanto i filo-americani, quanto i “sovranisti europei”. Anche ideologicamente, vengono mobilitati Cosacchi e Chiese ortodosse, la Terza Roma e l’Europa delle Nazioni, l’ebraismo internazionale e il Parlamento europeo….

Questa paradossale coincidenza fra le due parti in conflitto, che addirittura si confondono e si scambiano i ruoli, rende questa vicenda particolarmente dolorosa. Basti ricordare come le opere letterarie classiche (Nestore di Kiev, il Canto della Schiera del Principe Igor, Mazeppa, la Fontana di Bahcisaray, Taras Bul’ba, l’Armata a Cavallo..) non facciano alcuna distinzione fra i due Paesi in guerra oggi in guerra. Oppure guardare qualche puntata del serial “Sluga Naroda”, che ha costituito la singolare “campagna elettorale” dello Zelenskij attore comico. Nel serial, tutti, a cominciare da Zelenskij stesso, allora esclusivamente russofono e perfino ignaro dell’ Ucraino, parlavano russo, e, quando qualcuno si azzardava anche soltanto a parlare con accento ucraino, veniva sbeffeggiato da tutti nella sala del Consiglio dei Ministri di Kiev.

Quella dolorosa sensazione è ancor più acuita dalla confusione che si è riscontrata all’ Europarlamento sulla votazione circa l’autorizzazione all’ Ucraina all’uso delle armi occidentali contro il territorio russo, che ha dimostrato ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno, che, sulle grandi questioni storiche, l’”establishment” non ha un progetto per l’ Europa, e si lascia guidare, chi dal servilismo verso gli USA, chi da un ben motivato timore per le basi americane in Italia che custodiscono bombe nucleari, chi, infine, da riflessi condizionati del tempo della Guerra Fredda.

1.Fine degli  equivoci europei

Il crollo dei tre miti, quello dell’egemonia dell’economia, quello della Fine della Storia e quello della Pace Perpetua, ha comportato automaticamente  la perdita di credibilità delle Retoriche dell’Europa quali consolidatesi dopo la caduta del Muro di Berlino. Il progetto di integrazione europea quale delineatosi nell’ immediato Dopoguerra conteneva in effetti un elevato grado di ambiguità. Da un lato, la tradizione europeistica “alta” risalente a Ippocrate, Erodoto, Strabone, Eginardo, Dante, Dubois, Podiebrad, Sully, Saint-Pierre e Coudenhove-Kalergi, che vedeva l’ Europa unita come un’esigenza permanente di carattere geopolitico (una “Translatio Imperii” parallela a quelle della Cina e dell’ India, incarnantasi nell’”Ancienne Constitution Européenne” di Tocqueville). Dall’altra, l’ideologia della Fine della Storia, incarnatasi nel messianismo persiano ed ebraico, nel provvidenzialismo imperiale romano, nel gioachimismo, nella “Dissidence of Dissent” protestante  (Anabattismo, Komensky, Puritanesimo),nella filosofia tedesca ( Kant, Hegel, Marx, Nietzsche), nel One-Worldism di Willkie e di  Benda, nella teologia materialistica di Teilhard de Chardin, nel funzionalismo di Mitrany e di Haas, nello storicismo di Kojève e perfino nel federalismo di  Spinelli e, soprattutto, di Albertini.

In una prima fase, che va dalla fondazione di Paneuropa da parte d Coudenhove Kalergi (1923) fino alla Dichiarazione di Copenhaghen del 1973 sull’Identità Europea, caratterizzato dall’ opera di Coudenhove Kalergi, Simone Weil, Duccio Galimberti, Altiero Spinelli, De Gaulle, Schuman.., le due tradizioni si erano equilibrate in un modo che tutto sommato corrispondeva alla “Ragion di Stato europea” delle Comunità Europee, stretta fra ortodossia atlantica e “modello sociale renano”.

Invece a partire dagli Anni Novanta, sotto l’influenza congiunta della “Lunga Marcia attraverso le Istituzioni” del Sessantottismo, teorizzata da Rudy Dutschke, dell’ Ideologia Californiana e del massiccio afflusso di reduci dal Socialismo Reale (come la stessa Merkel), s’impose sempre più la visione della costituenda  nuova Unione Europea quale Fine della Storia, una visione parallela all’ideologia americana della Singularity Tecnologica, ambedue eredi dell’egemonia culturale marxista, che non poteva però più coniugarsi con il blocco del Socialismo Reale.

Il confluire di queste tendenze nichilistiche stava (e sta) portando l’Umanità, e comunque, l’Occidente, verso l’autodistruzione, generata dalla sostituzione dell’uomo con le macchine, passando per il nichilismo, il moralismo, il razionalismo, l’egualitarismo, la burocrazia, il Worldwide Web, Prism, l’ideologia gender, il Manifesto Cyborg, la Società del Controllo Totale, il Pensiero Unico, il Politically Correct, la bioingegneria…Sembrava certo che, come profetizzato  da Kurzweil, l’”Ultimo Uomo” nietzscheano avrebbe passato le consegne alle “Macchine Spirituali”, vero “Uebermensch”, e queste avrebbero “deciso il destino dell’ Universo”, come scriveva, appunto, Kurzweil. Solo alcuni, isolati, autori (come Simone Weil e Pietro Barcellona ), avevano visto invece ”, sulla scia di Dostojevskij, l’ Europa quale punto di partenza per un rovesciamento della prospettiva modernistica (l’”Europa quale Katèchon).Una base, ahimè, troppo ristretta per fondarvi un vero movimento politico o anche culturale. In generale, prevaleva il pessimismo culturale (il “Mito Incapacitante”: Huxley, Asimov, Heidegger, Anders, Guénon, Evola, Zolla), finché, dal “di Fuori”, per dirla con Roberto Esposito, non sono venute le spinte che stanno sconvolgendo i termini della questione.

