Disponibile da gennaio 2018
 
 
 

10 MAGGIO SALONE OFF: POMERIGGIO DEDICATO AL RAPPORTO, NELLA STORIA, FRA EUROPA E CINA

Giovedì 10 maggio ore 18
Centro Studi San Carlo, Via Monte di Pietà 1

Incontro con l’autore
“Prendersi cura dell’Europa… con un occhio alla Cina”

In occasione della pubblicazione di DA QIN, L’ Europa sovrana in un mondo multipolare, tredici ipotesi di lavoro per un federalismo europeo del XXI secolo, di RICCARDO LALA

A cura di Alpina in collaborazione con Associazione Culturale Diàlexis, Rinascimento Europeo, ANGI-Associazione Nuova  Generazione  Italo-cinese, Movimento Federalista Europeo.

Chi, come il Presidente Macron, invoca un “sovranismo europeo”,  ha poi anche la responsabilità di trasformare questo slogan in realtà, rendendo l’ Europa veramente autonoma: nella cultura, nella tecnologia, nella politica, nell’ economia, nei costumi, nella difesa, nel rispetto delle tradizioni pluralistiche delle nostre terre. A ciò basterebbe forse un serio ri-orientamento delle istituzioni esistenti verso i loro compiti autentici: della scuola, verso una cultura alta; dei fondi dell’Unione e delle Forze Armate, verso tecnologie di punta e autonome; dell’Unione, verso le nostre antiche tradizioni costituzionali; delle industrie verso i “campioni europei di alta tecnologia”; delle imprese, verso il “modello sociale europeo”.

L’autore, che ha vissuto in prima persona le successive crisi dell’Europa, come studioso, eurofunzionario, manager, editore, scrive di tutto ciò, come ha detto Roberto Esposito, “guardando all’ Europa da fuori”, cioè senza pregiudizi “eurocentrici”, e, innanzitutto, partendo dal Paese che, per antichità e dimensioni, più ci assomiglia: la Cina. Per questa somiglianza, gli antichi Cinesi chiamavano l’Europa addirittura “Da Qin” (la “Grande Cina”). La Via della Seta, che fin dai tempi dell’Impero Romano e di quello germanico univa Roma con le capitali cinesi, è stata anche l’asse delle altre grandi civiltà: persiane, greco-macedoni, islamiche e turco-mongole. La Nuova Via della Seta -una rete inestricabile, già in costruzione, di treni, autostrade e porti-, costituisce una fondamentale speranza per rilanciare, attraverso le nuove tecnologie, il commercio e il turismo, l’economia e la cultura dell’Italia e dell’Europa, travolte da un’interminabile decadenza.
Ne discutono, con l’Autore, Stefano Commodo, Fondatore e animatore dell’Associazione Rinascimento Europeo, Giuseppina Merchionne, docente di lingua cinese della Università Cattolica di Milano e presidente del Centro di Scambi culturali Italia Cina ‘The Belt and Road Iniziative’, Ming Chen, segretario dell’ Associazione Nuova Generazione Italo-Cinese, e il Professor Alfonso Sabatino, del Movimento Federalista Europeo. Modera Marco Margrita.

ATTUALITA’ DEL TEMA

Come volevasi dimostrare, i partiti italiani sono stati incapaci di esprimere un qualsiasi accordo, seppur minimale, sicché si andrà al più presto a nuove elezioni. Lo stallo italiano non è che una casella dello stallo generalizzato dell’Europa, incapace di esprimere una qualsivoglia politica su qualunque dei problemi più urgenti: il rapporto con Trump e le multinazionali del web; i migranti; la politica estera e di difesa; i micro-nazionalismi.
La morte per esaurimento dei partiti tradizionali, trasformati tutti in “partiti di plastica” di carrieristi e trasformisti, o da questi sostituiti, non è che il sintomo esteriore della fine delle “grandi narrazioni” sette-ottocentesche, soppiantate dalle nuove ideologie. Da un lato, la religione del web, che persegue un progetto di controllo, da parte delle Big Five, sugli Stati e la società civile; del controllo, sulle Big Five, da parte del Complesso Informatico-Militare, e dei Big Data sul Complesso Informatico-Militare; dall’ altro, i poteri sub-continentali (americano, cinese, russo, islamico), che tentano di frenare, e/o indirizzare secondo loro progetti, l’emergenza del potere informatico globale, nel nome delle rispettive tradizioni storiche.
In questa lotta, stanno perdendosi tutti i margini di sopravvivenza dell’umanità, travolta dai social networks, dalla schedatura universale e dalla disoccupazione tecnologica. L’Europa, che non possiede, né un servizio segreto, né i Big Data, né le multinazionali del web, brilla per la sua impotenza. Se l’economia del 21° secolo è trainata dall’ Intelligenza Artificiale, dai Big Data, dai grandi providers, l’Europa, che non ne ha, non può avere, ora  più che mai, un ruolo gregario, dove si localizzano le obsolete attività esecutive e dove si trovano i disoccupati, mentre le attività apicali, di potere, prestigiose e ben pagate si concentrano nelle Grandi Potenze.
È inutile lamentare questa situazione senza fare, né almeno, pensare, nulla di nuovo.
Per questo, è fondamentale guardarci intorno, per vedere quali trasformazioni del quadro geopolitico globale siano atte a provocare contraccolpi tali, da rendere possibile la nascita di un vero soggetto geopolitico europeo, fornito degli attributi fondamentali di una potenza regionale in quest’era tecnologica: un progetto di umanesimo tecnologico, un “nocciolo duro” tecnologico; una politica estera di difesa.
Fra le novità geopolitiche emergenti, la più inequivocabile è l’ascesa della Cina in tutti i campi: culturale, ideologico, geo-politico, economico e militare. Per questo motivo, per tentare di affrontare con un minimo di chances i problemi più urgenti dell’ Europa e dell’ Italia, è giocoforza cercare di comprendere la Cina, le ragioni della sua ascesa, le sue prospettive immediate e a lungo termine, per trarne insegnamenti per l’ Europa e per cogliere le opportunità che la sua crescita presenta.
Questo è l’obiettivo del libro “DAQIN, l’ Europa sovrana in un mondo multipolare, 13 proposte di studio  per un federalismo europeo del 21° secolo”, Alpina, Torino” .

 

I GURU DELLA FINANZA E DELL’ INFORMATICA CONTRO LE “BIG FIVE”?

CI SCUSIAMO CON I LETTORI PER L’INVIO, PER ERRORI TECNICI, DI UNA VERSIONE “BOZZA” IN LUOGO DI QUELLA AUTENTICA, CHE RINVIAMO QUI DI SEGUITO:

L’articolo di George Soros su “Il Sole 24 Ore” della settimana scorsa ha messo un evidenza qualcosa di singolare:il fatto che i guru americani della finanza e dell’ informatica siano divenuti critici delle Big Five, mentre prima ne erano i cantori. Nel fare ciò, talvolta diventano perfino filosofi, come George Soros, che ha recentemente scritto:” L’abilità dell’uomo di sfruttare le forze della natura per scopi sia costruttivi che distruttivi continua a crescere, mentre quella di autogovernarsi, generalmente oscillante, è in ribasso”.
E continua:”L’ascesa e il comportamento monopolistico delle grandi piattaforme Internet americane contribuisce all’impotenza del governo statunitense. Queste aziende hanno spesso avuto un ruolo innovativo ed emancipatore. Diventando, però, sempre più potenti, Facebook e Google sono diventati un ostacolo all’innovazione e hanno causato una serie di problemi di cui cominciamo a prendere coscienza solo ora”.Strano, perché noi ne stavamo parlando da almeno una decina di anni, ma nessuno, allora, ci prendeva sul serio.

Infatti, ” Le industrie minerarie e petrolifere sfruttano l’ambiente fisico, mentre i social network sfruttano quello sociale. Ciò è deleterio perché tali realtà influenzano il modo di pensare e il comportamento delle persone senza che queste neppure se ne accorgano. Inoltre, interferisce con il funzionamento della democrazia e l’integrità delle elezioni.” Nessuno è più d’accordo di noi. Ma i giornali e le televisioni che appartengono ai grandi magnati non si somno comportati da sempre nello stesso modo?
“…. non potendo fare a meno di queste piattaforme e dovendone accettare le condizioni, i fornitori di contenuti contribuiscono anch’essi a incrementare i profitti delle società di social media. ” il fatto di avere il quasi monopolio della distribuzione le rende dei servizi pubblici e, pertanto, andrebbero assoggettate a una normativa più severa, tesa a preservare la concorrenza, l’innovazione e un accesso equo e aperto a tutti. ” ” Qui non si tratta di semplice distrazione o dipendenza; i social media stanno, di fatto, inducendo le persone a rinunciare alla propria autonomia. E questo potere di plasmare l’attenzione della gente va sempre più concentrandosi nelle mani di un ristretto numero di aziende.
Ci vuole un grande sforzo per affermare e difendere ciò che John Stuart Mill definì ‘libertà della mente’. Una volta perduta, infatti, coloro che crescono nell’era digitale potrebbero non riuscire a riconquistarla”.
”Secondo Soros, “ Ciò potrebbe tradursi in una rete di controllo totalitario, che nemmeno George Orwell avrebbe potuto immaginare.”Ma, in realtà, qui stiamo assistendo all’ inveramento non solo di Orwell, bensì anche di Capek, di Huxley e di Asimov

Negli Usa, le autorità di regolamentazione non sono abbastanza forti da resistere all’influenza politica dei monopoli. La Ue, in questo senso, è avvantaggiata perché non ha colossi digitali propri.
La Ue utilizza una definizione diversa di potere monopolistico rispetto agli Stati Uniti. Mentre la legge americana si concentra sui monopoli creati per acquisizione, la legge europea proibisce l’abuso del potere monopolistico a prescindere da come venga raggiunto. L’Europa, fra l’altro, ha una normativa sulla privacy e sulla protezione dei dati sensibili molto più severa di quella americana.