Il richiamo, fatto da Giorgia Meloni alla consegna del Global Citizen Award, al “Tramonto dell’ Occidente” è  quindi anacronistico. Quel celeberrimo libro di Spengler si riferiva in realtà alla fine dell’ Occidente Europeo,  che coincideva con l’inizio dell’ Occidente Americano, quale celebrato nel curriculum della Columbia University sui “Western Studies”. Il declino di oggi è invece quello dell’Occidente Americano, che, come diremo in conclusione, potrebbe essere una splendida occasione per la rinascita dell’ Occidente Europeo. Non è che gli Europei, contrariamente agli Americani,  “si vergognino delle loro tradizioni”: essi si rendono semplicemente conto che queste (eccellenza, cultura alta, differenza) non sono le stesse dell’America (egualitarismo, “midbrow”, omologazione). Mentre il “patriottismo europeo” è un sentimento costruttivo e necessario (per quanto raro, e, quasi, casuale), il preteso “patriottismo occidentale” di nuovissimo conio è una trappola, che permette agli omologatori e alle Macchine Intelligenti di calpestare le nostre identità. Quello italiano infine, non può “funzionare” nella storia se non è parte di quello europeo.

2.Le metamorfosi del “Sud del Mondo”

Nel periodo che va dalla Conquista dell’ America alla creazione dell’Unione Indiana e della Repubblica Popolare Cinese (nel 1949), i popoli del Sud del Mondo, e, più in generale, quelli “non occidentali”, avevano subito la storia in modo essenzialmente passivo, dalla festa avvelenata ordita da Pizarro contro gl’Incas (cfr. Blas Valera, Exsul Immeritus), alla Tratta Atlantica, alla distruzione delle Reducciones, al Trail of Tears, alle Guerre dell’ Oppio, all’Assedio di Delhi, allo Stato Libero del Congo, alla dissoluzione degl’imperi ottomano e russo, fino alle bombe di Hiroshima e Nagasaki.

Oggi invece essi si pongono quale elemento propulsivo della cultura e dell’economia mondiale.

E’ vero che i “14 Punti” di Wilson, la Conferenza di Baku dell’ Internazionale Comunista e la “Sfera Asiatica di Co-prosperità” del Giappone avevano già affermato il principio della decolonizzazione, ma si trattava sempre e soltanto di spinte “umanitarie” dei nuovi Stati emergenti del Nord del Mondo, per portare dalla loro parte i popoli coloniali, sostituendo, al “colonialismo” classico, il “neo-colonialismo”.

Invece, con la creazione della Unione Indiana, della Repubblica Popolare Cinese e, perché no, anche di Israele, e con il classico “Dialettica dell’ Illuminismo” di Horkheimer e Adorno,  iniziava ad affermarsi il principio della “Teshuvà” (Leo Strauss), del “ritorno” alle civiltà tradizionali. Il Mahatma Gandhi era vestito come un Sadhu dell’ India Meridionale, e usava l’arcolaio (oggi sulla bandiera dell’ India), metafora del “Cakravartin”, l’imperatore universale Hindu. La sua evoluzione ideologica era iniziata dalla lettura del Bhagavad Gita (il “Canto dell’ Illuminato” del Mahabharata); la sua prima opera programmatica, “Hind Swaraj”(“L’Indipendenza dell’ India”) partiva dal rifiuto della civiltà occidentale moderna..Anche l’inno della RPC incomincia con le parole 起来!不愿做奴隶的人= alzatevi voi che non volete essere schiavi!”

Inizia così la fase storica della vera e propria “decolonizzazione”, che avrà, come punti salienti, le rivoluzioni nazionali arabe e africane. Alla Conferenza di Bandoeng, il Sud del Mondo si identifica con i “Paesi non Allineati” e con la Cina. Tuttavia, questo movimento è ancora caratterizzato dall’ essere quei Paesi “in Via di Sviluppo”, per cui vi si destinavano programmi internazionali, appunto, di aiuto allo sviluppo. E’ solo con il crollo dell’Unione Sovietica che la Cina assurge a modello privilegiato per i Paesi non occidentali, e che la Russia intraprende un percorso di trasformazione, che la spinge,  alla fine, a porsi come  vertice ideologico del movimento di opposizione alla modernizzazione, riallacciandosi così alle tesi  di Roma “Terza Roma” e alle profezie di Soloviov sull’ Anticristo. Nello stesso tempo, l’ascesa delle “Tigri Asiatiche”, e, poi, le “Nuove della Via della Seta” promuovono il sorpasso dell’Asia sull’ America quale centro economico e tecnologico del mondo, sospingendola alla ricerca di “Valori Asiatici” comuni quale contrappeso a quelli “Occidentali”.

C’è solo da chiedersi  (come affermava alla TV russa Viaceslav Nikonov) se non sia un po’ paradossale che la Russia, il Paese nordico per eccellenza, si proponga come leader del Sud del Mondo.

La guerra generalizzata in corso in Ucraina, Medio Oriente e Sahel, che rischia in ogni momento di estendersi al Mar della Cina, e, quindi, al mondo intero, costituisce l’occasione in cui i ciascuno dei due contendenti: la NATO e il Sud Globale,  rivelano in modo palese (anche se tutt’altro che esaustivo) le loro rispettive motivazioni, che vengono ricondotte soprattutto alla “lotta per il riconoscimento”. Il “Sud Globale” contesta all’ Occidente (e soprattutto agli Stati Uniti), di pretendere,  pur rappresentando poco più del 10% della popolazione mondiale , di negare, in teoria come in pratica, ogni  legittimità alla gran varietà di culture del mondo( fra cui anche l’ Europa), considerate semplice “preistoria” dell’ America. A sua volta, l’”Occidente”, nelle sua due varianti -imperial-progressista e isolazionista-populista- insiste nel suo “eccezionalismo”(che si traduce nell’ “eccezionalimo americano”). Le “regole” tanto invocate dall’ Occidente, si rivelano essere quelle che tutelano, come ha detto Boris Johnson, l’egemonia occidentale, e vengono perciò regolarmente disattese quando a fruirne  potrebbero essere gli “altri”: pensiamo ad esempio all’ “autodeterminazione” dell’Europa dall’ America, della Catalogna dalla Spagna, del Donbass dalla Russia, della Palestina da Israele, che viene respinta quali lesione dell’ integrità territoriale di Stati sovrani nell’ ambito dell’ intoccabile Ordine Mondiale postbellico, mentre simili concetti non sono valsi per gli Stati Uniti nei confronti dell’ Inghilterra, degli Stati italiani pre-unitari invasi dal Regno di Sardegna, del Kossovo  sottratto alla Serbia, di Timor Leste e del Sudan Meridionale. Del resto, l’intero diritto internazionale si regge sulla consuetudine e, in sostanza, sul diritto del più forte (“ex facto oritur ius”). La maggior parte degli Stati del mondo è di costruzione recente, frutto di compromessi fra le Grandi Potenze e/o di atti fondativi quanto meno equivoci. Dedurne l’esistenza di altrettante “Nazioni” con una loro autonoma missione nella Storia è quindi fuorviante. Si pensi all’ indipendenza degli USA, dovuta in gran parte all’influenza della Francia di Luigi XIV, o a quella della Grecia, concordata fra Russia, Inghilterra e Stati tedeschi, e ambedue fondate su quella “sostituzione etnica” che i pretesi “sovranisti” dicono di voler oggi evitare come il fumo negli occhi.

3.La lotta per l’Intelligenza Artificiale

Della contrapposizione fra “The West and the Rest”, teorizzata già da Huntington in “Clash of Civilisations” non viene posta tuttavia in evidenza la natura più profonda: questa Guerra di Religione fra due ideologie (“democrazie” e “autocrazie”) è in realtà solo l’aspetto exoterico di un conflitto più profondo ed esistenziale, fra, da un lato,  l’Intelligenza Artificiale, e , dall’ altro le culture dell’ epoca assiale (San Jiao, Sanata Karma, cultura classica europea, Religioni del Libro, filosofie dei popoli pre-alfabetici). Infatti, l’Intelligenza Artificiale pretende oramai di costituire l’avvenire stesso del mondo, sostituendo  il mondo umano, e riallacciandosi così alle sette apocalittiche e all’ idea di un Intelletto Attivo/Spirito Assoluto/Superuomo/Punto Omega, secondo cui “L’Uomo è qualcosa che va superato”. Mentre l’”Occidente” (Teilhard de Chardin, Kurzweil) saluta questa sostituzione come il compimento di antiche profezie le varie culture del mondo non intendono affatto  essere “superate”, perché hanno, della storia, una visione ciclica (gli Eoni,il  DaTong), quando proprio non ignorano addirittura (Cinese, Giapponese) il futuro grammaticale, oppure si attengono all’ idea paolina che la Parusìa “verrà come un ladro”, e non va “accelerata”.

Giacché, come affermato da gran tempo da Vladimir Putin, “chi controlla l’intelligenza artificiale controlla il mondo”, è ovvio che questa “guerra di religione” si combatta, in modo sempre più evidente, intorno all’ Intelligenza Artificiale. Già i progetti Echelon e Prism consistevano nel tentativo dell’Intelligence Community americana di avvolgere il mondo intero in una rete digitale capace di controllare ogni singolo movimento dell’ Umanità. Con i Social Networks, questo controllo si era diffuso a livello capillare attraverso le 6 grandi multinazionali americane dell’ informatica (i GAFAM). Come reazione, da un lato la Cina aveva creato le proprie multinazionali (i BAATX, di dimensioni ancor maggiori di quelle americane), e, dall’ altro, l’Unione Europea aveva tentato di mascherare la propria assenza con la pretesa efficacia extraterritoriale del proprio diritto dell’ informatica (il GDPR, l’Artificial Intelligence Act e il Digital Service Act), che però, come hanno dimostrato le sentenze Schrems, non può funzionare    verso i GAFAM per la connivenza delle Autorità europee e nazionali con quelle americane. Del resto, il primo che abbia tentato di applicare in modo extraterritoriale il Digital Services Act una norma (per quanto assurda) del Digital Services Act (il Commissario Breton), si è dovuto dimettere nel giro di pochi giorni  denunziando un preteso complotto contro di lui di Ursula von der Leyen.

I lodevoli principi (difesa della privacy, controllo umano sull’ AI) tradotti così male nella pratica dal legislatore europeo, sono stati invece recepiti in toto dalla legislazione cinese, con la sola differenza che, giacché la legge cinese è applicabile direttamente senza sconti alle multinazionali di quel Paese, ha portato immediatamente ad un’ondata di sanzioni (il “Crackdown sui BAATX”), fino a giungere all’ arresto di Jack Ma, il carismatico guru dell’informatica cinese, ridotto a un “silent partner” dell’impero da lui creato.