In effetti, è l’ Europa che ha condotto le indagini contro l’abuso di posizione dominante di Google, ma anche procedure per aiuti di Stato e la Causa Shrems contro GFacebook.Secondo Soros
,”Margrethe Vestager, è la promotrice dell’approccio europeo. La Ue ha impiegato sette anni per intentare una causa contro Google, ma il successo ottenuto ha impresso un’accelerazione notevole al processo verso una regolamentazione adeguata. Inoltre, grazie all’impegno del commissario Vestager, l’approccio europeo ha cominciato a influenzare alcuni atteggiamenti negli Usa.
Il declino del dominio globale delle società del web statunitensi è solo una questione di tempo. La regolamentazione e la tassazione, promosse da Vestager, saranno la loro rovina.”

Non crediamo, purtroppo, che questo sia il caso, perché il furto dei dati a livello internazionale è fin troppo utile ad altri soggetti, che perseguono obiettivi ancora più liberticidi delle Big Five: i costruttori dell’ Intelligenza Artificiale e i servizi segreti. Non per nulla, la Causa Schrems si è arenata dinanzi all’ inderogabilità della legislazione postale americana in materia di sicurezza nazionale. I primi hanno bisogno di “profilare” tutti gli abitanti del mondo per costruire l’Uomo Artificiale; i secondi, , per organizzare una cyberguerra mondiale in cui praticamente ogni essere umano potrà essere colpito individualmente in base alla sua conformità o meno agli standard preferiti. Cumulando questi due poteri, abbiamo già lo scenario della Singularity di cui parla Kurzweil, che coincide con la Guerra al tempo delle Macchine Intelligenti di Manuel De Landa.

Giacché la Cyberguerra può essere condotta solo dalle macchine grazie alla loro profilazione dettagliata dell’ intera umanità, quando le macchine saranno più intelligenti smetteranno di farsi la guerra fra di loro e incominceranno a colpire quegli uomini che sono più contrari alla Società delle Macchine Intelligenti. A questo fine, sarà preziosissima la profilazione di tutti noi contenuta nei Big Data di Salt Lake City.

SONO FRA QUELLI CHE HANNO VENDUTO L’ASPERA DI RIVA DI CHIERI

La vendita dell’ Aspera (azienda fabbricante a suo tempo i compressori per i Frigoriferi FIAT), alla Whirlpool, il maggior fabbricante d’America di elettrodomestici (nel 1985, cioè trentatre anni fa), costituisce la premessa storica della tormentata vicenda dell’odierna Embraco di Riva di Chieri, l’unità produttiva che la multinazionale americano-brasiliana sta ora chiudendo nonostante le proteste del Ministro dello Sviluppo Economico, e perfino del Papa.
Avendo partecipato in prima persona alla cessione al gruppo Whirlpool, credo possano risultare interessanti alcune mie considerazioni, che possono valere in parte anche per altre operazioni di questi giorni, come la vendita di Italo, la scalata di Mercedes e la chiusura dell’ Iol di Torino.
1.Un po’ di storia

Era il 1985: la società di management Fiat Componenti Spa era incaricata della gestione di un’ ottantina di Società nel settore dell’ industria leggera, con l’obiettivo sostanziale di riaccorparle in modo diverso. Io ero il responsabile del Servizio Legale. In 6 anni, vendemmo una quarantina di società e ne comprammo altrettante, riorientandoci verso il settore dei componenti autoveicolistici (intorno ai gruppi Marelli e Gilardini). L’obiettivo dichiarato era quello di migliorare la situazione patrimoniale del Gruppo, permettendogli di concentrarsi sul “core business” autoveicolistico, magari in vista di un’alleanza del tipo di quella che sarà poi la FCA. In quell’epoca, sembrava avvio che i possibili acquirenti potessero essere solo multinazionali americane, come la Whirlpool o la PPG.
2.Abbiamo proceduto alla cieca
E’ tuttavia scioccante considerare, con il senno di poi, quanto il contesto attuale fosse già allora prevedibile, tanto per ciò che riguarda le tendenze della Whirlpool e dell’industria americana in generale, quanto per il futuro dell’Europa Orientale. La situazione sociale a Benton Harbor (fra Chicago e Detroit), sede del Gruppo Whirlpool, era, e ancora è, ben peggiore che a Torino o in Slovacchia. Se il vero problema fosse stato quello dei bassi salari, allora quale sede migliore di Benton Harbor, con un reddito medio pro-capite di 9000 Dollari (cioè 7000 Euro) l’anno? Un’ennesima prova della non affidabilità delle teorie economiche prevalenti. Infatti, il sito di Benton Harbor è stato da sempre boicottato da parte di Whirlpool, ma per motivi prettamente politici. La situazione era, ed è, colà, esplosiva, con il 93% della popolazione composta da afroamericani e il primato storico degli scontri razziali in USA (1960,1966, 1967, 1990 e 2003).
Nel frattempo erano accadute tante cose che mettevano a soqquadro le previsioni di allora: la caduta del Muro di Berlino, l’acquisizione della maggioranza delle azioni Embraco da parte di Whirlpool, e di Aspera da parte dell’ Embraco stessa, l’apertura di Embraco Slovakia, nonché la costituzione di una joint venture Embraco in Cina, il tutto sotto l’egida della Whirlpool.
Come noto, tutti i Paesi dell’ ex blocco dell’ Est sono stati in grande sviluppo a partire dagli anni ‘90, sicché sembrava logico che molte attività economiche europee, superata la crisi della transizione, si localizzassero di preferenza in quelle zone d’Europa. In quel processo, la questione dei bassi salari, che tanta demagogia scatena da noi, ha avuto un ruolo effettivo, ma non certo esclusivo, né permanente. Si noti che, grazie ai i recentissimi accordi collettivi, a Spišská Nová Ves, sede dell’ Embraco Slovakia, lo stipendio di un operaio è di quasi 7-800 Euro al mese per 14 mensilità (cioè circa il reddito medio di Benton Harbor), mentre le più recenti offerte di lavoro in Piemonte (per esempio, a Mondovì) sono anch’esse di 800 Euro al mese , ma per neolaureati! Semmai, il “dumping sociale” lo sta facendo la (ex-)Provincia di Cuneo. D’altro canto, visto che i gruppi Whirlpool e Embraco posseggono fabbriche in tutto il mondo è ben difficile accertare se, come si dice a Riva di Chieri, “i 500 posti di lavoro verranno trasferiti in Slovacchia”, o in qualche altro stabilimento, o non verranno trasferiti affatto. L’unica cosa certa è che, per effetto delle misure protezionistiche del Presidente Trump, sono state fatte in questi giorni, a Benton Harbor, 200 nuove assunzioni.
L’elemento fondamentale del successo dell’Europa Centrale è stato costituito, non già dai salari che si pretende siano particolarmente bassi, bensì dalle ottime prospettive di espansione dei mercati (dovute, se non altro, agli “effetti di trascinamento” della transizione), e dalle gloriose tradizioni tecniche (Spišská Nová Ves si trova al confine fra Slovacchia e Polonia, un’area che, oltre che per gl’impianti sciistici, è nota per le sue industrie militari e di precisione). Oggi, per questi motivi , la Slovacchia è divenuta la maggior produttore automobilistico d’ Europa.
Avevo condotto a suo tempo, nell’ area carpatica, trattative per l’acquisizione di due fabbriche di motori d’ aereo, una, nella capitale slovacca Bratislava, incaricata a suo tempo dal Comitato Centrale sovietico, della costruzione, su licenza URSS, di un motore per l’intero Patto di Varsavia, e, l’altra, non molto oltre la frontiera polacca, fatta costruire addirittura già negli Anni Trenta dal Maresciallo Pilsudski.
2.Adesso tutti si stupiscono