A questo punto, la lotta per il controllo dell’ AI si è frazionata in molti rivoli, confondendosi da un lato con la politica interna americana (con Musk che sostiene Trump e la Commissione Europea che pretende di censurare la sua creatura X), e con la guerra in Ucraina (con Musk che prima concede Starlink all’ Ucraina, poi gliela nega), e, dall’ altra, con la politica europea (la campagna, attualmente in corso su pressione delle multinazionali e capeggiata da Mario Draghi, per alleggerire le  ,già inefficaci, norme sull’Intelligenza Artificiale, e l’ennesimo ,ma infruttuoso, rilancio, per esempio, da parte di Roberta Bria, della proposta di creare delle imprese informatiche europee –come se non esistessero già le inefficienti QWANT e GAYA-X, che occorrerebbe intanto far funzionare-).

Oggi, i GAFAM scendono nell’ arena politica  “a gamba tesa”, con Schmidt che dirige ufficialmente la loro lobby al Congresso, Altman in bilico fra gli Arabi e Macron, e Musk che “premia” Giorgia Meloni a Washington, in attesa che Trump gli affidi un incarico di governo. E ne hanno ben d’ondevisto che c’è, una qualche timida mossa da parte dell’antitrust americano che agita per l’ennesima volta lo spuntato spauracchio dello “spezzatino” di Google (cosa che si sarebbe dovuta fare da decenni). Peccato che a nessuno venga in mente di fare un vero “spezzatino” come quello attuato dalla Cina, dove, per ogni servizio reso in Occidente dai GAFAM, c’è un analogo servizio cinese reso da uno o più BAATX, ma con un maggior numero di utenti e con più concorrenza.

La Russia, anche in considerazione delle diverse dimensioni del mercato e della diversità delle lingue, ha percorso un iter intermedio.Già a partire dalla metà degli anni Novanta, essa aveva proposto agli Stati Uniti una bozza di trattato internazionale sulla sicurezza delle informazioni che fu però rifiutata da Washington, in quanto – secondo gli Americani – implicava un controllo statale sui dati nel web (cosa che per altro negli USA è continua, da parte della NSA, come sanno Snowden e Schrems). La Russia propose poi, senza successo, la stessa nozione di sicurezza delle informazioni in seno alle Nazioni Unite (da sempre schierate a fianco dei GAFAM).

Nel 2014, la Russia ha adottato una legge che obbliga tutte le aziende che operano online a mantenere e gestire i dati dei cittadini russi su server locati sul territorio nazionale.. La legge dimostra anche il crescente allineamento politico tra Russia e Cina, dopo la firma di accordi bilaterali che delineano una visione condivisa per il futuro di internet. Uno di questi è l’accordo di cooperazione sulla sicurezza internazionale delle informazioni del 2015: già allora si sottolineò l’importanza di diffondere l’idea di un “internet sovrano”.

Nel 2019,è  entrata in vigore anche una legge che vieta la diffusione online di “fake news” da parte di mezzi di comunicazione di massa e singoli cittadini, simile a quella europea che Breton ha improvvidamente tentato di applicare a Musk e a Trump. Questa stretta legislativa sulla libertà d’espressione può essere spiegata come tentativo per arginare le manifestazioni di dissenso popolare Tuttavia, la guerra in corso dimostra che il controllo su Internet serve, più che ad arginare proteste popolari, ad impedire alle piattaforme ostili di utilizzare i dati degli utenti nazionali, che sono, innanzitutto, una risorsa commerciale determinante, ma, soprattutto, forniscono dati fondamentali sulla preparazione bellica (andamento della popolazione e dell’ economia, consumo di energia e materie prime…, orientamenti dell’ opinione pubblica.. ), che permettono di orientare le azioni belliche nella guerra in corso.

Nonostante questo, la legge russa non prevede ,come quella cinese,  l’isolamento totale dell’ internet nazionale da quello occidentale (e questa può essere la ragione di varie “débacles” nell’ Operazione Militare Speciale, dovute alla cooperazione delle intelligence occidentali), bensì si limita a porre in essere le condizioni per staccarsene in caso di emergenza. Paradossalmente, questa completa frattura non si è ancora verificata, forse perché (anche a causa delle dimensioni del mercato) le piattaforme russe non sono in grado di soddisfare tutte le esigenze degli utenti locali. La collaborazione con la Cina potrebbe colmare questa lacuna.

4.Le Grandi Piattaforme (GAFAM e BAATX) non sono imprese, bensì Stati totalitari

Nei giorni scorsi, il “team” di Facebook ha rimosso un articolo pubblicato sul sito “Nessun dorma” di Franco Cardini e, appunto, condiviso sulla sua pagina social. Franco Cardini ha risposto che “La motivazione iniziale – ‘il post non rispetta gli standard della community’ – risponde al solito refrain di una piattaforma che spesso non si fa scrupoli nel rimuovere contenuti “scomodi” che non rispondono al pensiero unico ma all’opinione individuale, “libera”, espressa altresì in modo civile. Forse nessuno di noi ha ancora veramente capito in cosa consistano ‘gli standard della community’ e quali siano le circumnavigazioni algoritmiche che decidono di rimuovere un contenuto senza troppi complimenti. “

Sul fatto che le piattaforme digitali siano un fenomeno abnorme, che stravolge tutti i concetti sui quali si sono basati fino ad oggi diritto ed economia, sono oramai d’accordo tutti, perfino l’FMI, che suggerisce agli USA di dare più spazio all’ antitrust, imbavagliato da quando, essendo caduto, nel 1989, il Muro di Berlino, i GAFAM hanno potuto esercitare senza limiti (anche e soprattutto a vantaggio della NSA) i loro poteri esorbitanti.

Come ha scritto su Milano Finanza Emilio Cavano, “abbiamo creato mostri. E’ tempo di arginarli.”