In questi 33 anni, tutto il processo d’ internazionalizzazione è stato intanto condotto congiuntamente da Americani e Brasiliani, e la fabbrica di Riva di Chieri è rimasta sempre più una semplice unità produttiva periferica, dove, ogni qualche anno, il Ministero dell’ Industria (oggi ribattezzato assurdamente “Ministero dello Sviluppo Economico”), pagava qualche decina di milioni per impedire una chiusura da tanto tempo attesa.
Dopo tutti questi anni, Il Ministro Calenda e i giornalisti italiani non capiscono ancora (o fingono di non capire) perché la Whirlpool rifiuti offerte obiettivamente vantaggiose del Governo Italiano, e hanno accusato, davanti la Commissione Europea, la Slovacchia di fare dumping sociale, ma, in realtà, dovrebbero prendersela piuttosto con il Presidente Trump, che forza le multinazionali con una sostanziale componente americana (comprese in primo luogo la FCA e l’Embraco), a rilocalizzare negli USA. Ad esempio, grazie ai recentissimi dazi imposti contro le importazioni coreane, la Whirlpool assumerà nel prossimo futuro i nuovi 200 dipendenti addirittura nell’odiata Benton Harbor. Tra l’altro, se vantaggi fiscali esistono oggi in Slovacchia, sono gli stessi previsti dai trattati di adesione e di cui hanno goduto le imprese italiane in Polonia.
Tutte queste cose messe insieme (sviluppo dei BRICS e dell’ Est Europa, spostamento delle produzioni e livellamento dei tenori di vita, protezionismo americano) si potevano prevedere fin dall’ inizio, e, soprattutto gestire a livello europeo. Lo posso testimoniare perché a partire dalla Perestrojka, facevo parte del gruppo di lavoro della FIAT sull’ Est Europa e l’Estremo Oriente. Invece, la cultura economica e politica iper-ideologizzata delle nostre classi dirigenti, il prevalere degl’interessi corporativi e la subordinazione ai gruppi americani, hanno fatto sì che l’ Europa non traesse, dall’espansine a Est, quei giovamenti ch’era logico attendersi, e che, anzi, ne risultasse addirittura danneggiata, creando, nei Paesi di Visegràd, quasi una “quinta colonna”.
La causa di tutto ciò è stato, in particolare, iI micidiale mix di liberismo e di keynesismo a cui siamo stati educati, a partire dal Piano Marshall, da una propaganda martellante (politica, accademica, economica, aziendale e sindacale), che ci ha fatto dimenticare che ciò che guida, da sempre, l’economia (sia essa americana, brasiliana, cinese o slovacca), al di là delle retoriche ideologiche, è l’interesse nazionale. Invece, l’Unione Europea ha rifiutato, e ancora rifiuta, di vedere che vi è un obiettivo “Interesse Europeo”, ch’essa sarebbe chiamata a rappresentare e difendere. Difesa che non dovrebbe consistere in anacronistici dazi, bensì in quella “Advocacy”, come dicono gli Americani (“Cospirazione nell’ Interesse Pubblico”, come dicono i Francesi, o “zouchuqu”-“andar fuori”, come dicono i Cinesi) per cui, grazie alla regia dello Stato o delle organizzazioni imprenditoriali, le molte forze (politiche, economiche, tecnologiche, culturali, militari) di un Paese si muovono all’unisono per vincere nella competizione internazionale, come precisato puntigliosamente nella nuova dottrina americana di difesa. In Europa, questo non solo non esiste, bensì è, in pratica, vietato perfino parlarne, grazie a un muro di gomma che, da sempre, “gela” ogni discorso su questo argomento.
3.Che cosa dovremmo fare?
Se Obama ha potuto “montare” l’americanizzazione della FIAT e la contro-mossa all’acquisizione della General Motors tedesca; se Trump ha reagito alle nuove misure europee contro le multinazionali del Web con una sorta di “condono” per farle rientrare in America e ha costretto le grandi imprese industriali a rilocalizzarsi in America; se, in Cina, la creazione di Zone Economiche Speciali è una prerogativa del governo centrale, non già dei governi prpovinciali, ci sarà bene una ragione. Invece, da noi, tutti (multinazionali, imprese nazionali, Stati membri, Autorità locali) possono fare tutto ciò che vogliono, in pratica beccandosi fra di loro come i capponi di Renzo.
Adesso, ci si si scandalizza, improvvisamente, per il fatto che gli Stati membri si facciano una certa concorrenza fiscale, o che le multinazionali vadano là dove risulta loro più conveniente. Ma, con la cultura politico-economica apolide (“apatride”, come avrebbe detto il Generale De Gaulle), che caratterizza le nostre classi dirigenti, le cose sono andate sempre così e continueranno ad andare così. Come scriveva già nel 1968 Jean-Jacques Servan-Schreiber, abbiamo costruito il Mercato Unico per permettere alle multinazionali americane di operare più facilmente in Europa, mentre però le imprese europee non ne approfittano (e, stanno, difatti, progressivamente scomparendo): vedi Olivetti, British Leyland, Minitel, FIAT, Nokia, Volvo, Pirelli…).
Mi sono occupato da 46 anni (con “cappelli” estremamente differenti, ma, purtroppo, sempre senza nessun effettivo potere decisionale), dell’ internazionalizzazione delle imprese italiane. Se avessimo cominciato fin da subito a fare una politica economica e una programmazione territoriale paneuropea, con regole certe e un chiaro principio di “Europe First”, non ci troveremmo a contenderci delle periferiche unità produttive di proprietà di americani, brasiliani, giapponesi, indiani, arabi, nigeriani e cinesi, mentre le holding extraeuropee, che, con i loro profitti, i loro stipendi miliardari, i loro super-consulenti, sono veramente “il grasso” del mondo industriale, stanno sempre più fuori dei nostri confini.
Paradossalmente, gli unici che avevano parlato di una programmazione europea (già fin dagli Anni ’60) erano stati Giovanni Agnelli e Ugo La Malfa.

3.Sulle specializzazioni dell’ Italia.

Non solo List e Halecki, bensì perfino Adam Smith e Marx, avevano attribuito un ruolo centrale alla divisione internazionale del lavoro. In questa divisione, indipendentemente dalle ideologie professate, è comunque un vantaggio avere sul proprio territorio le attività più importanti, dal punto di vista politico, culturale, finanziario, economico, militare, ecc… In concreto, è meglio essere Papi che non parroci, “maîtres-à-penser” che non maestri di scuola, finanzieri che bancari, imprenditori che precari, Capi di Stato Maggiore piuttosto che caporali. Questo non è sciovinismo, è una realtà di fatto.
Attirare le attività chiave è comunque da sempre una delle prime cose che i cittadini chiedono alla politica, a cominciare dai monasteri medievali, dalle accademie culturali, dai bachi da seta, dalle manifatture di porcellana, e per finire con l’Arte Astratta.
E’, di converso, semplicemente ovvio che l’ Unione Europea non è in grado di raggiungere questi obiettivi. Basti vedere che Kurzweil, Musk, Zuckerberg e Bostrom decidono dall’ America il futuro dell’ Universo; Papa Francesco sta a Roma ma è argentino; i grandi capitali appartengono allo Stato cinese, a Soros, agli emiri arabi e ai finanzieri nigeriani; le holding dei grandi gruppi stanno in America e in Cina, le decisioni sostanziali, nella NATO, le prende il Presidente degli Stati Uniti, ecc…
Rovesciare questa realtà è, oggi, impossibile. D’altronde, un mondo multipolare richiede che le attività cruciali siano ripartite equamente nel mondo, in base alle rispettive “specializzazioni”. Sotto questo punto di vista, può anche essere logico che l’Europa, e, soprattutto, l’ Italia, non sia specializzata nelle moderne attività industriali e finanziarie, perché è già il centro dell’unica Chiesa con una presenza universale, dispone di una tradizione culturale unica (Greci, Romani, Rinascimento, Paestum, Pompei, Roma, Firenze, Venezia…), ha un patrimonio paesaggistico (Alpi, isole, campagne) amato in tutto il mondo…
Purtroppo, sotto l’influenza dei miti della modernità (anticlassicismo, tecnocrazia, industria), anche queste potenzialità sono state messe progressivamente da parte (abbandono del Greco e del Latino, tagli alla cultura, scempi ambientali come l’Ilva, Bagnoli, Gela…), prima, sotto l’influenza dell’ ideologia autarchica dello Stato nazionale (industrie militari, cultura “nazionale” e priorità alle industrie di base), e, poi, sotto quella di un confuso mondialismo.
Oggi, quando si è oramai realizzato lo scenario globalizzato e multipolare, quelle politiche risultano sconfitte dai fatti. La Chiesa è ormai maggioritariamente extraeuropea; abbiamo ancora, dopo 75 anni, in Europa, 500.000 soldati americani, in gran parte nelle più di 100 basi in Italia; solo più l’Eni, Leonardo e Generali possono ancora chiamarsi “campioni nazionali”italiani, e solo Arianespace ed Airbus “campioni Europei”), ma tutto il resto: holding metalmeccaniche e chimiche, linee aeree e ferrovie, case di moda e poli industriali, appartengono a proprietà straniere. Del resto, qualcosa di analogo sta succedendo in tutta Europa (pensiamo alla Nokia, alla Mercedes, alla Volvo…)
E’ quindi ora di vedere come valorizzare meglio quel che ci resta: la nostra natura e le nostre lingue, le nostre città antiche e le nostre cattedrali, le nostre Università e i nostri musei.
Un 21° secolo dedicato più alla cultura che alla tecnica sarebbe certamente nell’ interesse innanzitutto dei un’ Italia europea. Non v’è dubbio che l’ Europa abbia bisogno anche di finanzieri e industriali, manager e tecnici, commercianti e militari. Tuttavia, non è detto che ciascun Paese debba essere presente nello stesso modo in tutti i settori. Gl’Italiani potrebbero, e dovrebbero, specializzarsi nella “cultura alta” (per esempio creando una vera “Accademia Europea”), nella valorizzazione della storia (attraverso una capillarizzazione delle politiche culturali del proprio territorio, orientandole però a un pubblico mondiale), nelle industrie culturali e dei media, e, infine, nella ricerca sul controllo e l’umanizzazione delle nuove tecnologie.

LA PARTECIPAZIONE DEI LAVORATORI NELLE IMPRESE DELL’ ERA DIGITALE


La partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, “snobbata” in Italia, costituisce invece da sempre un aspetto di forza del sistema industriale tedesco.

Se ne è parlato venerdì 16 al Circolo della Stampa di Torino, sotto gli auspici delI’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, anche in seguito a vicende come l’applicazione alla Lamborghini del modello tedesco del Gruppo Volkswagen, e a forme di partecipazione dei lavoratori all’ azionariato della FCA (americana).

l modello tedesco d’impresa (Betriebsverfassung) costituisce la realizzazione pratica della concezione istituzionale dell’ impresa, l’esatto opposto della visione assolutamente privatistica. La “Costituzione d’impresa” realizza pertanto il principio che l’impresa non sia solo degli Shareholders (gli azionisti), bensì di tutti gli “Stakeholders”. Ne consegue che le imprese soggette allo Statuto d’Impresa, specie a quello nella sua forma più pura (il “Modello dell’industria Carbosiderurgica”) sono rette da un consiglio che comprende rappresentanti degli azionisti, dei lavoratori (dai dirigenti agli operai) e dello Stato. Grazie a questo modello, nessuna delle operazioni che hanno distrutto le imprese di tutta Europa (finanziarizzazione, svuotamento, delocalizzazione) sono state possibili in Germania.


1.L’avanzare dell’ informatizzazione


Certamente, nei prossimi anni, ogni forma di partecipazione dei lavoratori correrà il rischio di venire ridimensionata dalla perdita di peso del manifatturiero e dalla robotizzazione del lavoro, che renderà apparentemente meno acuta la questione della rappresentanza di larghe masse di lavoratori.
In realtà, le esigenze che erano state alla base della partecipazione dei lavoratori nel passato lo saranno ancor più nel futuro, quando, da un lato, vi sarà ancor più forte l’esigenza della tutela di masse sempre più precarizzate, e, dall’ altro, con la robotizzazione, le competenze e le responsabilità dei lavoratori s’ incrementeranno a dismisura. Infatti, qualunque attività, dalla pianificazione strategica alla pulizia delle strade, dalla legislazione ai lavori domestici, dalla sanità all’insegnamento, dalla difesa alla banca, dall’editoria alla guida, sarà svolta in forma informatizzata, e, quindi, gli addetti, dai manager ai manovali, saranno di fatto dei numerosissimi manutentori di sistemi informatici complessi (Governi, Ministeri, Eserciti, Enti locali, Imprese, servizi pubblici e culturali, complessi abitativi), le cui attività avranno un impatto enorme sugl’interessi generali della società, essendo essenziali bancomat, dai metro all’amministrazione pubblica online), e i relativi dati; gl’imprenditori informatici, che sono più che altro dei mediatori fra tecnici ultra-specializzati e le grandi organizzazioni clienti e/o finanziatrici (grandi imprese, agenzie pubbliche, Enti di ricerca, eserciti); un’Amministrazione pubblica che in pratica orienta e dirige le politiche delle imprese informatiche attraverso la gestione dei “bandi” pubblici per la ricerca; la politica, che destina gl’ ingenti fondi, contratti ed esenzioni che caratterizzano il settore informatico (DARPA, fondi europei, cyberguerra, tax rulings). Il tutto con una quantità di problemi tecnici, etici, politici, sociali, psicologici senza porecedenti, studiati nel dettaglio da Nick Bostrom.


2.Uno Jus activae civitatis


In una situazione di questo tipo, tanto le imprese informatiche quanto i lavoratori assumono la funzione di esercenti di un pubblico servizio, dotati delle corrispondenti responsabilità, ma anche di corrispondenti diritti.
Dato che buona parte dell’infrastruttura informatica è finanziata, in tutto o in parte, da fondi pubblici, sarebbe giusto che, come nell’ industria carbosiderurgica tedesca, le attività informatiche (vale a dire in un prossimo futuro, tutte le attività economiche), fossero gestite insieme da tutti gli stakeholders. Sarebbe perciò logico che i lavoratori che di fatto faranno funzionare da soli intere banche e interi ospedali come pure il settore pubblico, che finanzia bene o male tutta l’industria informatica, abbiano il diritto di avere loro rappresentanti nei relativi consigli di amministrazione, e/o di sorveglianza.
La riduzione di mano d’opera apparentemente provocata dalla maggiore produttività delle attività automatizzate sarà compensata dall’enorme fabbisogno di funzioni ideative (teorici sociali), politiche (decisori istituzionali),di progettazione (studiosi di informatica), di controllo (comitati etici, servizi di manutenzione), di produzione (imprenditori elettronici), di coordinamento (comitati internazionali e/o interministeriali), di studio (sistema scolastico), di sicurezza (cybersecurity, intelligence), di garanzia (legislatori e giudici specializzati), di gestione (amministratori), ecc…
Tutto questo processo non può ovviamente essere lasciato alla libera discrezionalità del Complesso Informatico-Militare, che, come dimostrato dai casi Wikileaks, Dataleaks, Vault 7, Taxleaks, Schrems, antitrust, braccialetti elettronici, ecc.. tende ad abusarne in modo abnorme, ed, anzi, non può non farlo per una tendenza insista nel sistema.
Gli strumenti tecnici, giuridici e politici attualmente esistenti (tutela costituzionale, diritto militare e internazionale, diritto fiscale, diritto antitrust, diritto della privacy, diritto del lavoro) sono assolutamente inefficaci a coprire questi fenomeni nuovi. Nell’ elaborare le nuove regole, occorrerà, almeno per ciò che riguarda l’ Europa, attenersi al principio di sussidiarietà, con la massima tutela del singolo lavoratore sia dal punto di vista economico che dal punto di vista dei poteri di gestione e rappresentanza; con una grande flessibilità degl’imprenditori informatici, con un ruolo importante delle Autorità locali, un diritto sociale inderogabile e la tutela inflessibile della tutela degl’interessi e della sovranità dell’ Europa.
L’Europa è particolarmente arretrata in tutti questi settori, e dovrebbe studiare fin da subito una programmazione a lungo termine dell’ intero processo, dibattendo al più presto le adeguate politiche, creando senza indugio Istituzioni dedicate, iniziando ad operare a breve, implementando il modello a medio-breve, in modo da poter partecipare a medio termine alle necessarie attività internazionali, con l’obiettivo di divenire a medio-lungo un modello, e, a lungo termine ,un Paese leader in questo campo.

INTELLIGENZA ARTIFICIALE: TUTTI D’ ACCORDO A PAROLE….ma nessun fatto concreto

 

Soprattutto dopo il recente Forum Economico Internazionale di Davos del 2018, l’allarme per il sopravvento dell’ Intelligenza Artificiale è divenuto sempre più generalizzato, al punto che Yuval Noah Harari vi ha dedicato, nell’ ambito del prestigioso incontro della finanza mondiale, ben tre diverse interviste televisive. Tuttavia, quest’allarme l’avevano già diffuso, a partire dal Secondo Dopoguerra, Asimov, Joy, Hawking, Rees, Musk, Onfray, Morozov, Brague, Bostrom…
Cito soltanto qualcuna delle tante affermazioni allarmistiche di questi autorevoli, per quanto diversissimi, personaggi: “Nulla è inevitabile, tranne i robot” (Asimov);“Il mondo di domani può fare a meno di noi” (Bill Joy);”L’Intelligenza Artificiale provocherà la Terza Guerra Mondiale” (Elon Musk);“Questo è il secolo finale dell’ Umanità” (Martin Rees); );“L’Intelligenza Artificiale segnerà l’ultima ora dell’ Umanità” (Hawking) “Il tecno-umanesimo non può prevalere sul datismo perché la sua pretesa di introdurre un elemento di libertà è ancora sempre basata sulle macchine” (Harari), “”Le dittature di questi tempi funesti faranno passare quelle del Novecento per inezie. Google lavora a questo progetto post-umanista. Il nulla è sempre certo” (Onfray); “Così come oggi il destino dei gorilla dipende da noi esseri umani più che dai gorilla stessi, il destino della nostra specie dipenderebbe dalle azioni della superintelligenza artificiale” (Nick Bostrom)…
Nella misura in cui sono riuscito a entrare talvolta in contatto con qualcuno di questi illustri Autori, non ho mai mancato di domandare loro perché mai, pur avendo essi ben chiaro questo fondamentale problema, ed avendo a disposizione tutti gli strumenti per avviarlo a soluzione, non stiano facendo proprio nulla in questo senso. Ho offerto anche a tutti, senza contropartite, la mia collaborazione, come editore, come autore, come uomo di pubbliche relazioni. Qualcuno, come Martin Rees, ha avuto almeno la cortesia di inviarmi  qualche pagina di prefazione in Inglese (che figura oggi in “Corpus Juris Technologici”), e si è anche complimentato con me per essere io riuscito a confezionare il relativo libro con un così stentato aiuto esterno. Qualcun altro, come Rémi Brague, ha promesso di divenire più attivo su questo fronte.
In linea generale, però, il risultato è sempre stato sostanzialmente negativo. Secondo alcuni, avevo male interpretato il loro messaggio, che non era poi così pessimistico; altri ritengono di non avere gli strumenti necessari per agire. Mi chiedo allora chi li abbia, questi strumenti, visto che i politici, o sono palesemente legati mani e piedi ai giganti dell’ informatica, o non hanno neppure la cultura necessaria per comprendere il fenomeno.
Ma pure lasciando da parte, per un momento, la questione, per altro fondamentale, dell’azione politico-culturale, perfino l’aspetto puramente libresco, vale a dire una seria riflessione e divulgazione sul fenomeno del post-umano, è totalmente assente.
In effetti, il tema è veramente vastissimo, sì che difficilmente un solo autore potrebbe riuscire a sviscerarlo. Si va dalle  sue premesse teologiche, implicite già fin dall’ “intelletto attivo” di Aristotele, dal  concetto cristiano di transustanziazione, da  quelli cabalistici di de-creazione e di golem, dall’ “Homunculus” degli Alchimisti e dal “Primo Programma Sistemico dell’ Idealismo Tedesco”. Si passa poi alla rilettura materialistica del Regno dei Cieli in Fiodorov, Tsiolkovskij e Lunacarskij, per arrivare infine al “sublime tecnologico” di Teilhard de Chardin e di Kurzweil. Si procede poi, in campo filosofico, con il cyberpunk e il cyberfemminismo di Donna Haraway e Francesca Ferrando. Si continua con la religione e la “politica di Internet” (Teilhard de Chardin, Casaleggio, Morozov), con le neuroscienze, i Big Data e l’Intelligenza Artificiale, fino ad arrivare alla Società del Controllo Totale e alla Cyberguerra.Si giunge infine alle analisi politico-economiche e lavoristiche dell’ impatto dell’economia dei dati sulla progettualità politica, e, in particolare, sul problema della disoccupazione tecnologica.
Abbiamo poi  finalmente, con la nuova direttiva europea di cui parla, su “La Stampa”, Bruno Ruffilli, l’abbozzo  di un discorso pubblico sull’esigenza di una tutela legislativa globale contro l’ Intelligenza Artificiale. Non è superfluo ricordare che la nostra Casa Editrice Alpina, con la maggior parte dei suoi “Quaderni di azione Europeista”, ha affrontato già da 4 anni molti fra i temi sopra indicati, e si ripropone di continuare la battaglia con qualcosa di più comprensivo.
Premesso che occorrerebbe, sul tema, un serio e coordinato lavoro collettivo, che spetterebbe di promuovere a grandi Enti collettivi,  in questa rubrica mi limiterò a esaminare partitamente, in successivi post, i singoli aspetti di quella problematica, invitando, tanto i nostri quattro lettori, quanto gl’illustri personaggi che si occupano oggi di queste cose, a prendere posizione e ad aggiungersi ai nostri sforzi.