Nessuno, per altro, si è curato di descrivere nel dettaglio tutti i settori in cui l’informatica è determinante, e quindi i tipi di diritto con cui dovrebbe venire in contatto, e da cui dovrebbe, ma non viene , essere regolato. Tentiamo qui di farlo noi:

AREE DI ATTIVITA UMANERUOLO ATTUALE DEI GAFAMDIRITTO APPLICABILE
ReligioneLa religione della tecnologia si è sostituita, come previsto da Saint-Simon e Teilhard de Chardin, a quelle tradizionaliDiritto costituzionale. Diritto ecclesiastico
CulturaL’Intelligenza Artificiale si è sostituita a quella umanaDiritto dei mezzi di comunicazione
PoliticaIl web è il principale canale di dibattitoDiritto costituzionale
DifesaL’IT è essenzialmente spionaggioDiritto sul segreto militare Diritto penale militare
EconomiaI GAFAM sono le imprese con il maggior livello di capitalizzazioneLegislazione di banca e borsa Antitrust
FiscalitàI GAFAM sfuggono quasi completamente al fiscoDiritto fiscale internazionale
Liberà di espressioneIl web, divenuto il più importante mezzo di comunicazione, condiziona pesantemente l’opinione pubblicaLegislazione sulla stampa, la censura e le elezioni

E’ impressionante che tutti i politici europei e nazionali intrattengano rapporti strettissimi con i guru dei GAFAM, che palesemente sfruttano il mercato europeo senza dare nulla in cambio, sottraendo all’ Europa  miliardi di dati dei cittadini europei, senza mai neanche porsi la questione che invece si pongono a ragione le autorità cinesi e perfino americane, vale a dire che quei guru contano molto più di loro e hanno assoggettato i loro Stati ad una vera e propria tutela. Una tutela totalitaria, perché essa non ammette concorrenza: si infiltrano nelle nostre menti, le controllano e le censurano, e, comunque, spostano inimmaginabili flussi finanziari fuori dai nostri Paesi.

L’idea che la tecnica sia “neutra” è smentita dai fatti: i guru dell’ informatica sono  dichiaratamente partigiani di una visione del mondo millenaristica, e costituiscono, con le loro idee, le loro alleanze, i loro soldi, le loro lobbies, le loro macchine, dei portatori potentissimi delle ideologie postumanistiche.

5.L’obiettivo dell’ Europa, ma anche delle Nazioni Unite, non può essere la Pace Perpetua

L’esperienza storica dimostra che il conflitto è coessenziale all’Umanità, come affermavano già Eraclito, Bertran de Borns, De Maistre, Nietzsche e Freud. Abolire l’alterità equivale ad abolire l’Umanità, come ben sapeva lo stesso Kant, a torto indicato come il cantore della “Pace Perpetua”. Infatti, come scriveva lo stesso Kant, non si può “raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Isaiah Berlin). Proprio questo costituisce infatti la Hybris, fonte prima dell’ Eterogenesi dei Fini (Wolff), in forza della quale i comportamenti umani sortiscono normalmente l’effetto opposto a quello perseguito dai loro autori. Ciò che i Greci chiamavano “fthonos ton theon”(“invidia degli Dei”), la stessa che, nella mitologia mesopotamica e nella Bibbia, aveva provocato il Diluvio Universale, e che oggi si manifesta nelle nevrosi, nella disoccupazione tecnologica, nelle Macchine Intelligenti e nella minaccia atomica. Esempio tipico, il tentativo di Serse, descritto da Erodoto nelle sue Storie, di portare la Persia, con la conquista dell’intera Europa, a “confinare con il regno degli Dei”. Una pretesa millenaristica  del mazdeismo ereditata, in Europa, non già dalle culture classiche, bensì dalle eresie delle Religioni del Libro, alle quali si è riallacciata la Modernità.

Per questo motivo, il “Patto per il Futuro” delle Nazioni Unite, appena adottato al Palazzo di Vetro con l’opposizione della Russia e dei suoi alleati e con l’astensione della Cina, suona come l’ennesima kafkiana “grida manzoniana” in un momento in cui centinaia di migliaia di soldati combattono su sempre nuovi fronti e gragnuole di missili, droni e altre armi intelligenti radono al suolo interi Paesi (come la Palestina, il Libano e il Donbass), mentre le potenze nucleari si minacciano reciprocamente l’uso dell’ arma nucleare. Basti, per convincersene, scorrere alcuni paragrafi del documento allegati al presente post.Questo, in palese contrasto con quanto affermato da Giorgia Meloni, che le organizzazioni internazionali non devono costituire un club dove si redigono “documenti inutili”.

Le Organizzazioni Internazionali, e perfino le Chiese, non raggiungeranno nessuno dei loro obiettivi fintantoché seguiranno la retorica di un mondo perfetto, mentre potranno invece essere determinanti se si renderanno conto che, oggi più che mai,  l’obiettivo primario, comune a tutti, è quello di sopravvivere (alla fame, alle bombe, alle macchine intelligenti): obiettivo per altro brillantemente conseguito per molti millenni grazie alle culture tradizionali, e che rischia di andare perduto a causa della frenesia perfettistica imperante, che andrebbe stroncata alla base, con una dottrina totalmente opposta.

6.L’Europa  deve passare dal campo dei fanatici millenaristi a quello della preservazione del Cosmo

Dalla più tenera infanzia, eravamo stati educati a credere a una Grande Narrazione occidentale che partiva dalla centralità del materialismo volgare rivestito di un moralismo ipocrita (la Prima Repubblica, le Comunità Europee); ci spiegava che la Storia è un faticoso percorso dalla scimmia al Superuomo (la “Teoria dello Sviluppo”); che i popoli antichi ed extraeuropei erano arretrati (Fukuyama); che i Moderni e gli Americani sono superiori (Huntington), e che il futuro dell’ Umanità sarebbe stato radioso (Teilhard de Chardin, Kurzweil). Se ci si provava ad obiettare che , mentre noi oggi siamo divenuti incapaci di creare (in tutti i sensi)perché le macchine ci hanno sostituiti,   gli antichi avevano le piramidi e Gilgamesh, il Partenone e Omero, la Bibbia e il Colosseo, l’esercito di Terracotta e il Genji Monogatari, l’Alhambra e la Divina Commedia, l’Ermitage e i Sepolcri, tutti ti “saltavano addosso” in nome del Progresso. Ora, un po’ meno.