1.L’essenza del problema.

La cultura contemporanea è sostanzialmente concorde nel ritenere  impossibile la definizione di  un concetto astratto e universalmente valido di “Umanità”, in quanto quest’ultima è incessabilmente condizionata da lingua, storia e geografia. Già gli antichi libri sacri, e, in primo luogo, i Veda, l’Enuma Elish, la Bibbia e il Corano, descrivevano  l’uomo come un fenomeno storico, in continua mutazione: dalla Creazione, allo status edenico, a quello della cacciata, alla  Grazia, alla  “Rapture” apocalittica, fino alla salvezza o alla dannazione eterna. Nello stesso modo, anche la visione tecno-centrica contemporanea ci parla di pitecantropi, di ominidi, di Homo sapiens, di Cyborg e di Intelligenza Artificiale.

L’uomo è quindi, per sua natura, “qualcosa che dev’essere superato”;  esso “è una fune tesa fra il bruto e il Superuomo” (Nietzsche, Così Parlò Zarathustra”). D’altronde, a rigore, anche “difendere l’uomo dall’ Intelligenza Artificiale” è tecnicamente impossibile, perché l’intelligenza è da sempre “artificiale”, come c’insegnano Cartesio e Pascal, secondo i quali, tanto il pensiero, quanto la credenza nella sua veridicità, sono scelte volontaristiche dell’uomo, il quale, altrimenti, vivrebbe eternamente nel “Dubbio Sistematico”(il “credo quia absurdum” di Tertulliano). D’altro canto, il linguaggio e la scrittura sono stati spesso imposti dall’ esterno, vale a dire da ceti dominanti e acculturati.

Se l’uomo è eternamente mutante, lo è perchè intrinsecamente imperfetto, e quindi teso, per effetto del desiderio, fra un “non più” e un “non ancora”. Dal nostro limitato angolo di prospettiva, tale tratto di percorso s’identifica con la Storia. Ciò che va oltre la Storia è post-umano, e, quindi, non-umano. L’uomo, proprio perchè sa di essere mortale, rifiuta istintivamente  questo non-umano (o “post-umano), e si aggrappa all’ Essere, che, nella Bibbia, anche Dio afferma essere buono (“ki tov”). L’unica fuoriuscita da se stesso che sia consciamente disposto ad accettare è una qualche forma di salto ontologico verso il divino, per vivere in una dimensione “superiore” in cui la sua finitezza  sia nello stesso tempo mantenuta e resa accettabile (la “Vita Eterna”, l’ “Eterno Ritorno”…). Il problema  è quello di come sia possibile distinguere questo “salto ontologico” verso il Tutto dalla “De-creazione” della Qabbala e dal Nirvana dei Buddisti. Tant’è vero che perfino  le tradizioni cabalistica e buddista conoscono questo rifiuto della “de-creazione”: Rabbi Loew aveva una foglietto che gli permetteva di disinnescare la potenza distruttiva del Golem, e lo stesso Buddismo è stato progressivamente rifiutato da India, Cina e Giappone, sopravvivendo, al massimo, nelle sue forme “rovesciate”, Theravada, Chan e Zen. Matteo Ricci spiega anche, con l’obiettività di un osservatore terzo, perché ciò sia accaduto. Insomma, alla fine, la maggior parte preferisce  optare per l’ Essere anziché per il Non-Essere. Non per nulla, ancor oggi, per la maggior parte delle religioni, il suicidio è peccato.

Nel mondo occidentale, quella scelta a favore della vita è stata esemplificata da San Paolo, fondatore della teologia della Chiesa, che, nella IIa Lettera ai Tessalonicesi, sconfessa  i “Fanatici dell’ Apocalisse”. Rispetto a quelle antiche controversie teologiche, la questione del Post-Umano rischia di essere ancor più radicale, perché quest’ultimo si presenta come irreversibile.

La struttura della fondamentale opzione vitalistica, comune alle diverse civiltà storiche, è stata da taluni definito come “Valori dell’ Epoca Assiale”: Cultura e Natura; Umanità e Divinità; Pensiero e Fede; Società e Persona. Questi valori hanno animato e fecondato i più svariati ambiti civilizzatori: le comunità agricole primitive ; il patriarcato; l’aristocrazia; la teocrazia; l’ impero; il capitalismo; il socialismo; la democrazia. Essi hanno cambiato nome e forma, ma sono rimasti infondo  sostanzialmente immutati per millenni, con la persona umana quale punto di riferimento centrale; la famiglia, comunque configurata, quale veicolo della riproduzione sessuata e mattone fondamentale della costruzione politica; la divisione del lavoro quale strumento per operare sulla natura; la cultura quale cemento dell’ insieme…

2. Dissoluzione dei valori dell’ Epoca Assiale.

Certo, vi sono stati, fin dall’ inizio, dei  germi di dissoluzione di quei valori “assiali”: il politeismo teriomorfico; il nichilismo ascetico; la contrapposizione manichea fra Bene e Male; l’ inversione delle gerarchie in determinate feste e momenti rivoluzionari; la divinizzazione del sistema formale di comunicazione e di decisione; la costruzione di automi; la credenza nella potenza cieca nel destino…, tuttavia, le figure di popolo e umanità, genere e ruolo, capi e seguaci, sacro e profano, non hanno mai cessato, per quasi tremila anni, di animare il panorama della vita sociale, dando un senso alla sua storia.

Oggi, invece, il combinarsi della dominazione planetaria dell’ Umanità con l’esasperazione delle lotte intestine di potere, del giganteggiare delle sovrastrutture con il livellamento delle singole personalità, dello sviluppo delle macchine con la sfiducia nelle competenze umane, hanno creato una situazione in cui i valori dell’ Epoca Assiale hanno perso di mordente. Soprattutto, l’educazione “classica” dell’umanità, fondata sul senso della  dignità, sulla fiducia nel valore intrinseco dell’ esistenza, sulla forza d’animo, sul senso di responsabilità e di giustizia, è stata travolta da un eccesso di ”de-materializzazione”, dal conformismo dell’omologazione di massa, dalla dissoluzione delle culture storiche e dalla superficialità di quella “mainstream”. All’ Umanità si è sovrapposto il Complesso Informatico-Militare, che ha assunto su di sé le decisioni supreme; ai Popoli si sostituiscono gli Stati, quali delegati alla gestione degli uomini da parte del Sistema stesso; ai valori sociali di solidarietà, libertà, verità, si sostituiscono quelli tecnici di “integrazione”, “correttezza politica” e “memoria condivisa”.

Come ha dichiarato a Ruffilli, nell’intervista a La Stampa, il direttore di Facebook: “L’Intelligenza Artificiale prende già ora per noi delle decisioni fondamentali”. Ma quelle citate nell’ intervista sono soltanto le più modeste, mentre le più importanti sono quelle sulla pace e sulla guerra, delegate per forza di cose alle macchine da molti decenni. Tutto ciò è già totalmente in atto, ed anticipa, e parzialmente già realizza, la Società delle Macchine Intelligenti.

A rigore, non credo neppure che si possa distinguere concettualmente fra l’ Intelletto Attivo” della tradizione aristotelica, la globalizzazione “moderna” e l’ “Intelligenza Artificiale” di oggi. Così come l’ Intelletto Attivo si era incarnato nella rete di Università, di Scriptoria e “Buyut al-Hikma” che, nel Medioevo, riproducevano e commentavano all’ infinito le opere platoniche e aristoteliche, come pure nelle burocrazie delle Chiese e delle rispettive Inquisizioni, così il “General Intellect” marxiano si è incarnato nel mercato mondiale capitalistico e nell’ Internazionale Comunista, e, oggi, l’intelligenza Artificiale risiede nei Big Data di Salt Lake City e della NSA, nei server di Aruba, nell’ intelligenza diffusa dei nostri computer e cellulari.

In ogni caso, la decisione fondamentale per il futuro dell’ Umanità, cioè la sua sostituzione con le macchine, è già stata presa, dai “Signori del Silicio”: Kurzweil, Page, Cohen, Schmidt, Zuckerberg, Bezos, mentre quella sulla sua transitoria sopravvivenza viene adottata giorno per giorno dai sistemi informatici americani, cinesi, russi, nordcoreani, israeliani…che monitorano ininterrottamente i cieli in cerca delle tracce di missili nemici.

3.Difendersi dall’ Intelligenza Artificiale?

Nel nostro opuscolo “Corpus Iuris Technologici” avevamo affrontato tuttavia con simpatia gli sforzi in corso per porre limiti allo straripare dell’ Intelligenza Artificiale, proprio perché, contrariamente ai cantori del post-umano, crediamo che la dignità dell’ uomo risieda, come volevano il primo Goethe, Alfieri e Camus, nel ribellarsi, seppure inutilmente, contro il determinismo del destino.

Tuttavia, non avevamo ancora mai affrontato il tema principale: ciò che costituisce problema non è la forza dell’ Intelligenza Artificiale, bensì la debolezza dell’ umanità contemporanea. A mano a mano che, nella storia, si affermavano sistemi di ragionamento formalizzati e collettivi, sempre più si allentavano le antiche forme di educazione fondate sulla ricerca dell’ eccellenza personale: l’educazione spartana; l’ascesi religiosa; la humanitas letteraria ed artistica; la religione civile; l’etica del lavoro….Il Complesso Informatico-Militare, come prima l’Inquisizione, poi la burocrazia e il conformismo, possono affermarsi perché non vi sono più dei Leonida, dei Maometto, dei Sant’Ignazio o dei Solzhenitsin, che li controbilancino con la loro volontà e la loro intelligenza.

Per questo motivo, se, come dice Papa Francesco, l’Intelligenza Artificiale deve servire l’Umanità, e non viceversa, allora le società umane, fra cui anche la Chiesa, dovrebbero preoccuparsi di educare l’uomo, non già a obbedire a potenze impersonali, come si è fatto oramai da moltissimo tempo  con l’”ascesi intramondana” del capitalismo, con il conformismo ideologico, con le “buone maniere” borghesi, con l’inserimento in grandi organizzazioni…, bensì al comando e al controllo, così come facevano  a suo  tempo le “Tre Scuole cinesi, che miravano a formare il “Junzi” ( il “gentleman”), o gl’”Immortali”, capaci di comandare già solo con l’ esempio (il “Wu wei”), o come fa ancor oggi il buddismo Chan nel suo monastero di Shaolin.

E’ significativo che parte degl’ intellettuali sopra citati,  incapaci di fornire una risposta attiva alle sfide del Postumano, siano, come Onfray, di estrazione nietzscheana. Infatti è, a mio avviso, il  limite specifico di Nietzsche quello di essere stato uno straordinario analista della Modernità e un suo grande critico, ma di mancare, invece, di una sua autonoma proposta etica e politica. Eppure, con il concetto di ”Uebermensch”, egli aveva anticipato in modo egregio il conflitto più cruciale di oggi: quello fra i fautori del Post-Umano in quanto realizzatore del progetto di superamento di un’ umanità decadente (l“Oltreuomo”), e i suoi detrattori, vale a dire i difensori della sopravvivenza dell’ Umano, seppure in una forma potenziata (il “Superuomo”). E, nonostante che la preferenza istintiva di Nietzsche andasse ai fautori della vita, egli poi non sapeva spiegare in modo convincente come l’indebolirsi della Volontà di Potenza potesse essere controbilanciato. Le rare soluzioni suggerite come “obiter dicta” (l’ egemonia dei ceti militari e dei finanzieri ebrei, l’ unificazione mondiale sotto il controllo europeo, la distruzione del II° Reich dopo una guerra mondiale) non si distinguono infatti  un gran che ,né da quanto poi veramente avvenuto, né dai progetti dell’alta borghesia fra le due guerre (Rathenau, Coudenhove-Kalergi). Si potrebbe anche   ipotizzare che il movente  più significativo della politica nazista sia stato,  non già (come avrebbero voluto sia i marxisti che Nolte), l’anticomunismo, bensì il tentativo, da parte delle masse appena “nazionalizzate”, di bloccare questo progetto elitario e post-nietzscheano delle classi dirigenti weimariane, che, con il Piano Briand, cominciava ad abbozzarsi.

Nessuna delle parti contendenti aveva capito che  il trend superomistico inaugurato da Nietzsche già puntando in realta, . piuttosto che su un umanesimo eroico, su una  sorta di teo-tecnocrazia, che  avrebbe presto trovato il proprio  “habitat” ideale nell’ America  puritana.

4.Bostrom vs.Kurzweil

E’ lodevole  lo sforzo di Nick  Bostrom, altro guru dell’ informatica, che ha dedicato recentemente un libro (Superintelligenza“), di più di 500 pagine, alle problematiche dell’ Intelligenza Artificiale. Tuttavia, neanche Bostrom  giunge ad alcuna conclusione operativa (e ne è cosciente).

Ci occuperemo ancora del suo libro .

Comunque, anche Bostrom  continua a girare attorno al concetto fondamentale dei “tecno-ottimisti”: le macchine non potrebbero assumere il controllo perché, non essendo creative, “non saprebbero che cosa vogliono”. Il guaio è che, come abbiamo visto prima, neppure gli uomini di oggi sanno quello che vogliono, ed è proprio il nichilismo dei programmatori che condannerà alla sterilità e alla paralisi il mondo delle macchine. Essendo state programmate, proprio secondo Bostrom, secondo “i pregiudizi dei loro creatori” per ripetere all’ infinito le loro azioni, le macchine fisseranno per sempre il mondo secondo i paradigmi comportamentali della nostra nichilistica generazione, il che equivale a dire che dire che lo distruggeranno.

Purtroppo, l’unico teorico compiuto del post-umano resta perciò Ray Kurzweil, per il quale la “Singularity”, vale a dire il superamento dell’ umano da parte della macchina, ha un preciso significato: il desiderio di distruzione dell’ Universo implicito in tante filosofie, orientali e occidentali.

La strada  che noi vogliamo  percorrere, e che esamineremo in altri post, è, invece quella di preparare, con la cultura, l’educazione e la tecnologia, un effettivo “Superuomo” che, contrariamente a quello descritto da Vattimo e da Onfray, sia e resti obiettivamente superiore alle macchine. La preoccupazione di Onfray, come di Morozov e Harari, è che un siffatto Superuomo si adopererebbe presumibilmente per l’asservimento, se non la distruzione, delle “masse”. A nostro avviso, invece, la questione sarebbe mal posta, giacché gli scenari del futuro non sarebbero affatto riconducibili alla dialettica “servo-padrone” quale descritta da Hegel. O, almeno, tale dialettica non sarà più fra uomo e uomo, bensì tra uomo e macchina.

il Superuomo sarà occupatissimo a tenere sotto controllo le macchine, e non si occuperà affatto delle “masse”, le quali, per altro, si stanno già fin d’ora ora distruggendo da sole con la crisi della natalità, che non è solo un fatto socio-economico, ma soprattutto psicologico (la mancanza di speranza nel futuro), biologico (il languire del desiderio) e clinico (la diminuzione degli spermatoi).

Come aveva intuito Capek nel 1923, la capacità riproduttiva dell’ umanità è inversamente proporzionale a quella delle macchine. 

E, una volta completata in Europa, l’opera distruttrice della denatalità continuerà negli altri Continenti, almeno finché questi continueranno a imitare l’ Europa.

Tutto ciò è estremamente grave e urgente. Se l’ Europa volesse veramente fare qualcosa di utile per l’ Umanità, dovrebbe creare fin da subito un’ Accademia Europea delle Nuove Tecnologie, speculare e alternativa ai due “pensatoi” americani, la “Singularity University” di Kurzweil e il “Future of Life Institute” di Bostrom. In quest’ Accademia, che dovrebbe inserirsi in un intero sistema di “accademie europee”, si dovrebbero studiare, allo stesso tempo, le più moderne tecnologie e le discipline filosofiche, religiose, atletiche e perfino militari, che permettano all’ Umanità di mantenere il controllo sulle macchine.

L’INNOVAZIONE NEI SETTORI TECNOLOGICI “DUALI” NELLA RIFORMA DELLA “GOVERNANCE” EUROPEA

Con il blog Technologies for Europe affrontiamo l’insieme dei temi legati alle nuove tecnologie trattati nei quaderni di azione europeista: la tutela della privacy (Habeas corpus digitale), la promozione dell’industria digitale europea (Restarting European economy via knowledge intensive industries), la normativa internazionale in materia di nuove tecnologie (Corpus iuris technologici), il contenzioso europeo contro le big five (Thank you Europe)…

Affrontiamo qui di seguito un nuovo ed attualissimo tema sollevato dalla recente firma del programma europeo per la politica estera e di difesa comune (Pesco), vale a dire l’inserimento delle tecnologie duali nella stessa politica estera e di difesa.

Le cooperazioni rafforzate nel settore della Difesa possono costituire un ottimo campo di sperimentazione e riflessione critica circa le esigenze di riforma, per garantire comunque alle Istituzioni, anche con una modifica apparentemente “limitata” dei Trattati, una reale operatività a un livello comparabile a quella dei grandi Stati sub-continentali (in particolare Cina e Stati Uniti), i quali hanno operato appena ora una profonda revisione dei loro, per quanto già efficientissimi, sistemi di governance del settore Difesa e delle tecnologie “duali”.

Il riconoscimento formale, nell’ ambito della PESCO, del ruolo delle tecnologie “duali”, dovrebbe spingerci a un’ analisi comparativa volta a collocare l’intero settore delle nuove tecnologie “duali”(comunicazioni quantiche, missili ipersonici, intelligenza artificiale, nanotecnologie, bioingegneria, big data), al centro di una riforma delle Istituzioni che renda l’Unione competitiva con i suoi concorrenti e capace di porre sotto controllo le nuove tecnologie.

1.Il ruolo delle tecnologie “duali”.