Oggi, questa Grande Narrazione si presenta nella sua forma più pura, quella dello “Scontro di Civiltà” teorizzato nel secolo scorso da Samuel Huntigton. Un blocco di parole d’ordine ”auf  nichts gestellt”, per dirla con Goethe,cioè di  assai dubbio significato, messe insieme e ripetute maniacalmente per dare una fittizia illusione di realtà e coerenza: Centralità dell’ Uomo, Libertà, Democrazia, Governo delle Regole, Nazione, Autodeterminazione, Integrità Territoriale, Comunità Internazionale, Multilateralismo.

Ammesso che  avessero originariamente un senso reale, l’hanno perduto con la Guerra Fredda, il crollo dell’ URSS, l’informatica, le Covert Operations…

Oggi, invece, l’”establishment” dovrebbe addirittura esercitare una radicale autocritica, constatando che la scienza moderna ha distrutto la fede nel mondo obiettivo (Wittgenstein, Heisenberg, De Finetti, Feierabend); che lo sviluppo della cultura comporta anche la crescita della violenza (Auschwitz, Hiroshima, Nagasaki); che la tecnologia non sa più come ovviare ai suoi “effetti collaterali” (surriscaldamento atmosferico); che Internet  ci rende stupidi (Nicholas Carr); che l’obiettivo dell’ Intelligenza Artificiale è la distruzione dell’ Umanità (Bill Joy, Martin Rees). Contrariamente a quanto scrive Ezio Mauro su “La Repubblica”, non solo, nel “sistema occidentale”, non siamo mai stati liberi, ma tanto meno lo siamo ora nell’ Era delle Macchine Intelligenti. E’ vero che, come scrive Mauro, l’Intelligenza Artificiale e la guerra stanno anche stravolgendo concetti che parevano consolidati – nel caso specifico, quello di libertà-. Ma questo stravolgimento era in corso da gran tempo nella cultura “mainstream”, per esempio con l’attribuzione di  una connotazione di libertà a delle Rivoluzioni Atlantiche violente e genocidarie (pensiamo al colonnello Lynch, alle stragi di Lione); a movimenti nazionali non condivisi ed invece eterodiretti, per esempio dal Governo inglese, dalla Loggia Ausonia, dai finanziamenti occidentali a Mussolini…

A partire dalla Rivoluzione Americana e fino ad oggi,  veniva considerato ovvio che qualunque impegno civico, a sinistra come a destra, fosse volto verso una “società ideale”, con più etica, più cultura, più scienza, più tecnica, più benessere per tutti (il “mondo migliore” a cui ha fatto riferimento ancor ieri a Washington Giorgia Meloni). Oggi, l’impegno civico presuppone invece una scelta, pro o contro un “nuovismo” privo di logica e di progetto, e comunque deve dare la priorità alla reale preservazione del cosmo, senza retoriche “gride manzoniane” che nascondono soltanto una generale complicità con l’avanzata della Società del Controllo Totale.

Giustamente, Giorgia Meloni ha affermato che occorre invece agire. Combattere per la libertà europea è cetamente, oggi,più necessario che mai, ma ciò non significa certo appiattirsi sugli ordini da Occidente per fare la “guerra contro le autocrazie”, bensì elaborare una strategia con cui l’Europa possa uscire da questa guerra come indipendente da tutte le potenze esterne, divenendo essa stessa un autonomo Stato-Civiltà, capace di dare il proprio contributo, innanzitutto intellettuale, alla lotta mondiale attualmente in corso per il controllo sulle Macchine Intelligenti e, quindi, per la sopravvivenza dell’ Umanità.

ALLEGATO

ESTRATTO DAL “PATTO PER IL FUTURO”DELLE NAZIONI UNITE

“Action 21. We will adapt peace operations to better respond to existing

challenges and new realities.

42. United Nations peace operations, understood as peacekeeping

operations and special political missions, are critical tools to maintain

international peace and security. They face increasingly complex challenges

and urgently need to adapt, taking into account the needs of all Member States

and troop- and police-contributing countries, and the priorities and

responsibilities of host countries. Peace operations can only succeed when

political solutions are actively pursued and they have predictable, adequat e

and sustained financing. We reaffirm the importance of enhanced

collaboration between the United Nations and regional and subregional

organizations, in particular the African Union, including their peace support

operations and peace enforcement authorized by the Security Council to

maintain or restore international peace and security. We decide to:

(a) Call on the Security Council to ensure that peace operations are

anchored in and guided by political strategies, deployed with clear, sequenced

and prioritized mandates that are realistic and achievable, exit strategies and

viable transition plans, and as part of a comprehensive approach to sustaining

peace in full compliance with international law and the Charter;

(b) Request the Secretary-General to undertake a review on the future

of all forms of United Nations peace operations, taking into account lessons

learned from previous and ongoing reform processes, and provide strategic

and action-oriented recommendations for the consideration of Member

States on how the United Nations toolbox can be adapted to meet evolving

needs, to allow for more agile, tailored responses to existing, emerging and

future challenges;

18

(c) Ensure that peace operations engage at the earliest possible stage

in planning transitions with host countries, the United Nations country team

and relevant national stakeholders;

(d) Take concrete steps to ensure the safety and security of the

personnel of peace operations and improve their access to health facilities,

including mental health services;

(e) Ensure that peacekeeping operations and peace support

operations, including peace enforcement, authorized by the Security Council

are accompanied by an inclusive political strategy and other non -military

approaches and address the root causes of conflict;

(f) Encourage the Secretary-General to convene regular high-level

meetings with relevant regional organizations to discuss matters pertaining

to peace operations, peacebuilding and conflicts;

(g) Ensure adequate, predictable and sustainable financing for African

Union-led peace support operations mandated by the Security Council in line

with Security Council resolution 2719 (2023) of 21 December 2023.