Come illustrato da Qiao Liang e Wang Xiangsui nel loro libro “Guerra senza Limiti”, e come recepito puntualmente dalla Dottrina di Difesa americana nel Dicembre 2017, l’attuale onnipresenza delle tecnologie informatiche ha eliminato definitivamente ogni confine, non solo fra attività civili e militari, ma anche fra ruoli istituzionali e società civile. Basti pensare all’utilizzo a scopi militari dei dati sensibili degli utenti di tutto il mondo della telefonia, di Internet e perfino di nuovi modelli di apparecchi televisivi che ( come è risultato dalla Causa Schrems dinanzi alla Corte di Giustizia e dallo scandalo “Vault 7”), è considerato lecito dalla vigente legislazione americana. Oppure all’indispensabilità, per costruire una difesa autonoma dell’ Europa, del sistema di geolocalizzazione Galileo, evidenziatasi nel corso delle missioni europee nei Balcani e nel Medio Oriente. L’esplicito riconoscimento della finanziabilità, da parte dell’ European Development Fund, degl’investimenti nel settore “duale”, apre la strada a un corrispondente ripensamento di tutte le attività “strategiche” dell’Unione nell’ ottica della sinergia fra civile e militare.

2.Gestione di fatto delle problematiche “duali” da parte delle Istituzioni

In realtà, già ben prima di questo riferimento formale al “duale”, tutte le istituzioni dell’ Unione e lato sensu europee sono state profondamente implicate, anche se con continui insuccessi, nella governance di tecnologie digitali duali decisive, non solo per la gestione dei conflitti, ma anche per il futuro stesso della società e dell’ economia europee. Citio innanzitutto:

-gli sforzi (per altro con poco successo), da parte del legislatore europeo, di fornire una rinnovata tutela della “privacy”, in seguito agli scandali “Prysm” e “Vault 7”, con loro implicazioni di difesa dell’economia europea;

-le procedure “antitrust” della Commissione contro le pratiche monopolistiche delle Big Five e la revisione dei loro regimi fiscali, distorsivi, ai danni delle imprese europee, della concorrenza mondiale;

-il controllo dell’ Unione sugl’investimenti strategici extraeuropei, necessario per garantire l’autonomia industriale e militare europea e il controllo della nostra proprietà intellettuale;

-il finanziamento, da parte della BEI, di un motore di ricerca europeo, primo anello di un “web europeo”, e, da parte della Commissione, di studi sull’ interfaccia uomo-macchina, volti a prevenire un indebito prevalere di quest’ultima;

-la “cybersecurity” e l’ Europol (per esempio, gli “Hacker Patriottici”), premesse necessaria per qualunque politica di sostegno ai campioni europei, ché, altrimenti, andrebbe solo a vantaggio dei nostri concorrenti.

Grazie a questi strumenti d’intervento del Consiglio, del Parlamento, della Commissione, della Corte di Giustizia, dell’ Europol, di CARD, dell’ Agenzia Europea degli Armamenti, dell’ OCCAR e della BEI, le Istituzioni svolgono già ,nei settori del digitale e della cyberguerra, attività, per quanto insoddisfacentemente limitate, più penetranti delle Autorità nazionali (che, in questi settori, operano, per lo più, solo “di riflesso”). In ciò, esse svolgono un ruolo parallelo a quanto svolto in USA o in Cina dalle agencies specializzate dipendenti direttamente dal Presidente in quanto espressione di una sovranità a 360°(quelle svolte in USA in USA, dal DARPA, e, in Cina, dal “Comitato per la Fusione di Civile e Militare”). I nuovi meccanismi della PESCO sono carenti sotto questo punto di vista in quanto sono ancora focalizzati prevalentemente su attività “militari” tradizionali, lasciando fuori quest’ enorme area della “guerra senza limiti” aperta dall’informatizzazione.

3. La carenze della governance attuale.

Le azioni su ciascuno di questi livelli, essendo svolte da Enti diversissimi fra di loro e in un‘ ottica settoriale, restando alla superficie delle vere questioni in gioco, non possono incidere si reali rapporti di forza internazionali. Per esempio, la riforma del “Safe Harbour Agreement” si è conclusa con un nulla di fatto perché ha lasciato libero accesso come prima ai dati degli Europei; le “web taxes” in discussione sono solo controproducenti, perché non solo non raggiungono il necessario effetto risarcitorio per il passato, ma addirittura penalizzerebbero ulteriormente le imprese europee concorrenti delle Big Five, ecc…

Tra l’altro, perfino in America, dove il livello di operatività e di coordinamento è infinitamente superiore, la nuova strategia di difesa parte dalla critica dell’inefficacia del sistema attuale e prevede una sua radicale centralizzazione sotto il controllo presidenziale.

Ma, così come il carattere presidenziale dello Stato non basta ancora, in USA, a garantire un livello di coordinamento sufficientemente onnicomprensivo della rivoluzione digitale, così, a maggior ragione, la dispersione di competenze, non solo fra Unione, Stati Membri e NATO, ma addirittura fra le varie Istituzioni europee, ha portato, fino ad ora, al dominio assoluto delle Big Five e al loro regime fiscale predatorio, a dirottare i fondi europei verso lo studio di soluzioni progettuali e giuridiche anti-umanistiche, al furto di dati privati, commerciali e militari degli Europei, all’inesistenza dei campioni europei del digitale quali invocati da Macron alla Sorbona, e alla perdita per trent’anni di posti di lavoro apicali, imprenditoriali, tecnico-scientifici e manageriali europei, dirottati verso le Big Five.

4. Necessità di un approccio “olistico” alla politica estera e di difesa

La non volontà di porre il digitale duale fra le priorità del nuovo quadro della PESCO prolungherebbe tale quadro assolutamente insoddisfacente, perché legato, ancor più di quello delle Grandi Potenze, alla visione “tradizionale” della Difesa, criticata da tutti i testi citati. Gli elementi culturali e digitali restano marginali, e il coordinamento è pensato essenzialmente come tecnico ed economico, non già come culturale e politico. Per svolgere le funzioni di coordinamento delle iniziative europee, la PESCO dovrebbe ispirarsi innanzitutto ad una preciso programma, prima digitale (speculare a quello esposto, nel libro “The New Digital Age”, dai due direttori di Google, Cohen e Schmidt), e poi politico (come nella nuova dottrina americana della Difesa).Citiamo da quest’ultima:

-“Per vincere, dobbiamo integrare tutti gli elementi della potenza nazionale dell’ America -politici, economici e militari”

-“Dobbiamo difendere contro i concorrenti la nostra Base d’Innovazione per la Sicurezza Nazionale (NSIB). La NSIB è la rete americana di conoscenze, competenze e persone -fra cui l’accademia, i Laboratori Nazionali e il settore privato-, che trasforma le idee in innovazione e le scoperte in prodotti e imprese commerciali di successo, e tutela e rafforza il modo americano di vivere”

-“Gli Stati Uniti debbono ricuperare l’’elemento sorpresa’”.

5.Una seria Politica Estera e di Difesa richiede un organo apicale unico ed efficiente, comprensivo del “settore duale”.

Qualora, per esempio sfruttando la “finestra” aperta sulle cooperazioni rafforzate, si creasse, fra le Istituzioni, un unico organo di coordinamento per le materie della ricerca e sicurezza, come è il Comitato per la Fusione del Civile e del Militare della Cina, si dovrebbe garantire il controllo continuo sullo stesso da parte del’ organo apicale (come in Cina attraverso la Commissione Militare Centrale, presieduta dal Presidente).Infatti, la creazione di una cultura strategica, la tutela contro la concorrenza, la formazione dell’ufficialità e del management, la programmazione strategica, le missioni militari, la promozione di nuova imprenditorialità e la diplomazia digitale richiedono decisioni di vertice continue, drammatiche e segrete, che non possono essere adottate da labili organi di collegamento.

Il ruolo ancor del digitale nella difesa dell’ Unione Europea dovrebbe essere ancora più centrale che non in USA e in Cina, poiché l’ Unione: (i) rifiuta la guerra offensiva; (ii) non ha ambizioni di conquista territoriale; (iii) deve coesistere con la NATO Eserciti Nazionali di tipo tradizionale. Proprio per questo, al centro dell’organizzazione dovrebbero essere posti gli elementi “soft” (culturali, digitali, scientifici, d’intelligence, di mercato), lasciando, semmai, quelli “hard” agli Stati nazionali e alla NATO, che, in tal modo, potrebbero essere tra l’altro indirettamente ridimensionati.

6. Una gestione unitaria del digitale quale parte integrante ed essenziale dei compiti del vertice europeo.

In “The New Digital Age”, Schmidt e Cohen avevano affermato che, nel 21° secolo, sarebbe stata la Google, non già la Lockheed, a guidare l’America nella leadership mondiale, in quanto non si tratterebbe più di battaglie tradizionali di uomini e mezzi, bensì di “guerre virtuali” di algoritmi, Big Data, “social networks”, armi autonome e “robot in grigioverde”. Nello stesso modo, la missione storica dell’Unione Europea nel mondo non sarà più quella di perseguire un (ormai impossibile) sviluppo economico puramente tecnocratico, bensì quella di prevenire, come richiesto con forza dal Papa, la presa di controllo da parte delle macchine intelligenti, paventata da esperti come Hawking, Reed e Musk, attraverso lo sviluppo e la promozione di una società “tecno-umanistica”, capace di conciliare tecnica e cultura, salvaguardando: le singole personalità individuali; un’autonoma industria europea; i diritti umani e politici e la partecipazione di tutti; la promozione di posti di lavoro di qualità.

Quest’obiettivo richiederà il riorientamento radicale degl’interessi e delle risorse dell’ Europa, verso la costruzione della nuova “società tecno-umanistica”. Di questi immani e urgenti compiti, di cui le attuali istituzioni non si sono rivelate all’ altezza, dovrà essere investito pienamente un nuovo vertice europeo – che, di fatto, è già confrontato, ma in modo improprio, con il problema delle macchine intelligenti in tutte le sue sfaccettature-, in modo che possa concepire e perseguire rapidamente un disegno globale e coerente.