Action 22. We will address the serious impact of threats to maritime

security and safety.

43. We recognize the need to address the serious impact of threats to

maritime security and safety. All efforts to address threats to maritime

security and safety must be carried out in accordance with international law,

including particularly as reflected in the principles embodied in the Charter of

the United Nations and the 1982 United Nations Convention on the Law of the

Sea,13 taking into account other relevant instruments that are consistent with

the Convention. We decide to:

(a) Enhance international cooperation and engagement at the global,

regional, subregional and bilateral levels to combat all threats to maritime

security and safety, in accordance with international law;

(b) Promote information-sharing among States and capacity-building

to detect, prevent and suppress such threats in accordance with international

law.

Action 23. We will pursue a future free from terrorism.

44. We strongly condemn terrorism in all its forms and manifestations

committed by whomever, wherever, whenever. We reaffirm that all terrorist

acts are criminal and unjustifiable regardless of their motivation or how their

perpetrators may seek to justify them. We highlight the importance of putting

measures in place to counter the dissemination of terrorist propaganda,

preventing and suppressing the flow of financing and material means for

terrorist activities, as well as recruitment activities of terrori st organizations.

We reaffirm that terrorism and violent extremism conducive to terrorism

cannot and should not be associated with any religion, civilization or ethnic

group. We will redouble our efforts to address the conditions conducive to the

spread of terrorism, prevent and combat terrorism, build States’ capacity to

prevent and combat terrorism and strengthen the role of the United Nations

system. The promotion and protection of international law, including

international humanitarian law and international human rights law, and

respect for human rights for all and the rule of law are the fundamental basis

__________________

13 United Nations, Treaty Series, vol. 1833, No. 31363.

19

of the fight against terrorism and violent extremism conducive to terrorism.

We decide to:

(a) Implement a whole-of-government and whole-of-society approach

to prevent and combat terrorism and violent extremism conducive to

terrorism, including by addressing the drivers of terrorism, in accordance with

international law;

(b) Address the threat posed by the misuse of new and emerging

technologies, including digital technologies and financial instruments, for

terrorist purposes;

(c) Enhance coordination of the United Nations counter -terrorism

efforts and cooperation between the United Nations and relevant regional and

subregional organizations to prevent and combat terrorism in accordance

with international law, while considering revitalizing efforts towards the

conclusion of a comprehensive convention on international terrorism.

Action 24. We will prevent and combat transnational organized crime and

related illicit financial flows.

45. Transnational organized crime and related illicit financial flows can pose

a serious threat to international peace and security, human rights and

sustainable development, including through the possible links that can exist

in some cases between transnational organized crime and terrorist groups.

We decide to:

(a) Scale up efforts in addressing transnational organized crime and

related illicit financial flows through comprehensive strategies, including

prevention, early detection, investigation, protection and law enforcement,

tackling the drivers, and engagement with relevant stakeholders;

(b) Strengthen international cooperation to prevent and combat

transnational organized crime in all its forms, including when committed

through the use of information and communications technology systems, and

we welcome the elaboration of the draft United Nations Convention against

Cybercrime.

Action 25. We will advance the goal of a world free of nuclear weapons.

46. A nuclear war would visit devastation upon all humankind and we must

make every effort to avert the danger of such a war, bearing in mind that “a

nuclear war cannot be won and must never be fought”. We will uphold our

respective obligations and commitments. We reiterate our deep concern over

the state of nuclear disarmament. We reaffirm the inalienable right of all

countries to develop research, production and use of nuclear energy for

peaceful purposes without discrimination, in conformity with their r espective

obligations. We decide to:

(a) Recommit to the goal of the total elimination of nuclear weapons;

(b) Recognize that, while the final objective of the efforts of all States

should continue to be general and complete disarmament under effective

international control, the immediate goal is elimination of the danger of a

nuclear war and implementation of measures to avoid an arms race and clear

the path towards lasting peace;

(c) Honour and respect all existing security assurances undertaken,

including in connection with the treaties and relevant protocols of nuclear –

weapon-free zones and their associated assurances against the use or threat

of use of nuclear weapons;

20

(d) Commit to strengthening the disarmament and non-proliferation

architecture and work to prevent any erosion of existing international norms

and take all possible steps to prevent nuclear war;

(e) Seek to accelerate the full and effective implementation of

respective nuclear disarmament and non-proliferation obligations and

commitments, including by adhering to relevant international legal

instruments and through the pursuit of nuclear-weapon-free zones to enhance

international peace and security and the achievement of a nuclear -weaponfree

world.

Action 26. We will uphold our disarmament obligations and commitments.

47. We express our serious concern at the increasing number of actions that

are contrary to existing international norms and non -compliance with

obligations in the field of disarmament, arms control and non -proliferation.