7. Carattere collegiale.

Nel campo delle nuove tecnologie, l’informalità prevale sul formalismo, sì che le questioni giuridico-istituzionali care ai teorici dell’ integrazione europea risultano meno importanti della cultura effettiva dei vertici politici e del loro comportamento fattuale. Le Istituzioni Europee avrebbero tra l’altro già fin d’ora ora tutte le competenze giuridiche necessarie per fare ciò che è urgente: finanziare una cultura digitale e strategica tecno-umanistica; pretendere il rispetto del diritto europeo e il normale pagamento delle tasse; imporre ai monopoli internazionali non solo multe, bensì veri e propri “orders to divest”, ecc.. Eppure, esse non lo fanno, in parte perché fingono di non capire la logica che sta dietro al mondo delle nuove tecnologie, e, in parte, perché non collaborano affatto fra di loro nell’ esecuzione di un unico disegno per il futuro dell’ Europa. Addirittura, all’ origine dello strapotere delle Big Five in Europa era stato proprio il Presidente Juncker in quanto primo ministro lussemburghese.

Questo disegno unitario dovrebbe essere elaborato fin da subito a livello politico, rivoluzionando le priorità attuali della PESCO, ed essere tradotto nell’elenco dei prossimi progetti di quest’ultima.

Anche la proposta di ri-unificare le figure del Presidente Europeo e di quello della Commissione, per altro assolutamente corretta, non risolverebbe il problema, perché, come abbiamo visto, gli organi che di fatto si occupano di queste questioni sono oggi ben più numerosi, andando dall’ Alto Rappresentante alla BEI, con una sommatoria impressionante di poteri, ma così capillarmente distribuiti da risultare inefficaci. Mentre è improbabile che si esamini fin da subito un’ unificazione di tutti questi ruoli in un’ unica persona, una forma di collegialità molto spinta, almeno su materie scottanti come il digitale e la difesa, sarebbe immediatamente fattibile attraverso una scelta soggettiva dei vertici europei, da tradursi in una prassi quotidiana d’ impegno e di collaborazione.

Si fa notare che un vertice collegiale potentissimo, soprattutto in materia militare (può perfino decidere autonomamentel’invio all’ estero di forze di pronto intervento, e addirittura la mobilitazione generale), esiste in Svizzera, culla del federalismo europeo e unico Stato europeo ad avere un sistema di difesa veramente autonomo. Vista la diffusa e giustificata insofferenza della base per il sistematico richiamo, da parte dell’ Unione, all’inapplicabile modello americano, sarebbe ora che essa prendesse sempre più come esempio un Paese federale europeo a noi vicinissimo, e che, a rigor di logica, dovrebbe entrare al più presto nell’ Unione.

A European New Tech Initiative

Every day, it becomes more evident that 2014 will be a decisive year, for Europe, under several points of view, but especially as concerns Europe’s relationships with new technologies.
Let’s recall, inter alia:

AS TO EUROPEAN INSTITUTIONS:

  • European Elections;
  • the “Italian Semester;
  • the reactions to the proposals of Commissioner Reding, to set up “a European Intelligence”;
  • the adoption of the concrete financing decisions for the European Programs Culture and Horizon 2020;
  • the report of the European research institutes about: (i) the outputs of the European “Project RoboLaw”, intended for setting forth the bases of European guidelines about robotics;(ii) of the Regulation on the Protection of Sensitive Dates;(iii)of the negotiations about the “Safe Harbor Agreement”; the report of the Council of Europe about digital investigative techniques;
  • the report of the Council of Europe on digital investigation techniques.
  • the expected closing of EU antitrust investigation against Google;
  • the expected entrance into force of the resolution of the United Nations, supported, inter alia, by Germany, intended to condemn international digital espionage.
  • the Italian proposal of a so-called “Google tax”;

AS TO TRANSATLANTIC RELATIONS:

  • the entrance into operation in the States (also thanks to the actual opening of the new huge servers in Salt Lake City) of the projects BIG DATA, BRAIN and DIGITAL FRIEND. These projects converge upon a sole tendency (“POSTHUMANISM”), having, as its declared purpose, to impact in an irreversible way the very ontological structure of Humankind;
  • the finalization of negotiations between USA and UE of a negotiating “PACKAGE” including, inter alia:
    (a) the Transatlantic Free Trade Agreement (“TTIP”) and the Agreement on the Protection of Europeans Sensitive Data (“DPA”);
    (b)the proposed coordination of the agreements between USA and each Member State;

IN WORLD ECONOMY:

  • The entering of China into worldwide economy as a leading producer in many top technological sectors, such as computers, armaments, web, railways, new energies, as well as into large scale movie industries;
  • the overcoming, by Yuan, on Euro,of Alibaba over Amazon and Google together, and by Naver, Yandex and Baidu, of Google, on their respective markets;
  • the re-localisation into the US and Japan of several “traditional” productions;
  • the absence of a clear-cut response of Europe in the new international division of work;
  • the negotiation, announced at the Beijing EU-China Summit, of a Commercial EU-China Treaty, parallel to the TIPP(both collectively defined as “the Free Trade Agreements”);
  • the follow-up of the Dubai Resolutions of ITU about ICANN and Cybersecurity;
  • the tentative, by IETF, to re-project the Web for rendering it safer.

Already this list of problems to be addressed urgently shows the urgency of a European leadership, which, unfortunately, seems to be lacking, as denounced, inter alia, by Fischer and Schmidt in their recent interview to Die Zeit.
Apparently, the decisive element of all these evolutions seems to be the Euro-American dispute following to DATAGATE, which, as a matter of fact, has triggered this accrued interest from European politicians and public opinion for new information technologies. According to us, the real driver is, on the contrary, a scientist project ( “the SINGULARITY”, whose pillars are “BIG DATA”, “DIGITAL FRIENDS” and “BRAIN”): “The technological singularity, or simply the singularity, is a theoretical moment in time when artificial intelligence will have progressed to the point of a greater-than-human intelligence that will radically change human civilization, and perhaps even human nature itself”, by accelerating to the maximum extent the ongoing transfer of the typical human characteristics (reasoning, working, deciding, creating, ordering, cooperating, communicating, remembering), from Mankind to a centralized and digitalized man-made world (algorithms, central servers, clouds, reverse engineering, Digital-Military Complex, robots, drones, etc…-what Manuel de Landa has called “a Transfusion without Bloodshed”).
The link between SINGULARITY and DATAGATE is given by the interexchange of ideologies, technologies, leaders and organizations, between the “post-humanistic” lobby pursuing Singularity and the top levels of politics and intelligence
These evolutions have rendered obsolete many of the past debates, such as the ones about “Development” and about “Bioethics”, because, in front of a world dominated by Artificial Intelligence and robots, “The End of History” and “the End of Man” are becoming more and more synonymous. Thus, the place of Bioethics is taken by “Computer Ethics” and “Roboethics.
In consideration of the above scenario, we are trying here to link, for the first time, into a systematic approach, in this Program, three themes which are only apparently in contradiction, but which, in the political and media discourse, are just now starting to be read together

  • the understanding and the rationalization of the large number of actions undertaken by Europeans for the protection of their own privacy;
  • a new proposal for the International Control of New Technologies;
  • a European Policy for the same, with a special regard for the creation of a EUROPEAN WEB.

As appropriately observed by the European Commissioners Reding (Legal) and Barnier (Internal Market), both possible candidates as Chairman of the Commission), only a strong European power, able to master, on its own territory, the new technologies, will be taken seriously by world powers in the ongoing international negotiations about the same. Also for ITC, it goes without saying that Europe does not take any relevant position, as anybody would expect in consideration of its scale an of its GNP .First of all, as has observed somebody within the EU delegation coming back from Washington, in order to really stop espionage against Europeans, it would be necessary to create nothing less than a –presently absent-, EUROPEAN WEB (or to heavily influence the current activities inside the international ITC community). In fact, each time we make a telephone call, it is registered at least via an Echelon listening center, or an interception room of the provider. Moreover, if we surf in the Web or send a email, our data will be recorded, at least for ranking and geolocalisation purposes, also by the search engine, which can resell it to a commercial company or to an intelligence service.
The evolutions we are facing now, having an impact on the very survival of Humankind, cannot be understood, as it had been tried up to now, via purely sectorial approaches, but, on the contrary, only by an overall revitalization of the “PRECAUTIONARY PRINCIPLE”, which is at the core of the main present international rules. Europe had played, up to now, the leading role in fostering this PRECAUTIONARY PRINCIPLE at international level, as in the cases of the Kyoto Protocols, of OGM, of Echelon, of the reform of the World Telecommunications Organization and of privacy, going up to issuing a UE Communication about the Precautionary Principle ), and financing projects for its practical implementation. Unfortunately, all these battles have ended, at the end of the day, with a complete failure. As a consequence, Europe should give now a new, more motivated and stronger, impulse to its battle, taking into account the news, good or bad, which DATAGATE and SINGULARITY convey to us, and inserting this into an organic and proactive vision, also AS A LEVERAGE FOR A NEW EUROPEACULTURE AND POLITICS.
The urgency of this program of a European Initiative for New Technologies was born, among some subjects of Civil Society, in consideration of the burning urgency of the matter. It should consist, initially, of two meetings and of one document. Their objective would be to give a start, in Europe, to a form of permanent coordination on these themes, even if with a different “national” characterization and with a partially different object) of the American movement “STOP WATCHING US”. All of this brings about the need of an all-encompassing re-thinking of European policies towards new technologies, having an impact on several areas of Europe’s life: (i) international law; (ii) international organizations; (iii) Euro-American relations; (iv) European Treaties and legal order;(vi) European economy (vi) high tech industries; (vii) industrial, foreign and defense policies; (viii) cultural policies; (ix) the Finance of Europe; (x) Antitrust.

copertina Habeas (1)

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