We will respect international law that applies to weapons, means and methods

of warfare, and support progressive efforts to effectively eradicate the illicit

trade in arms. We recognize the importance of maintaining and strengthening

the role of the United Nations disarmament machinery. An y use of chemical

and biological weapons by anyone, anywhere and under any circumstances is

unacceptable. We call for full compliance with and implementation of relevant

treaties. We reaffirm our shared determination to exclude completely the

possibility of biological agents and toxins being used as weapons and to

strengthen the Convention on the Prohibition of the Development, Production

and Stockpiling of Bacteriological (Biological) and Toxin Weapons and on

Their Destruction.14 We decide to:

(a) Revitalize the role of the United Nations in the field of disarmament,

including by recommending that the General Assembly pursue work that could

support preparation of a fourth special session devoted to disarmament

(SSOD-IV);

(b) Pursue a world free from chemical and biological weapons and

ensure that those responsible for any use of these weapons are identified and

held accountable;

(c) Address emerging and evolving biological risks through improving

processes to anticipate, prevent, coordinate and prepare for such risks,

whether caused by natural, accidental or deliberate release of biological

agents;

(d) Identify, examine and develop effective measures, including

possible legally binding measures, to strengthen and institutionalize

international norms and instruments against the development, production,

acquisition, transfer, stockpiling, retention and use of biological agents and

toxins as weapons;

(e) Strengthen measures to prevent the acquisition of weapons of

mass destruction by non-State actors;

(f) Redouble our efforts to implement our respective obligations under

relevant international instruments to prohibit or restrict conventional weapons

due to their humanitarian impact and take steps to promote all relevant

aspects of mine action;

(g) Strengthen our national and international efforts to combat, prevent

and eradicate the illicit trade in small arms and light weapons in all its aspects;

__________________

14 Ibid., vol. 1015, No. 14860.

21

(h) Address existing gaps in through-life conventional ammunition

management to reduce the dual risks of unplanned conventional ammunition

explosions and the diversion and illicit trafficking of conventional ammunition

to unauthorized recipients, including to criminals, organized criminal groups

and terrorists.

Action 27. We will seize the opportunities associated with new and

emerging technologies and address the potential risks posed by their

misuse.

48. We recognize that rapid technological change presents opportunities

and risks to our collective efforts to maintain international peace and security.

International law, including the Charter, will guide our approach to addressing

these risks. We decide to:

(a) Advance further measures and appropriate international

negotiations to prevent an arms race in outer space in all its aspects, which

engage all relevant stakeholders, consistent with the provisions of the Treaty

on Principles Governing the Activities of States in the Exploration and Use of

Outer Space, including the Moon and Other Celestial Bodies; 15

(b) Advance with urgency discussions on lethal autonomous weapons

systems through the Group of Governmental Experts on Emerging

Technologies in the Area of Lethal Autonomous Weapons Systems with the

aim to develop an instrument, without prejudging its nature, and other possible

measures to address emerging technologies in the area of lethal autonomous

weapons systems, recognizing that international humanitarian law continues

to apply fully to all weapons systems, including the potential development and

use of lethal autonomous weapons systems;

(c) Enhance international cooperation and capacity-building efforts in

order to bridge the digital divides and ensure that all States can safely and

securely seize the benefits of digital technologies;

(d) Continue to assess the existing and potential risks associated with

the military applications of artificial intelligence and the possible

opportunities throughout their life cycle, in consultation with relevant

stakeholders;

(e) Request the Secretary-General to continue to update Member

States on new and emerging technologies through the report of the Secretary-

General on current developments in science and technology and their

potential impact on international security and disarmament efforts.

III. Science, technology and innovation and digital cooperation

49. Science, technology and innovation have the potential to accelerate the

realization of the aspirations of the United Nations across all three pillars of its

work. We will only realize this potential through international cooperation to

harness the benefits and take bold, ambitious and decisive steps to bridge the

growing divide within and between developed and developing countries and

accelerate progress on the 2030 Agenda. Billions of people, especially in

developing countries, do not have meaningful access to critical life-changing

technologies. If we are to make good on our promise to leave no one behind,

sharing science, technology and innovation is essential. Innovations and

scientific breakthrough that can make our planet more sustainable and our

__________________

15 Ibid., vol. 610, No. 8843.

22

countries more prosperous and resilient should be affordable and accessible to

all.

50. At the same time, we must responsibly manage the potential risks posed

by science and technology, in particular the ways in which science, technology

and innovation can perpetuate and deepen divides, in particular the gender

gap and patterns of discrimination and inequality within and between

countries and adversely impact the enjoyment of human rights and progress

on sustainable development. We will deepen our partnerships with relevant

stakeholders, especially the international financial institutions, the private

sector, the technical and academic communities and civil society, and we will

ensure that science, technology and innovation is a catalyst for a more

inclusive, equitable, sustainable and prosperous world for all, in which all

human rights are fully respected.

51. Digital and emerging technologies, including artificial intelligence, play a

significant role as enablers of sustainable development and are dramatically

changing our world. They offer huge potential for progress for the benefit of

people and planet today and in the future. We are determined to realize this

potential and manage the risks through enhanced international cooperation,

engagement with relevant stakeholders, and by promoting an inclusive,

responsible and sustainable digital future. We have an nexed a Global Digital

Compact to this Pact in this regard.

Action 28. We will seize the opportunities presented by science, technology

and innovation for the benefit of people and planet.

52. We will be guided by the principles of equity and solidarity, and promote

the responsible and ethical use of science, technology and innovation. We

decide to:

(a) Foster and promote an open, fair and inclusive environment for

scientific and technological development and cooperation worldwide,

including through actively building trust in science and global collaboration on

innovation;

(b) Increase the use of science, scientific knowledge and scientific

evidence in policymaking and ensure that complex global challenges are

addressed through interdisciplinary collaboration;

(c) Encourage talent mobility and circulation, including through

educational programmes, and support developing countries to retain talent

and prevent a brain drain while providing suitable educational and working

conditions and opportunities for the workforce.”